Dopo una lunga e gratificante carriera, il comandante Rocchetti è giunto al capolinea. Nel suo penultimo giorno di lavoro, ha risolto un caso di omicidio ed è pronto a godersi il tanto atteso riposo, quando il telefono squilla e una notizia inaspettata lo sconvolge!
Il sole era tramontato da poco e il comandante Rocchetti della polizia del piccolo paese trentino Baselga di Pinè, osservava il panorama da una delle cime più alte del luogo. A pochi giorni dalla terribile tempesta Vaia, la natura che lo circondava sembrava aver ritrovato la sua tranquillità nonostante alcune aree risultassero ancora provate dalla durezza del vento che le aveva attraversate. La paura aleggiava ancora tra le strade di quel di Baselga, ma a lui non interessava. L’indomani sarebbe stato il suo ultimo giorno come comandante: aveva appena concluso un’indagine alquanto bizzarra e arrestato l’assassino del signor Leonardelli, un turista in visita alla vallata. Qualcuno lo aveva colpito alla testa e poi spinto contro la staccionata fino a farlo precipitare nel recinto delle pecore.
Il luogo del delitto, la struttura Garnì Villa Lory, attrazione per turisti interessati a un soggiorno tranquillo in mezzo alla natura e agli animali. Conosceva molto bene la proprietaria Monica, un passato da fachiro e nei rodei in giro per il mondo. L’amore per gli animali l’aveva portata a salvarne diversi nella sua fattoria assieme a Param, un ragazzo indiano che la sera si improvvisava dj al karaoke sotto gli occhi divertiti della moglie Prit, che gestiva cucina e pulizie, sempre pronta a regalare un sorriso a tutti.
Il comandante Rocchetti era pronto a godersi il suo bel sigaro come premio per aver risolto il caso quando un suono elettronico squarciò in un attimo quell’immagine di perfezione. Il comandante buttò indietro la testa, gli occhi chiusi con forza come se gli stessero tagliando davanti delle cipolle, le labbra serrate a contenere un volgare turpiloquio. Con un gesto secco della mano, prese il cellulare e in pochi istanti il suo sguardo si incupì. Non era possibile. Era ancora lui, il medico legale.
Sveva Della Gherardesca era stata rilasciata. Non era lei la colpevole della morte di Leonardelli. Il medico legale aveva confermato dall’ultima autopsia che il sedativo ingerito era una quantità sì eccessiva, ma non mortale, questo era sicuro. Dopo aver appreso con profonda amarezza che il suo caso era ancora aperto, il comandante Rocchetti tornò nel suo ufficio per riesaminare le testimonianze raccolte, pronto a scovare il vero assassino. Stese sulla scrivania le cartelle dei sette testimoni.
Ognuno di loro era stato interrogato.
Ognuno di loro, a turno, come fosse un diabolico gioco, era stato accusato dell’omicidio. Ognuno di loro era stato scagionato da una nuova tesi del medico legale.
Di sicuro gli era sfuggito qualcosa, ma cosa?
Prese in mano la prima cartella: Mikail Ivanov. Ira allo stato puro. Un uomo di quarantadue anni, originario di Mosca, venuto lì per un breve soggiorno in solitaria. Avrebbe dovuto raggiungere un cugino a Venezia, ma la tempesta Vaia glielo aveva impedito e la cosa lo aveva reso alquanto seccato e infatti, la sua facile irascibilità lo aveva fatto scontrare con la vittima per via di un parcheggio che a suo avviso gli era stato rubato. Nel litigio, Mikail tirò un sasso contro la nuca di Leonardelli, provocandogli una ferita non da poco. Beccato! Il colpo subìto dalla vittima era stato forte e solo diverse ore dopo era deceduta a causa di ciò. Aveva perso l’equilibrio ed era precipitata nel recinto delle pecore, rompendo la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale: il sasso non era la causa della morte.
Prese in mano la seconda cartella: Francesco Monte. Pura invidia. Un ragazzo di trent’anni, venuto per un tranquillo soggiorno dopo l’improvvisa rottura con la fidanzata. Lei lo aveva lasciato per la sua perenne indecisione. Non faceva in tempo ad apprezzare qualcosa che ne desiderava subito un’altra e sempre altrui. La vittima era rientrata da una lunga camminata nei boschi con un enorme quantità di funghi e Francesco li voleva tutti per sé. Propose alla vittima uno scambio improponibile: un caffè al giorno gratis per i funghi.
