Cosa potrebbe succedere se due persone rimanessero chiuse in ascensore per 12h?
Dopo un primo e probabile spavento, potrebbero perdersi in chiacchiere e sperare assieme di uscirne vivi.
Ma se le persone in questione si odiano da morire? Ecco, questa è tutta un’altra storia…
STORIA INTERATTIVA
Il team di Wanted Stories ha chiesto tramite un sondaggio su Facebook un input per iniziare a scrivere una storia sulla base del tema “DUE PERSONE CHE SI ODIANO RIMANGONO CHIUSE IN ASCENSORE PER 12 H”. Ne abbiamo ricevuti diversi e la scelta (non facile) ci ha portato a tenerne addirittura due!
Dopo aver scritto il primo turno, abbiamo chiesto al pubblico l’andamento della storia proponendo “botte da orbi” VS “emozione galoppante” e abbiamo scoperto che il nostro pubblico è fatto di gran teneroni:l’emozione ha stravinto!
Ecco il racconto che io, Linda Moon, ho sviluppato con Alberto Sartori. Buona lettura!
Era un martedì come tanti in una fredda mattina di Dicembre a New York. Carlo e Serena fino a quel momento erano due perfetti sconosciuti e non sapevano nemmeno che quel giorno i loro destini si sarebbero incrociati in una situazione molto particolare. (input di Ermes Basso)
Serena era emozionata ma allo stesso tempo nervosa per un importante colloquio che aveva presso la Gagosian Gallery in Madison Avenue. Era la sua grande occasione! Aveva appuntamento con l’agenzia delle risorse umane al ventesimo piano di un edificio sito nelle vicinanze della galleria. Doveva compilare alcuni moduli prima del colloquio ufficiale. Raggiunse l’ascensore a passo svelto ma titubante sul suo tacco dodici mentre reggeva un caffè ancora bollente preso al volo da Starbucks. Al decimo piano, però, le porte si aprirono e il ragazzo che le apparve davanti mutò completamente l’espressione sul viso di Serena. (input di Daniela Zanconato)
Turno Alberto
“Buongiorno!” disse Carlo portando indietro i folti capelli biondi. Da parte di Serena nessun cenno di risposta. Sembrava fissare le scarpe del ragazzo firmate Louis Vuitton. Probabilmente non ne aveva mai visto un paio di così costose. Dava l’impressione di trovarsi per la prima volta nell’ascensore di un edificio prestigioso. E come dar torto al suo imbarazzo? Carlo fece leva su tutto il suo carisma e le rivolse di nuovo la parola.
“Buongiorno, a che piano deve salire?
Turno 1: Linda
Lei non lo degnó d’uno sguardo, ma non voleva risultare sgarbata, non in quel momento almeno. “Vado al ventesimo piano” si limitó a dire e strinse i manici della borsa nella speranza che l’ascensore arrivasse presto a destinazione. Doveva concentrarsi sul colloquio e non farsi distrarre da quel pomposo e ricco ragazzo che detestava. E come non farlo? I giornali lo presentavano come un ragazzo destinato a grandi cose, ma gli scandali erano il suo forte e pareva pure vantarsene. Si sentiva osservata ma continuava ad ignorarlo, fissando i numeri dei piani che man mano si illuminavano. Non vedeva l’ora di uscire da quello spazio angusto nonostante potesse contenere almeno quaranta persone. Non sopportava i tacchi che le stavano provocando le vesciche, inoltre strizzata in quel tailleur sotto al cappotto, si sentiva soffocare e quando il tasto del diciottesimo piano si illuminò, un rumore metallico assordante la fece spaventare e le luci al neon per un attimo si spensero.
“Dio mio, che succede?” chiese a voce alta.
Turno 1: Alberto
“Cosa vuole che sia successo? Si è fermato l’ascensore” rispose Carlo. E quando una sirena iniziò a suonare, Serena urlò terrorizzata. “Aiuto! Qualcuno ci aiuti!”. Ancora al buio, iniziò ad allungare le mani per cercare un appiglio ma le muoveva nel vuoto. Improvvisamente la luce si riaccese e quando si voltò, vide Carlo a petto nudo. Giacca, camicia e cravatta erano a terra. Lei lo guardò basita. Lui era rosso in viso dalla collera. Calò il silenzio totale, nemmeno la sirena suonava più e quando Serena schiuse le labbra per parlare, si rese conto che non reggeva più il caffè bollente tra le mani. I vestiti di Carlo erano macchiati e a terra una chiazza nera si allargava lenta sul pavimento.
