Un racconto scritto a sei mani. Ispirati dalla tecnica del Cadavere Squisito. Tre scrittori. Un tema comune. Tre stili diversi che si amalgamano assieme. Un racconto scritto appositamente per l’evento Wanted Stories seguendo le rispettive idee e ispirazioni!
Ispirati da questo tema, i tre scrittori hanno dato vita a un racconto piccante e ricco di emozioni. L’input di partenza, una frase tratta dal racconto “Scirocco” e parte dell’anotologia erotica Uccellini scritta dall’autrice Anais Nin, nota anche per aver scritto opere come Il Delta di Venere.
INCIPIT – Dal breve racconto erotico dell’antologia di Anais Nin – “Incominciai a sentire rumori che venivano dalla stanza vicina, come di corpi che lottavano. Sentivo il fruscio delle stuoie, occasionalmente un mormorio soffocato. All’inizio non mi resi conto di cosa si trattasse. Una volta, mi alzai silenziosamente e aprii la porta…”
Turno 1 Linda
Ciò che vidi mi agitò come un’onda si infrange impetuosa contro gli scogli. Violenta e inaspettata. Il cuore sembrava voler uscire dal mio petto e anche se non potevo vedere il mio viso, ero più che sicura che fosse di un rosso vivo, come se avessi corso attorno al grande cortile che circondava la villa in cui mi trovavo. Rientrai in camera, mi liberai della vestaglia e tornai a infilarmi sotto le lenzuola di cotone, completamente nuda. Nonostante le avessi odiate dal primo istante per quanto erano secche e ruvide, ora le vedevo come uno scudo che mi proteggeva dalla scena appena vista. Avevo prenotato quel viaggio per stringere nuove amicizie e magari vivere anche un’avventura di una notte, eppure ora ero pentita e imbarazzata. Non mi sentivo pronta a conoscere nessuno, tanto meno a farci l’amore. Dovevo essere molto presa dai miei pensieri, perché non sentii nessuna porta aprirsi, ma qualcuno si era adagiato accanto a me, la mano appoggiata sul mio fianco.
Turno 1 Alberto
Sentivo il mio braccio destro vibrare senza capire se fosse per il mio fragile sistema nervoso o per l’adrenalina che iniziava a montarmi nel petto. Ora non sentivo più la mano sul fianco ma solamente un flebile respiro che usciva dalla narici e mi solleticava il collo: la cosa più fastidiosa che avessi mai provato. Mi alzai con calma, mettendomi seduta e infilando le ciabattine, per poi andare in bagno come se niente fosse, facendo finta di trovarmi qui da sola come in uno dei miei tanti viaggi in barca a vela. Mi lavai il viso con l’acqua fredda, gli occhi chiusi e il viso immerso nell’asciugamano morbido che profumava di gelsomino. Per un secondo, un infinito e calmo secondo, la mia mente si spense. I miei ricordi si spinsero fino a lui, la mia ancora di salvezza. Quando ci pensavo, mi sentivo al sicuro. Mi sembrava di sentire le sue mani sul mio ventre e il suo petto premuto sulla mia schiena. Era come se fosse proprio qui, dietro di me, silenzioso e pronto a farmi diventare la sua preda. Sentivo il suo calore irradiarsi fino al mio cuore per riaccenderlo ancora un po’ dopo tutte le notti fredde passate nell’ultimo interminabile inverno. «Smettila di sognare, Ester», dissi sottovoce. Lasciai cadere l’asciugamano sul lavandino e mi bloccai. Non ero sola riflessa allo specchio.