Ovviamente la vittima rifiutò senza esitazione, ma Francesco provò a prenderglieli e nell’agitazione gli diede una testata che lo fece cadere a terra col naso sanguinante. Beccato! Il colpo subìto dalla vittima era stato forte e solo diverse ore dopo era deceduta a causa di ciò. Aveva perso l’equilibrio ed era precipitata nel recinto delle pecore e rotto la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale: la testata contro il naso non era la causa della morte.
Prese in mano la terza cartella: Camilla Pergoli, una grande avara oltre che un habitué della struttura. Alta ma dal fisico formoso, indossava sempre dei leggings neri abbinati a t-shirt dalle stampe divertenti. Aveva l’aria di chi ha sempre un motivo valido per alzarsi di buon umore al mattino e fu l’unica a confessare in maniera del tutto pacifica quella che definì una semplice marachella. Per quanto all’apparenza dimostrasse svariate qualità, era una tirchia nata. Ogni qualvolta Leonardelli voleva qualcosa da mangiare o bere al di fuori di quanto compreso nel pacchetto della sua mezza pensione, lei si offriva di prendere ciò che desiderava per conto suo e, soldi in mano, quando tornava col resto tratteneva la sua percentuale, a detta sua più che guadagnata.
Quando Leonardelli iniziò a sospettare qualcosa, lei lo aggredì, visibilmente offesa, e lo spinse così forte che cadde a terra, sbattendo la testa contro una sedia. Il ghiaccio portato da Prit sembrò dargli sollievo, anche se lamentava un gran mal di testa. Beccato! Il colpo subìto dalla vittima era stato forte e solo diverse ore dopo era deceduta a causa di ciò. Aveva perso l’equilibrio ed era precipitata nel recinto delle pecore, rompendo la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale: la caduta contro la sedia non era la causa della morte.
Prese in mano la quarta cartella: Milva Severini, un pozzo senza fondo, l’ingordigia fatta a persona. Vedova poco più che cinquantenne, doveva essere in vacanza con la figlia che però, causa tempesta Vaia, era rimasta bloccata a Trento. La madre le aveva suggerito di non mettersi in viaggio verso Baselga, chissà cos’altro poteva accadere, anche se il comandante Rocchetti aveva avuto l’impressione che volesse solo ingozzarsi delle razioni di cibo della figlia visto che aveva pagato in anticipo il soggiorno. Infatti, mangiava e beveva smodatamente, senza alcun ritegno. La discussione avuta con Leonardelli? Di estrema importanza, a dir suo, visto che si trattava dell’ultimo cornetto alla crema.
Lo placcò a mezzo metro dal bancone saltandogli addosso e lo bloccò sotto il suo peso di ben 120 chili. Rialzatosi in piedi, Leonardelli lamentò da subito dolori all’addome così forti che a stento riusciva a piegarsi o a sedere. Beccato! Il colpo subìto dalla vittima era stato forte e solo diverse ore dopo era deceduta a causa di ciò. Aveva perso l’equilibrio ed era precipitata nel recinto delle pecore, rompendo la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale: l’essere finito sotto tutto quel peso non era stata la causa della morte.
Prese in mano la quinta cartella: Riccardo Bini. Capelli brizzolati nonostante avesse da poco superato i trent’anni. L’atteggiamento da ragazzino viziato e l’aria spavalda e benestante ma solo in apparenza. L’unica cosa di cui era ricco sfondato erano le sciocchezze che diceva oltre ad una fascinosa accidia. Si atteggiava come fosse la star della struttura e disturbava il personale anche solo per farsi cambiare canale al televisore. Persino il comandante Rocchetti non comprendeva il suo soggiorno al Garnì, non era posto per lui.
Ad ogni modo, durante l’interrogatorio aveva confessato di aver messo del lassativo nella zuppa della vittima perché lo infastidiva il fatto di non avere le attenzioni di Prit tutte per lui. Non lo tollerava e voleva metterlo fuori gioco. Beccato! La cosa aveva avvelenato la vittima, e solo diverse ore dopo era deceduta a causa di ciò. Aveva perso l’equilibrio ed era precipitata nel recinto delle pecore, rompendo la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale: non era stato il lassativo a dargli il colpo finale.