Turno 2: Linda
Serena rimase a bocca aperta, anche se uno sguardo compiaciuto apparve sul suo volto per sparire non appena Carlo la fissò. Era parecchio scocciato. “Aspetta, prendo qualche fazzoletto. A proposito, io sono Serena” disse mentre rovistava nella borsa senza smettere di trattenere una risata. “E che cosa me ne faccio? Guarda che hai combinato! Questo completo vale tremila dollari e ora è da buttare. Spero sarai contenta!”. Lui continuava a guardare affranto il suo vestito. “Arrangiati allora!” disse Serena lanciando ai suoi piedi il pacchetto di fazzoletti. Mise il broncio ed incrociò le braccia. In quel momento lo avrebbe preso a schiaffi. “Proviamo ad uscire da qui piuttosto!” e si avvicinò ai pulsanti cercando quello per contattare la sicurezza.
“Le faremo sapere?” disse facendo una smorfia verso Carlo. “Ma che razza di risposta è? Siamo bloccati qui ed è tutto quello che hanno da dire?”. Serena era sempre più nervosa. Si mise in un angolo e sbuffò, mentre lui si lasciò scappare un sorriso. “Ti fa ridere questa situazione?”. Carlo la fissò sicuro di sé, facendosi molto vicino a lei che arrossì imbarazzata. Per un attimo si guardarono senza dire una parola. Serena era paralizzata e pensò che fosse molto inopportuno che ci provasse con lei proprio in quel momento, ma poi Carlo premette il tasto per contattare la sicurezza.
“Pronto, qui la sicurezza”.
“Buongiorno, sono Carlo Riggi, amministratore delegato della HR Executives e sono bloccato nell’ascensore”.
“Sig. Riggi, ci scusiamo per il disagio. Mandiamo subito qualcuno a risolvere il problema”.
“Grazie!” e si mise al lato opposto di Serena, guardandola in silenzio mentre indossava la giacca sopra alla bianca canotta di cotone e piegava la camicia con cura. Aveva l’aria compiaciuta, al contrario di Serena la cui espressione era a dir poco furiosa.
Turno 2: Alberto
Più Carlo la fissava, soddisfatto di averla zittita, più quel viso gli sembrava familiare. Aveva l’aria della brava ragazza. Trucco delicato. Capelli biondi raccolti in una coda. Abbigliamento semplice ma elegante. Non era il genere di ragazza che frequentava, eppure era sicuro di averla già vista da qualche parte. E dopo qualche istante, l’illuminazione. “Oh mio Dio!” si fece sfuggire a voce alta.
“Che cosa c’è?” chiese lei con l’aria di chi si aspetta un’imminente catastrofe.
“Ah, niente. Ho un appuntamento molto importante tra poco e lo salterò di sicuro se non ci tirano fuori da qui” riuscì a dire Carlo in fretta e furia. A stento dovette trattenersi dal nervoso che gli stava suscitando Serena. Quella maledetta!
Adesso ricordava tutto. La voglia dietro al collo era inconfondibile. Ricordò di aver pensato che se ci avesse disegnato due punti e un sorriso stilizzato, sarebbe sembrata un fantasma. Era quella disgraziata che due settimane prima gli aveva rubato il taxi da sotto il naso, facendolo tardare ad una cena con una famosa modella che non solo aveva fatto una scenata epica non appena si era presentato e lasciato un conto salato da pagare, ma che lo aveva liquidato a fine serata con un “Grazie ma non penso vorrò rivederti!” umiliandolo in pubblico e creando l’ennesimo gossip, cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Aveva giurato a se stesso che si sarebbe vendicato se mai l’avesse rivista e ora che era ad appena un metro da lui, pensò che il karma avesse uno strano modo di agire quel giorno.