Turno 1 Monica
Due uomini con lo stesso volto erano accanto al mio. Uno vestito con una di quelle ridicole camicie hawaiane che lo divertiva tanto indossare. L’altro spoglio e magro, senza occhiali, gli occhi profondamente azzurri e grandi ancora più maledetti, inquietanti. Erano stati quelli a fregarmi, oltre alla sua voce. Dio ti prego fa che non parli. Nessuno dei due. Che non mi dica niente. Ho paura di sentire le sue parole. Era lui. Doppio. Fuori. Come lo era dentro. Io una. Unica. Troppo. Avevo sempre un troppo addosso. Lui invece diceva che ero sempre esagerata. In tutto. Anche ora che nuda mi lasciavo scrutare da quel doppio sguardo che non cercava il mio corpo ma la mia anima avevo ancora troppo sentimento sulla pelle. Lo sentivo. Aveva sempre fatto così quell’uomo, anche quando lo vedevo uno, uno come me. Quando mi faceva credere di essere della mia stessa sostanza svelandomi solo un volto, quello buono che tanto mi aveva affascinato. «Voglio fare l’amore un’ultima volta ancora con la tua anima. Penetrerò la tua mente e soltanto alla fine mi prenderò anche il tuo corpo. Tu sei mia. Non ti è concesso andartene. Ti è vietato». Aveva parlato quello nudo, quello più vero. Quello che era lui davvero. Quello con la camicia sbottonata sul petto villoso invece se ne uscì con una battuta poco felice, strano, in genere quello mi faceva tanto ridere quando parlava. «Ti sei truccata stasera. Troppo. Lo sai che non mi piacciono quelle con il rossetto, non le guardo nemmeno. Mi piacciono le donne acqua e sapone».
«Ma io sono acqua e sapone dentro. È questo che ti piace di me», cercavo di dire per difendermi dalle sue parole che giocavano con la mia anima facendola ridere, mentre quello nudo incominciava a toccarmi la mente. Ed era maledettamente bravo. Ci sapeva fare. E io mi lasciavo fare. Come sempre. Non avevo mai avuto il suo corpo.
Turno 2 Linda
Mentre la mia mente era tormentata dall’uomo che mi aveva illuso come fossi un ingenua bambina in prima fila in un circo, incantata da un gran prestigiatore, il riflesso allo specchio si faceva più vicino. Potevo sentire un corpo aderire contro la mia schiena. Delle mani che si appoggiavano alle mie spalle. E di nuovo il respiro contro il mio collo. Fu quel gesto irritante a farmi voltare, non lo sopportavo, ma prima che potessi reagire in qualsiasi modo, quella presenza mi baciò. Eravamo avvolti nel buio della stanza, la luce che filtrava dalle tende era poca e debole, ma lo riconobbi.
Era la guida turistica che ci aveva accolto al villaggio, dopo che la barca aveva attraccato al piccolo molo al nostro arrivo qualche giorno fa. Anche se le mie labbra erano adagiate alle sue, era lui a compiere ogni movimento. E quando si scostò, mi agitai all’improvviso. Non vedevo il suo di volto, ma quello dell’uomo che mi aveva ferito mente e cuore senza nemmeno mai sfiorarmi. Fui colta da un momento di follia e gli diedi uno schiaffo, poi uscii dal bagno, ma fui fermata e messa contro la parete della stanza. «Ti ho visto spiare dalla porta», disse con tono basso e quasi asettico.
«Ti è piaciuto quello che hai visto?». Trattenevo il respiro, avevo il timore che se lo avesse sentito avrebbe capito quanto il mio cuore stesse battendo forte per l’eccitazione e l’adrenalina che stavano prendendo possesso del mio corpo. La mia pelle era calda come se dentro di me si fosse acceso un fuoco che ardeva sempre più forte. Ma non era quella presenza a innescarla.
Quel lui che continuava a tormentarmi anche da lontano non usciva dalla mia testa, e il mio corpo rapito da una forza intangibile, mi spingeva tra le braccia di quello che era un semplice ragazzo, il cui volto sostituivo con un altro. Colui che era riuscito a manipolarmi come fossi solo una bambola, un gioco, un vizio, una banale piacevolezza. Quel ragazzo mi baciò di nuovo e io non resistetti. Gli presi la mano e la spinsi tra le mie gambe. Provai vergogna nel percepire quanto fossi desiderosa ma non volevo fermarlo. Non ci riuscivo.
Turno 2 Alberto
La sua mano si muoveva bene, le sue dita mi accarezzavano nei punti più caldi prima dolcemente, poi mi stringevano con energia. Tornavano ad accarezzarmi e poi di nuovo a toccarmi con passione. Bastarono pochi secondi e gemetti di un piacere che non avevo mai provato prima. Sentii le mie cosce bruciare mentre lui non si fermava e io lo lasciavo fare. Socchiusi gli occhi, iniziai a baciare la sua spalla, poi il petto, all’improvviso la mia mente si bloccò mentre il mio corpo si lasciava andare, lui mi accarezzava il seno, tornava tra le mie gambe, mi faceva godere con le sue mani. Il mio corpo bramava piacere, voleva essere posseduto, i miei occhi erano invece fissi sulle parole che erano tatuate sottili sul suo addome Mente e corpo conquistano colui che non ha fama di possedere.