Prese in mano la sesta cartella: Una donna e un uomo. Lucilla Spiga e Diego Mattarelli. Erano amanti e avevano deciso di passare un weekend romantico in un luogo un po’ isolato. Avevano chiacchierato con la vittima e condiviso un paio di cocktail, ma poi avevano scoperto di essere stati ripresi in uno dei tanti scatti che la vittima aveva fatto alla struttura e la natura circostante. Preoccupati di essere presto scoperti sui social, avevano escogitato il piano perfetto: lui avrebbe distratto il Leonardelli con chiacchiere e un buon whiskey mentre lei avrebbe rubato la chiave della stanza per recuperare il cellulare e cancellare le foto incriminanti. Se non fosse che Leonardelli, poco incline alla compagnia dell’uomo che scambiò per un invito a un ménage à trois, si defilò per raggiungere la stanza.
A quel punto, Diego lo aveva tirato per la manica del maglione, insistendo, fino a farlo ruzzolare giù per le scale. Lucilla, che nel frattempo era riuscita nel suo intento, aveva sentito il tonfo ed era accorsa a vedere cosa fosse successo, schierandosi subito dalla parte di Diego. C’era ben poco da dire: Leonardelli era scivolato. La lussuria aveva vinto sulla sincerità. Beccato! I traumi per la rovinosa caduta si erano manifestati in ritardo e ciò aveva portato la vittima a perdere l’equilibrio e a precipitare nel recinto delle pecore, rompendo la staccionata. Caso chiuso, ma poi la chiamata del medico legale smentì nuovamente la sua tesi.
Prese in mano l’ultima cartella, la settima: Sveva Della Gherardesca, la donna appena scagionata e di una spaventosa superbia. Ricca divorziata di quarantasette anni. Un fisico longilineo, i capelli rosso fiammante sempre freschi di piega, il profumo intenso e inebriante. In vacanza con i suoi tre levrieri, aveva scelto quella location per evitare la solita compagnia di amici che l’avrebbe tempestata di domande sul divorzio, nessuno l’avrebbe cercata in un posto così modesto. Ostentava ricchezza in ogni suo movimento o parola e disprezzava chiaramente il resto dei clienti.
Nessuno era alla sua altezza, persino i cani della struttura dovevano stare lontani dai suoi amati cuccioli per non contaminare la loro purezza. Si comportava come se tutto le fosse dovuto e ogni superficie su cui specchiarsi era motivo per aggiustare la sua immagine. Confessò con incredibile nonchalance di aver messo una quantità spropositata di un potente sedativo nel caffè della vittima al fine di soffocare le sue terribili avances e di averlo poi lasciato solo nel gazebo vicino alla staccionata che dava verso il recinto delle pecore e giurò che era vivo.
Ancora senza una risposta, il comandante abbandonò le testimonianze sulla scrivania e uscì dall’ufficio. Com’era possibile che nessuno di loro fosse il colpevole? Lo sguardo di chi è stato punito ingiustamente, passeggiò lungo le vie del paese, quando un rumore gli fece alzare lo sguardo. Notò un uccello planare su una staccionata riprendendo poi il volo in un istante, come se qualcosa lo avesse spaventato. “No, non poteva essere!”, pensò. Corse dal medico legale con il cuore in gola. Gli chiese se avesse completato definitivamente l’autopsia e il dottore rispose con un sì deciso, ma la causa della morte non era ancora chiara. A quel punto il comandante Rocchetti rifletté a voce alta.
«Dunque, Leonardelli è stato vittima di diversi screzi da parte dei clienti della struttura e i vari “scontri fisici” hanno forse compromesso la sua lucidità, ma nessuno, a quanto pare, è colpevole della sua morte. L’ultima volta è stato visto di sera, nel giardino esterno, mentre beveva un caffè. A quel punto si deve essere alzato, probabilmente per andare a dormire, e si deve essere appoggiato alla staccionata e…». Mostrò al medico legale le foto dei rilevamenti fatti sul posto. I due uomini si guardarono straniti.
«Comandante, direi che è chiaro che la vittima, provata dal sedativo e in parte da tutte le batoste prese in giornata, si deve essere appoggiata alla staccionata poco stabile la quale ha ceduto facendogli sbattere violentemente la testa contro il tetto della casetta delle pecore ed è precipitata altrettanto rovinosamente al suolo. Il Vaia ha creato danni tuttora non sistemati. Per ogni testimone c’è premeditazione: hanno agito consapevoli di ferire la vittima, ma non a morte. Potrebbe anche portare l’indagine in tribunale e far accusare ognuno di loro in qualche modo, ma sa che cosa direbbe una giuria?».
Rocchetti lo fissò allibito: «Che è tutta colpa della staccionata!».