Turno 3: Linda
Nonostante Carlo avesse avvisato della sua presenza nell’ascensore, sia lui che Serena erano ancora bloccati lì dentro ed erano passate già due ore. Carlo sedeva a terra, scrutando il cellulare mentre Serena era in piedi dall’altro lato, la schiena contro la parete, e stringeva il cappotto tra le braccia, sbuffando di tanto in tanto in maniera pesante.
“Puoi smettere di farlo?” chiese Carlo in tono seccato.
“Fare cosa?”.
“Respirare forte. E’ fastidioso”.
Serena alzò le sopracciglia, visibilmente infastidita. “Mi scusi Sig. Riggi, farò in modo di non respirare affatto!” sbottò seria e distolse lo sguardo altrove. Carlo si alzò in piedi e provò nuovamente a ricontattare la sicurezza, che rispose prontamente anche se la situazione non era affatto invariata. Sospirò forte, le mani sui fianchi, e si lasciò scappare una parolaccia. Serena scoppiò in una risata. “E sono io quella fastidiosa?” intervenne lei scuotendo il capo.
“Ti conviene non esagerare, ladra di taxi!”.
“Scusa, come mi hai chiamato?”.
“Hai capito bene! Due settimane fa stavo salendo su un taxi e tu me l’hai letteralmente rubato da sotto il naso!”. Carlo allargò le braccia per enfatizzare il suo disappunto.
“Ora ricordo… e guarda che quel taxi l’avevo fermato io per prima. E poi hai sicuramente mille modi diversi per spostarti. Io no!”.
“Avevo una cena importante!” disse urlando. Si stava davvero innervosendo e il caldo si faceva sentire in quello spazio che ormai era stretto anche solo per due persone.
“E con chi? Con l’oca di turno? Dovresti ringraziarmi, ti ho fatto un favore!”.
Carlo fece per parlare, ma preferì mordersi la lingua. Sperava solo che la sicurezza intervenisse al più presto.
Turno 3: Alberto
Carlo si assopì e anche Serena entrò in uno stato di dormiveglia. Passarono ben otto ore senza che i due se ne accorgessero, travolti dalla stanchezza e dal sistema nervoso in mille pezzi. Fu come passare una notte intera di sonno tutt’altro che riposante. Si svegliarono quasi di soprassalto quando sentirono un rumore metallico. Forse qualcuno li stava finalmente soccorrendo, ma persero presto le speranze quando piombò nuovamente il silenzio. Guardarono entrambi i loro cellulari, le batterie erano ormai esaurite. Non avevano più contattato la sicurezza ma Carlo, estenuato, decise di ritentare.
“Pronto, sicurezza”.
“Sono sempre il Sig. Riggi e siamo ancora chiusi in ascensore!” tuonò furibondo.
“Quale ascensore? Sono Andrea e ho appena iniziato il turno. Ah sì, eccovi lì, vi vedo dalla telecamera. Mando subito qualcuno” e riattaccò. Carlo non ebbe nemmeno la forza di arrabbiarsi e si sorprese quando si sedette accanto a Serena.
“Che situazione surreale” disse, lasciandosi scappare una piccola risata.
“Potresti stare un po’ più in là e non invadere il mio spazio vitale? Non togliermi quel poco ossigeno che mi rimane…” disse lei, ma la voce non era quella di una persona arrabbiata. Era ormai distrutta. In quel momento, spinto dall’istinto, Carlo le prese la mano. Era come se la sua mente non riuscisse più a comandare i movimenti del corpo. Fino a poche ore prima odiava quella ragazza. Ora non riusciva a capacitarsi di quel gesto. Serena non lo respinse, anzi. Se ne restarono così, in silenzio, senza dire niente e a fissare la parete opposta dell’ascensore. Le mani sempre strette l’una all’altra. Il battito di Carlo era stabile sui cento al minuto. Non riusciva a gestire la sensazione del calore del palmo di Serena contro il suo.