E nella mia testa di nuovo quell’immagine sdoppiata dell’uomo che mi aveva rapito i pensieri e che non mi aveva mai concesso il suo corpo, nemmeno lui aveva mai sfiorato il mio, trattandolo come fosse un inviolabile giaciglio di petali di rosa. Stavo per impazzire, lo sentivo nella mia testa, quello con la camicia sbottonata diceva: “Alla fine ti sei fatta togliere il rossetto, non è da brava ragazza, te l’avevo detto che ti preferivo struccata”. La sua immagine nella mia mente rimase immobile, la sua testa girò di 360 gradi e comparve quello magro senza occhiali, la camicia scomparve e disse: “La tua anima è ancora mia, lasciati profanare quanto vuoi, fai l’amore con chi vuoi, non ti libererai mai di me. Potranno prendere la tua carne, penetrare ogni angolo della tua intimità, ma la tua mente correrà sempre da me”.
Quanto avrei voluto che non avesse ragione. Le mie sbarre erano fatte di capelli, i miei confini di ossa craniche. Separata da me stessa. Io che ero sempre stata una e unica. Era come se mi stessi osservando dall’esterno. Quel ragazzo mi stava baciando premendomi al muro, la stanza odorava dei nostri corpi. Lui mi spingeva forte e io respiravo a bocca aperta, gli occhi chiusi. Nei pensieri sempre lui, la mia ancora di salvezza o il sasso al collo che mi farà annegare? Lo vidi venirmi incontro e sentii nitidamente la sua voce, non era dell’uno o dell’altro questa volta ma una voce unica, un sussurro con un tono che non avevo mai sentito. “Ester, scappa! Non ti avrà. Tu hai soltanto me. Io solo esisto e ricorda che senza di me saresti solo carne e cenere”.
Turno 2 Monica
Sentire la sua voce roca piena del suo volermi bene, fece riaffiorare tutta l’immensità del mio sentimento verso quell’uomo che avevo in mente e che mi divorava da tempo, pur non avendolo mai posseduto. Mi parve di udire la sua voce sorridere con una sottile punta di amore mentre mi implorava di scappare. Scappare da un’avventura di una notte? Scappare dalla mia voglia di fare l’amore? O scappare da lui che non mi toccava pur dicendomi sua?
Oh, se solo potessi essere certa del suo amore per me, se solo potessi averlo, sarei una donna felice. Ma se davvero gli importasse qualcosa di me sarebbe lui nel mio letto. Sarebbero le sue mani a toccarmi con desiderio, sarebbe la sua bocca a scendere sulla mia, cercando, esigendo. Continuavo a pensare a lui mentre ero sempre più consapevole del corpo duro e voglioso del giovane amante premuto sul mio. La mia coscienza era sempre più stimolata dal contatto, il sapore e l’odore di quell’uomo che si muoveva su di me. Sentii accendersi una scintilla che mi scosse il corpo e mi accese la mente e mi lasciai lentamente andare dentro un vortice di sensazioni tutte piacevoli e provocanti. I nervi mi si sciolsero in una calda eccitazione dilagante. Cessai di dibattermi.
«Ti arrendi così facilmente? Mi era sembrato di sentire un po’ di fuoco nell’ondeggiare dei tuoi fianchi. Allora non mi ero sbagliato. C’è parecchia voglia sotto la cenere». Mi ritrovai ansimante a fissare i suoi occhi. Le braccia scivolarono intorno al suo dorso e la mia passione eguagliò quella di lui. Lo strinsi più forte a me mentre lo accoglievo, spingendolo dentro di me, andandogli incontro, soddisfandolo. I miei occhi erano pieni di lacrime mentre mi penetrava e sentivo la voce dell’altro dentro la mia testa, “Non innamorarti di me. Mi dispiacerebbe ferirti”.
Dio quanto lo amavo, Dio quanto lo detestavo perché aveva l’abilità di intenerire il mio cuore contro la mia volontà, gli bastava prendermi tra le braccia e parlarmi per abbattere ogni mia resistenza. Ma io volevo anche il suo corpo, lo desideravo alla follia mentre venivo presa ed eccitata da un uomo che non conoscevo. E mentre veniva dentro di me e io venivo travolta dall’orgasmo, ansimando il nome dell’uomo con cui avevo fatto l’amore solo con la testa, il giovane si staccò bruscamente dal mio corpo con lo sguardo ancora lascivo e sprezzante, dopo essersi pienamente soddisfatto.
