Senza smettere di muoversi su di lui, la ragazza allungò le mani verso il cuscino e strinse un foulard di seta blu, poi scoprì molto lentamente il viso dell’uomo che l’ammirò come fosse un angelo venuto direttamente dal paradiso. «Sei davvero bellissima!». Lei sorrise, poi appoggiò il foulard sulla sua bocca e lo baciò intensamente. Le lingue si cercavano tra la stoffa, divertite nel percepirsi senza un diretto contatto. Nonostante fosse legato, l’uomo si muoveva sotto di lei con un incredibile forza, tanto era eccitato da quel momento. Le mani della ragazza non smettevano di stringere il foulard che ora si ritrovava avvolto attorno al collo dell’uomo e che usava per domarlo quando tentava di avere la meglio su di lei. Un susseguirsi di gemiti si fece strada e quando si sentì vicina all’orgasmo, tirò le due estremità della stoffa, chiuse gli occhi e buttò indietro la testa, la bocca spalancata ma la voce soffocata dall’immenso piacere e non si fermò quando sentì la voce prima balbettante e poi spezzata dell’uomo che dopo pochi secondi era fermo immobile sotto di lei.
Quando si ricompose, lo fissò compiaciuta e si sfilò la parrucca a caschetto color castano scuro. Un terrificante silenzio piombò nella stanza, ma poi la porta della camera si aprì all’improvviso e una donna vestita con un pantalone e maglioncino color cammello, i capelli legati in una morbida coda bassa, e avvolta da una mantella che dava l’impressione di essere di seconda mano, lasciò ai piedi del letto un enorme sacco di plastica nero. «La prossima volta non lasciamo passare troppo tempo, lo sai che abbiamo delle scadenze da rispettare». Mise a posto l’ampolla di lavanda, poi fissò la ragazza e in un attimo il suo sguardo si addolcì e si fece vicina per osservare il suo viso.
«Allora, come ti senti?».
«Sto bene, anzi, mi sento benissimo…».
Tre settimane dopo…
Mentre era seduta al bancone del bar, uno dei tanti baristi le porse un bicchiere di vino rosso e le sorrise. «Ordini sempre un calice di vino rosso, ho pensato di servirtelo subito senza farti aspettare». Anais lo fissò perplessa. Per quanto fosse una bella ragazza, non era abituata a gesti simili e non sapeva cosa dire. L’unica cosa a cui pensò fu un banale ringraziamento, ma non fece in tempo a dirlo perché il ragazzo fu chiamato a servire un altro tavolo. Era di poche parole, ma più che altro le piaceva osservare e non poté fare a meno di notare il suo fisico atletico, i capelli biondi e ben pettinati con il gel, gli occhi color nocciola grandi e sorridenti come la sua bocca dalle labbra invitanti. Era una preda perfetta, ma poi si alzò e se ne andò senza cercare il suo sguardo per salutarlo. Era meglio così.
La sera sembrava non passare mai e la voglia di dormire era ben distante dal farsi trovare. Anais sembrava una povera anima condannata a vagare in eterno nel suo appartamento e nemmeno la canna che fumò fuori in terrazzo, respirando aria fresca, sembrò darle sollievo. Era visibilmente nervosa, come se stesse aspettando un importante risultato di un esame o una di quelle chiamate che possono cambiarti la vita, poi prese il cellulare e digitò nervosamente un messaggio. Raccolse alcuni indumenti e un beauty case e uscì di casa senza nemmeno chiudere a chiave. Aveva troppa fretta. Camminava a passo svelto, il cappuccio del giaccone che copriva il viso. Non appena fu certa di essere abbastanza lontano da casa, prese un taxi e si fece portare in un quartiere a circa dieci chilometri da casa sua, poi si fece lasciare a un incrocio e camminò per diversi minuti fino a ritrovarsi in un quartiere composto da diverse villette con giardino. Si fermò davanti a una porta di legno scuro dall’ampia veranda e bussò forte più volte. Sapeva di essere attesa, ma aveva esaurito la pazienza.
«Questa improvvisata non me l’aspettavo proprio. Ti senti pronta? Se sei strafatta ti rimando a casa!». Davanti a lei, la donna dai capelli rossi raccolti in uno chignon la fissava con aria di rimprovero. I pochi capelli bianchi lungo le tempie erano fermati ai lati da delle forcine dorate, gli occhi sembravano truccati e questa volta indossava un abito scuro dal collo alto e arricchito da una collana di perle e per un attimo Anais ebbe l’impressione che fosse rientrata a casa apposta per lei. “Sì, ne sono sicura. È il mio corpo a chiederlo. E poi se qualcosa va male, sai cosa fare». La donna la fece accomodare e chiuse a chiave la porta. «Lo sai che non esito mai», e le indicò la scala, ma Anais già sapeva dove andare.
Dopo un paio d’ore, la donna apparve nel salotto, stupita di trovare Anais ancora lì. Rannicchiata sul divano, guardava la televisione a volume basso. «Come mai sei ancora qui? Ero convinta che fossi già andata a casa», e si sedette sul divano accanto a lei, accarezzandole i piedi. Erano bizzarre assieme, ma potevano benissimo sembrare una madre e una figlia. «Non ho ancora voglia di andare a casa, tutto qui». Tutto era andato come doveva andare, proprio come aveva previsto nella sua testa, eppure quella sera si sentiva malinconica, sola, quasi insofferente. Quel suo modo di vivere era duro da accettare, ma non aveva scelta se non conviverci.
«Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?».
«Eva, qualcosa sta cambiando in me. Sento che fatico a controllarmi ultimamente e non credo sia un buon segno». La donna si fece più vicina e fece sedere Anais, prendendo il suo viso tra le mani.
«È il tuo corpo che sta mutando. Nonostante tutto, continui a crescere e lo stesso i tuoi istinti. Non ti devi preoccupare, ci penso io a te. Vedrai che andrà tutto bene», e le stampò un bacio sulla fronte. «Ti preparo qualcosa da mangiare, vedrai che ti sentirai meglio».
Quella notte Anais faticò ad addormentarsi. Il ricordo dell’episodio vissuto poco prima le tornò alla mente milioni di volte e più lo faceva, più si eccitava. Si rigirava nel letto, sperando di sentire quella familiare sensazione di stanchezza, ma niente. I suoi occhi erano spalancati e le pupille parevano minuscole, come fossero due punti scuri fuori posto e così, arresa alla sua anima tormentata, lasciò scivolare una mano dentro alle mutandine, eccitandosi per ciò che era accaduto e immaginando di essere lì, ancora.