Entra nella stanza con indosso solo delle mutandine di pizzo e trova quattro occhi che la osservano. I due uomini, completamente nudi, la squadrano da cima a fondo, gli occhi famelici come un lupo quando osserva una succulenta preda. Uno di loro si fa avanti e le accarezza un seno, ma pochi istanti dopo anche l’altro fa lo stesso. Anais si lascia toccare, proprio come fosse il loro giocattolo erotico e si appresta a essere sottomessa; vuole che pensino di avere il comando. A turno la possiedono con brutale violenza, in altri momenti la trattano come fossero teneri amanti e si fermano solo quando i loro corpi sono piacevolmente soddisfatti.
«Beviamo qualcosa», dice Anais mentre raggiunge un tavolino dall’altra parte della stanza. Versa dello champagne in due flûte e li appoggia su un vassoio d’argento assieme alla bottiglia e a un’ampolla dall’etichetta rovinata, ma che non appena scoperchia rivela un aroma vanigliato. Si riavvicina ai due uomini e li serve come farebbe una hostess di un volo di prima classe.
«E tu, non bevi con noi?», chiede uno dei due uomini.
«Io bevo da qui», e scuote la bottiglia con fare seducente. «E a cosa serve quell’ampolla?», chiede l’altro, curioso. «Ho pensato che prima di ricominciare potevo farvi un bel massaggio», e li fa sdraiare uno accanto all’altro, coprendo i loro occhi con delle bende. Versa qualche goccia di essenza sul palmo della mano destra, la strofina con l’altra e inizia ad accarezzarli dolcemente. Le sue mani scivolano lungo le cosce muscolose e risalgono sfiorando le loro parti più intime. Ansimano piano e si lasciano coccolare da quel momento tanto rilassante quanto eccitante, ma poi l’uomo alla sinistra di Anais le afferra un braccio all’improvviso e abbassa la benda che gli copre gli occhi che sembrano tutto a un tratto gonfi e arrossati. Anais lo calma appoggiando la mano sul suo petto e con le labbra lo intima a calmarsi, proprio come farebbe una madre con il suo bambino in preda a un’influenza, poi gli accarezza il viso e con fare del tutto naturale, gli copre naso e bocca, impedendogli di respirare. Lui si agita ma con molta difficoltà, è evidente che ciò che ha ingerito ha fatto effetto, ma Anais non molla la presa e scosta la mano solo quando non lo vede più agitarsi e i suoi occhi sono chiaramente spenti. A quel punto si ferma, sapendo che è solo questione di pochi secondi prima che il destino faccia il suo corso. L’uomo alla sua destra le chiede come mai si sia fermata, abbassa la benda e la fissa. Il viso della ragazza è compiaciuto e allo stesso tempo inquietante, non sembra più lei, e quando si volta e vede il cadavere accanto a lui, urla così forte che cade dal letto e si trascina agitato fino all’altra parte della stanza, sotto gli occhi di Anais, famelici quanto quelli suoi di prima. Si solleva a fatica ma non riesce a parare il pugno che la ragazza gli scaglia contro, facendogli sbattere la testa contro il muro. Cade a terra intontito ma lei non si ferma e lo colpisce fino a quando non lo ritiene innocuo; il veleno lo ha indebolito e le ha permesso di avere la meglio. Lo osserva con attenzione, come se volesse percepire la sua sofferenza, poi abbassa lo sguardo e nota il pavimento bagnato in prossimità delle sue parti intime; se l’è fatta addosso dalla paura. Gli accarezza la spalla e sale fino ai capelli e sente il battito agitato del suo cuore, è come se fosse imploso nel suo petto, poi con un movimento secco, gli stringe un braccio attorno al collo e lo soffoca, fermandosi solo diversi secondi dopo averlo ucciso.
Anais solleva il flûte verso la luce, finalmente rilassata. La sostanza messa nei bicchieri ha funzionato a dovere. È felice e vuole godere appieno di quella sensazione. Eva, invece, finisce di pulire la camera ma ha l’aria seccata, come fosse ancora irritata per quell’improvvisata, ma Anais non ci fa caso. «Ti ho lasciato un sacchetto sul tavolo della cucina. Dovrebbe bastarti fino a fine mese». Senza dire niente, nemmeno un grazie, Anais si affretta a sistemarsi e quando raggiunge l’ingresso della villetta, un rumore attira la sua attenzione. Era da qualche tempo che non ci faceva più caso. Eva doveva trovarsi nel seminterrato. Non l’aveva mai fatta scendere, aveva sempre voluto occuparsi lei dei cadaveri e ad Anais andava bene così, perché quel luogo la terrorizzava. Sapeva da dove venivano i pasti che Eva le preparava, ma non aveva mai voluto sapere come lei li ricavasse. Le si forma un nodo alla gola, poi si volta ed esce di corsa, proprio come se avesse visto un fantasma.
Anais spalanca gli occhi, è sudata e il respiro affannato, come se avesse terminato una staffetta. Toglie la mano dalle mutandine e finalmente si rilassa. Percepisce una leggera stanchezza, forse ora si addormenterà, ma poi si alza seccata. Il corpo la chiama ancora e ancora, ed è come se non ne avesse più il controllo. Stringe la testa tra le mani, gli occhi lucidi per i bisogni che si fanno sentire attraverso ogni cellula del suo corpo. Si ritrova davanti al frigorifero e fissa il sacchetto preparato da Eva. Apre uno dei tanti contenitori e prende in mano quella che sembra essere carne cruda e la azzanna, divorandola in pochi istanti.
Mentre guarda il riflesso allo specchio, godendo del sole che entra dalla porta finestra, Anais muove la testa da un lato all’altro indecisa e in un attimo si libera del vestito per indossarne un altro. Ogni volta ne prova uno nuovo e ogni volta non riesce a convincersi. La cosa è buffa ma anche irritante e dopo qualche istante si lascia cadere sul letto, arresa al fatto che non solo non troverà l’abito giusto ma che non ha nemmeno senso farlo; magari il ragazzo del bar non sarà nemmeno di turno. E magari quel gesto inaspettato è stata solo una banale gentilezza che non si ripeterà. Offesa dalla sua voce interna, Anais torna a indossare uno dei suoi classici, un maglione con dei jeans, e si avvia lungo la strada che porta in centro, raggiungendo il solito locale. E più si avvicina, più spera di incontrarlo. Non comprende questa sua voglia di vederlo, ma è comunque attratta dall’idea di farlo. Davanti all’entrata, tentenna e punta i piedi a terra, poi si decide a entrare e basta uno sguardo per far apparire sul bancone il solito calice di vino.
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