«Saresti venuta da me spontaneamente se non mi desiderassi come desideri quell’altro?». Lo sguardo dell’uomo frugava negli abissi dei miei occhi con la stessa forza impetuosa con cui prima aveva penetrato la mia intimità. «Dopo questa notte il mio amore è tutto ciò che mi rimane. L’uomo che amo non avrebbe bisogno di pregarmi di portarmi a letto, di prendermi così e di concedergli quello che gli spetta. Tu hai soltanto preso quello che avevo conservato per il mio uomo. Tuttavia il mio amore mi è rimasto e lo posso donare o negare a chi voglio a seconda delle mie voglie».
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LINDA MOON – ALBERTO SARTORI – MONICA VACCARETTI
FINALE LINDA – Un sapore di ferro
Il ragazzo uscì dalla stanza e mi piombò addosso una grande tristezza. Era come se assieme a lui fossero usciti il mio desiderio, l’eccitazione della mia mente, l’odore di pelle sudata macchiata della nostra intimità, ma anche la mia poca sicurezza, la persona migliore che pensavo di essere in quel posto, lontano da casa. All’improvviso le lenzuola ruvide non divennero solo uno scudo, ma una sorta di isolante che mi divideva dal mondo reale. Mi coprii fin sopra ai capelli e mi rannicchiai. Piansi qualche lacrima a fatica. Non volevo farlo, ma mi sentivo così impotente, debole, un’inetta. Fui presa dalla collera, mi odiavo per ciò che provavo verso un uomo che era solo un bugiardo, un manipolatore, un falso e vigliacco ma non potei fare a meno di pensare a lui mentre stringevo il cuscino. Lo desideravo più di me stessa. Nonostante tutto.
Forse la sensazione che provai quella sera non sparì del tutto. Forse si era evoluta e si era insinuata, diabolica vendicatrice, nelle mie ossa, nel mio sangue, nel più profondo del mio emisfero destro dove le emozioni erano ormai tramutate in intenzioni. Non so se fossi stata offuscata da tutto ciò, ma il mio raziocinio mi fece pensare a questo. Agli agenti di polizia, però, ciò non interessò. Non capivano. Scuotevano il capo, convinti dell’unica verità per loro credibile e logica. Se solo avessero provato ciò che provavo io, non sarei in manette, seduta in una stanza asettica e fredda. Forse serviva loro tempo. Per capire. Per sviluppare la giusta empatia.
Quando una donna mi fece alzare e reclamò i miei vestiti, osservai sgomenta le mie mani sporche di terra e sangue e in quel momento sentii la mente abbracciare il mio cuore, euforica. Mi venne ordinato di pulirmi e io eseguii, in silenzio, travolta dalla rapsodia di emozioni che a mano a mano cresceva dentro di me. Osservai la mia immagine allo specchio. Terra e sangue, ancora. E ora vidi lui. Sdoppiato. Quello con la camicia hawaiana che mi faceva sempre ridere e quello dal viso magro e quasi assente. Sembravano pietrificati, come se mancasse loro la parola, come se non fossero più in grado di respirare. Allungai la punta della lingua sulle labbra. Il sapore di ferro era forte e i miei occhi brillavano di adrenalina mentre mi sentivo leggera come l’aria, quasi sospesa nel mezzo della stanza. Sorrisi allo specchio. Sorrisi a quei due uomini. Mai nella vita la mia immagine era stata così viva, così bella e in pace col mondo. Sorrisi ancora, poi scoppiai a ridere. Risi di gusto, come non facevo da tempo. Fu strano, quasi un sogno, sentire l’anima risvegliarsi come da un lungo sonno…
FINALE ALBERTO – Vizio capitale
Non proferì parola. Si alzò e si rimise i jeans, prese in mano le infradito e uscì dalla stanza. Ritornò alla camera dove avevo visto quella scena che mi aveva eccitata e spaventata al tempo stesso: oltre a lui c’erano un altro ragazzo e una donna sulla cinquantina, piena di anelli e collane d’oro, che li possedeva entrambi e li teneva al guinzaglio come fossero due cuccioli da ammaestrare. E invece ora sono qui da sola a guardare il soffitto. Nella testa una confusione mai provata prima. Con chi avevo appena fatto l’amore? Con l’uomo nella mia testa o con il ragazzo sul letto? Non c’era una risposta univoca. Probabilmente con nessuno dei due. L’amore è fatto di mente e corpo assieme, due parti indivisibili che si donano all’altro. Non esiste carne senza pensieri. Piano piano mi misi seduta e mi alzai. La testa girava e le mie cosce erano ancora bagnate dall’eccitazione. Misi un paio di pantaloncini e una maglietta. Camminando lenta, uscii dalla porta della mia camera. Ero stanca ma stranamente lucida. Il corridoio era illuminato da una sola candela. Iniziai a notare una serie di dettagli che non avevo visto al mio arrivo. Eravamo sul lato nord della villa, una zona dedicata integralmente alle camere da letto. Una… due… tre… Sette porte oltre a quella d’ingresso. Tutte sullo stesso lato del corridoio, tutte a uguale distanza. Moquette sul pavimento color sabbia, muri intonacati di un bianco anonimo, nessun quadro, nessun mobile, la candela su un vecchio candelabro di latta appoggiato a terra. Socchiusi gli occhi. Sulla mia porta una targhetta: Gola. Un brivido sgattaiolò lungo la mia spina dorsale e la mia temperatura corporea si abbassò di colpo. Andai a leggere le targhette sulle altre porte.