Ultimo Turno Linda
Serena sentì lo sguardo di Carlo su di lei. I loro respiri viaggiavano all’unisono. E quando si voltò era palese e al tempo stesso incredibile l’attrazione che provavano l’uno per l’altra. Si erano odiati ancor prima di conoscersi. Avevano discusso mandandosi mentalmente a quel paese. Ora invece tutto era cambiato. In quasi dodici ore erano passati da nemici a qualcosa come due anime, forse, innamorate. In quel momento un altro rumore metallico rimbombò in quello spazio, ma loro non si mossero. E quando le luci si spensero, le loro lingue si cercarono, quasi con foga. Serena pensò che quello fosse il più bel bacio mai ricevuto. Carlo pensò che per la prima volta dopo molto tempo, baciava una ragazza desiderandolo per davvero. Era un momento quasi surreale e quando le luci al neon tornarono timidamente ad illuminare la stanza, Serena si allontanò di scatto, alzandosi velocemente per chiamare la sicurezza e in meno di un minuto le porte finalmente si aprirono.
Ecco i finali
Finale Alberto
“State tutti bene?” chiese il tecnico che era appena riuscito ad aprire le porte. Non ci fu risposta.
Serena si fece largo ed uscì dall’ascensore. Si mise a correre ma i tacchi la infastidivano parecchio così se li tolse, lanciandoli sul lato del corridoio che si apriva davanti a lei. I pensieri vorticavano nella sua mente e non le davano tregua. Stava reagendo come aveva sempre fatto nella vita: scappando dall’amore. Forse è quella sensazione iniziale che un po’ tutti proviamo. Quando sentiamo qualcosa di vero per una persona, subentra quasi una piccola paura. La paura che sia un errore, che non tutto possa andare per il verso giusto, la paura di non sapere se sia davvero qualcosa di buono. A volte questo ci blocca, a volte invece ci lasciamo andare e viviamo il presente senza pensare tanto a quello che sarà.
“Serena è ora di smetterla di fare la bambina” disse a se stessa. Si voltò e vide Carlo poco distante da lei mentre le andava incontro. Sentì una lacrima scendere sul viso fino al bordo delle labbra, la assaporò e sentì che era dolce di passione. Conteneva la stessa dolcezza dello sguardo di Carlo in quel preciso istante. Lui la raggiunse e si fermò di fronte a lei, naso contro naso. Le accarezzò il viso e spinse una piccola ciocca di capelli dietro all’orecchio. I respiri si fondevano tra loro.
Serena si allontanò di qualche centimetro per poter vedere meglio i suoi occhi. Brillavano di quella luce flebile simile ad una stella lontana che vibrante si annega nelle nostre iridi. Serena chiuse gli occhi. Le labbra di Carlo rimasero lontane, sentiva le sue che stavano fremendo in attesa di un altro bacio che non arrivò. Riaprì gli occhi e lo guardò di nuovo. L’amore che scorreva tra loro era così evidente. Tutta la chimica dei loro corpi era sintonizzata sulla stessa frequenza. Finalmente Carlo si mosse, mise una mano in tasca e…
“Tieni Serena, questo è il mio biglietto da visita. Chiamami stasera” e se ne andò.
Finale Linda
Davanti a loro quattro uomini della sicurezza e due che sembravano essere i manutentori dell’ascensore. Serena li guardò in modo bizzarro, come se fosse stupita nel vederli e senza dare attenzione alle parole di uno di loro, che probabilmente le stava chiedendo se stesse bene, proseguì a camminare senza voltarsi.
“Serena”. La ragazza non si voltò, ma sapeva che Carlo le stava dietro. “Serena, aspetta!” disse prendendola per un braccio. “Aspetta!”. Finalmente la ragazza si voltò ma teneva la testa bassa. All’improvviso era tornata la timida e impacciata ragazza che barcollava su un tacco dodici. “Che cosa c’è?”. Evitava di proposito il suo sguardo. Carlo non disse nulla, ma la baciò ancora. A quel punto Serena si scostò, allontanandolo. Lui la fissò sgomento.
“Quello che c’è stato prima in ascensore…”. Lei lo interruppe.
“Non era niente di importante. Eravamo stanchi… siamo stanchi”.
“Io non credo. Ho provato qualcosa di travolgente e so che lo hai provato anche tu!”.