Ira. Avarizia. Invidia. Superbia. Accidia. Lussuria. “Gola? Cosa c’entra con quello che ho appena vissuto?”, dissi a voce alta. Un cassettino della mia memoria si aprì all’improvviso, come se gli avessi dato un preciso comando. Ricordai le parole del professore di lettere: Gola è descrivibile come l’insaziabilità su tutti i piani, quindi sia materiale che spirituale. I miei pensieri erano in contrasto tra loro, non ero insaziabile, ero solo confusa. O ero forse insaziabile d’amore? Amore materiale per il ragazzo a cui mi ero appena donata? Amore spirituale per l’uomo dei miei pensieri? Ma soprattutto, chi mi aveva destinato a questa stanza? Mi sembrava di essere stata manovrata, una vecchia marionetta che può parlare solo attraverso un ventriloquo. All’improvviso si aprì un’altra porta ma non uscì nessuno. La mia curiosità venne investita dalla paura. Era la porta della Superbia. Ma non mi importava, ne avevo già avuto abbastanza di quella “vacanza”. Andai verso la porta d’ingresso e uscii. Mi voltai per tirarla e chiuderla bene e nella fessura che si stava sempre più riducendo lo rividi, spoglio e magro, senza occhiali, gli occhi azzurri e grandi ancora più maledetti, la camicia hawaiana in mano, pronto per diventare l’altro.
Superbia: radicata convinzione della propria superiorità. «Mi dispiace Diego», sussurrai nella penombra, «La mia mente non sarà più tua», e la porta si chiuse con uno scatto.
FINALE MONICA VACCARETTI – Sono una rosa bianca spruzzata di vino
Girai la testa sul cuscino dall’altra parte. Non sopportavo il suo sguardo ancora posato sul mio corpo, non volevo restare negli occhi di quello sconosciuto, né guardarlo come ci si perde negli occhi dell’amato dopo l’amore. Nel momento in cui lasciava il mio corpo e, sollevando le lenzuola se ne andava e si infilava i pantaloni senza dire una parola, le lacrime mi scivolarono sul naso, le labbra e la guancia, bagnando il lino della federa. Fu un pianto silenzioso e ferito. Lui non lo sentii o finse di non accorgersi del mio silenzio. Dentro urlavo per non sentirlo attorno a noi due, in quella stanza che ora era diventata improvvisamente fredda. Rabbrividii, cercai il lenzuolo per coprirmi senza mai voltarmi. Sentii che non mi guardò nemmeno prima di uscire.
Quando la porta si richiuse, restai ancora un poco immobile a guardare il riflesso delle mie gambe tra le tende della finestra aperta che dava sul giardino. Apparivo e scomparivo mossa dal venticello che le faceva ondeggiare e frusciare lievemente. Poi mi raggomitolai abbracciandomi e restai immobile per ore finché l’alba non mi trovò addormentata e tormentata. Avevo un unico pensiero. Dove sei, amore mio? Mi svegliai che era già tardi, con le gocce di pioggia e un cielo buio di tempesta che incupiva la camera. Sentivo ancora addosso l’eccitazione di quella notte folle e la tristezza della notte appena consumata. Feci per toccarmi i seni nudi, i fianchi, le cosce. Cercandomi. Sentivo ancora le sue mani dappertutto. Provai ancora voglia sotto le lenzuola, avevo fatto una sciocchezza a lasciarmi andare così ma quell’uomo era stato maledettamente bravo. Ma che diamine, come avevo potuto cedere e subire la sua violenza? No, lo avevo voluto anch’io alla fine, avevo accettato il suo gioco perverso ben sapendo quel che gli avevo visto fare nella stanza accanto, prima che venisse da me lasciando l’altra e mi trovasse in bagno. Pensavo e mi toccavo. Ma che diamine? Non ero nuda. Il mio pigiama di lino mi copriva leggero. Mi voltai dall’altra parte, verso la porta da dove era entrato e se ne era andato. Era socchiusa. Nel girarmi mi punsi il naso con una spina. Una rosa bianca era posata sul cuscino. Mi alzai di scatto, stupita. Possibile che fosse tornato indietro a donarmi un fiore? E che mi avesse rivestita? Non aveva senso. Mi alzai con la rosa in mano e mi guardai attorno, confusa.
Ero nella mia camera da letto. Non ero in nessun posto diverso da qui. Era stato solo un sogno. Nessun uomo nel mio letto. Nessuna notte erotica senza amore. Niente. Solo una fantasia. Mi sedetti sulla poltroncina settecentesca accanto alla finestra e mi portai alle labbra i petali del bocciolo di rosa. Non ero andata da nessuna parte, non avevo fatto nessuna follia. Sentii un misto di sollievo e di delusione. Almeno nel sogno ero riuscita a tradire il pensiero di quell’uomo che diceva di amarmi ma non mi voleva. Ero riuscita a essere femmina oltre che donna. Sul comodino c’erano ancora la bottiglia di Vespaiolo e il calice. Avevo bevuto troppo. Avevo annegato nel vino la malinconia e la solitudine della sera prima. La rosa l’avevo rubata al roseto del parco tornando a casa dopo il lavoro. E prima di perdere i sensi nell’ubriachezza, me l’ero messa sul guanciale accanto a me. Come fanno gli amanti dopo l’amore, prima di andarsene e lei, come capita nei film, si risveglia felice del dono e di essersi donata. Volevo svegliarmi con l’illusione e con la bellezza di un mio gesto romantico. Per me. Da me. Invece avevo sognato l’impossibile. Era sembrato tutto possibile. La mente inganna quando sogna intensamente il desiderio, rendendolo così vivo tanto può essere struggente. Allora la prossima volta cospargerò il letto di petali rossi e ci farò l’amore sopra. Da sogno. Nel sogno. Come capita nei libri di Danielle Steel. Sì, la prossima volta sarà bellissimo. Con una bottiglia di Garganega sul comò’, farò meglio delle tre civette con la figlia del dottore. Poi proverò con un Pinot grigio, chissà dove mi porteranno i solfiti. E con uno Chardonnay magari farò l’amore su un prato di lavanda o un vigneto nel sud della Francia. Magari in ogni bottiglia trovo un uomo diverso. Da stappare. Sorrido delle mie giocose fantasie sessuali, penso che sono soltanto una rosa bianca. Sola. Elegante. Pura. Di una bellezza solitaria. Che ha paura. Di amare.
“Matrimonio d’amore” di Hauser mi suona al cellulare. Che suoneria intonata, al momento e al mio umore! Lo lascio squillare, soltanto per sentire il violoncello che mi tocca qualche corda dentro e mi commuove ancora fino alle lacrime. E poi non ho voglia di parlare con nessuno. Quando la musica si interrompe, arriva un messaggio. È lui. L’uomo dello specchio, quello del sogno nella vita reale.
“Buongiorno ragazza con le ali. Stasera vengo da te”. La corda si spezza. Forse stanotte non sarà soltanto un sogno. Ma farò in modo che lo sia. Lascerò sul comodino due bottiglie di vino bianco, bianco come la mia rosa sul cuscino, e due calici a coppa. A coppa, grande, della misura dei miei seni. Ci sono etichette di vini per ogni occasione. Prima, con i baci e gli abbracci, brinderemo con l’euforia del Tempo Perduto. E poi il Tempo Ritrovato ci troverà nudi insieme. E con la rosa bianca spruzzata di vino saprai che farmi.