“Sì, forse. Ma ora che siamo fuori da quell’ascensore tutto torna come prima. E tu lo sai meglio di me!”.
“Sai cosa, io credo che tu abbia paura ad ammettere che è nato qualcosa tra di noi. Sento che c’è qualcosa…”. Serena gli si piazzò a pochi centimetri dalla faccia, lo sguardo non più timido ma aggressivo. “Non potrei mai stare con uno come te. Oggi mi ameresti e domani ameresti un’altra donna. Non sei affidabile!”. Carlo si ritrovò a stringere la camicia macchiata di caffè mentre vedeva Serena allontanarsi, quando lei si voltò di scatto. “Non siamo più prigionieri tra quattro mura e a meno che non accada di nuovo, non sapremo mai che cosa proviamo l’una per l’altra” e sparì oltre una porta di sicurezza, i tacchi in mano, mentre scendeva le scale fino al piano terra.
Raggiunto l’ingresso dell’edificio, Serena rimase a bocca aperta. Non solo si stupì di vedere che il sole era tramontato da ore e aveva lasciato spazio alle migliaia di luci artificiali che illuminavano Madison Avenue, ma vide anche Carlo, al centro di un piazzale, in manette. “Carlo ma che cosa è successo?” chiese letteralmente sconvolta. “Ho insultato questo agente”. Lei sgranò gli occhi, dandogli del pazzo. “Sig.Riggi, la prego mi segua” disse l’uomo in divisa. Serena li fermò, voleva altre spiegazioni. “Che cosa stai combinando? È una tua trovata questa, non è vero?” disse sbuffando. Lui rise. “Lo sapevo. Sei proprio un cretino! E questo agente? Scommetto che è tutta una messinscena!” e gli buttò a terra il cappello, invitandolo in maniera elegante ad andare a quel paese. In pochi istanti, Serena fu arrestata per aggressione e portata assieme a Carlo al distretto n.24 di New York. La ragazza aveva provato a ribellarsi, ma le era stato caldamente consigliato di non dire altro e di contattare un avvocato. A quel punto aveva taciuto ma il suo io interiore aveva già commesso diversi reati nei confronti di Carlo che, a quanto pare, era l’unico ad essere tranquillo.
Neanche a farlo apposta, furono messi in due celle separate ma una parete, o meglio un lato con le sbarre, era in comune. Lei lo guardò alzando le braccia, in attesa di spiegazioni. Lui sorrise, le mani in tasca. Aveva uno sguardo vittorioso, ma dolce. “Allora?” disse lei avvicinandosi alle sbarre. “Vuoi dirmi che cosa succede?”. Lui fece un paio di passi in avanti. “Siamo prigionieri tra quattro mura, o meglio, sbarre. Ora possiamo sapere cosa proviamo l’uno per l’altra. Penso che abbiamo tutto il tempo del mondo…”.
Lei non disse niente. Era la rabbia in persona. Aspirò forte dalle narici, proprio come i tori nei cartoni animati, poi il suo sguardo si distese.
“Appena usciamo di qui ti faccio a pezzi”.
“Provaci, ladra di taxi”.
“Casanova dei miei stivali”.
“Imbranata sui tacchi”.
“Stupido ragazzino viziato”.
“Imbranata con caffè”.
A mano a mano che si insultavano si avvicinavano sempre di più, come se il volume delle loro voci aumentasse passo dopo passo.
“Sei ridicolo nel tuo completo da tremila dollari”.
“E tu non hai buoni riflessi”. A quella frase Serena aggrottò la fronte, e fu a quel punto che lui la sorprese, afferrandola per gli avambracci e attirandola a sé. I loro visi, nonostante le sbarre, distavano di pochissimi centimetri. Ci fu un breve gioco di sguardi, poi lui la baciò e lei non si oppose e allungò le braccia per stringersi a lui. Una ridicola guardia con i capelli a spazzola e un peso che superava i cento chili li intimò di allontanarsi, ma loro la ignorarono, senza smettere di baciarsi. “Ora hai tempo di capire se provi qualcosa per me” disse lui scostandosi appena. Lei lo fissò sorridendo. “Tu che dici…?”.
FINE