Come un riccio – 3

STORIA INTERATTIVA

La storia interattiva si conclude con i capitoli 5 e 6!

La nostra protagonista, Francesca, ha affrontato una visita inaspettata: Andrea, il ragazzo della festa accorso in suo aiuto, l’ha rintracciata e invitata a mangiare qualcosa assieme. Francesca ha ceduto, desiderosa di provare di nuovo la compagnia di qualcuno. Questo la rende felice, ma la distrae dal lavoro e inizia a commettere piccoli errori. Nulla di irreparabile, ma quando avviene un incontro burrascoso con una persona, a quel punto il “vaso di pandora” si rovescia e Francesca perde il controllo.

Nota di scrittura: la protagonista si è ritrovata ad affrontare degli ostacoli. Questi sono sempre più difficili a mano a mano che la storia prosegue. La protagonista va spinta fino al limite e lo si fa per avvicinarla alla sua area di pericolo, ovvero la paura che non riesce ad affrontare, i fantasmi del passato. A quel punto potrà mollare tutto e vivere peggio di prima oppure proseguire, raggiungere il suo punto di non ritorno, e risolvere i drammi della sua vita. O almeno provarci…

Capitolo 5
In un attimo era tornata alla vita di prima. Poche commissioni. Pasti a domicilio. Consegne di opere scritte da lei ma firmate da altri. Andrea era diventato un ricordo che aveva riposto su una mensola, pronto a raccogliere solo tanta polvere per poi essere, lentamente, dimenticato. Quando ripensava a lui, si rattristava. Le piaceva davvero, ma aveva avuto ciò che si era meritato. D’altronde doveva aspettarselo. Un tempo aveva spezzato il cuore di una persona e ora veniva punita. L’unica nota positiva era il fatto di aver passato poco tempo con Andrea e questo voleva dire che la ferita si sarebbe presto risanata. 

Qualche giorno dopo l’episodio al lago, fu convocata da Gloria. Ogni tre mesi facevano il punto della situazione di persona e valutava futuri lavori. L’appuntamento era stato anticipato secondo l’agenda, ma di sicuro volevano discutere del libro della giornalista. Doveva essere perfetto e le informazioni che le avevano consegnato per scrivere le prime cento pagine erano molte. Varcò la soglia della casa editrice e una ragazza vestita come un manichino di Max Mara l’accompagnò nell’ufficio di Gloria che in quel momento concluse una telefonata.
«Prego Francesca, accomodati». Prese posto sulla poltrona di pelle nera e si ritrovò subito lo sguardo di Gloria addosso.
«Come stai?».
«Solito».
Gloria si tolse gli occhiali. «Vuoi un caffè?». Francesca aggrottò la fronte. «Non lo prendo mai qui, lo sai. Perché me lo proponi oggi?». Ora che la guardava bene, aveva notato che Gloria era diversa dal solito. Come se stesse per esordire con una notizia che era una bomba, o al contrario una tragedia. 
«Hai ragione, l’avevo dimenticato». Fece una piccola pausa, poi riprese a parlare. «Francesca, ti ho chiamato qui perché ciò che ti devo dire é meglio farlo di persona». La ragazza iniziava a innervosirsi. Era a pezzi per aver osato desiderare un po’ di felicità che non vedeva da tempo. Ora non tollerava proprio una brutta notizia, perché aveva capito che era quello che stava per dirle Gloria.
«Ti togliamo il libro della giornalista». Francesca si morse il labbro inferiore. Giocherellò con le dita, abbassò lo sguardo. 
«Va bene, mi rendo conto che forse non sono la persona adatta. Non è un problema, davvero. Prenderò altri lavori». Gloria si scostò dalla scrivania con la sedia.
«Francesca, non so come dirtelo… hanno deciso di toglierti tutti i lavori in corso». La ragazza era basita. Pensò che fosse un incubo, ma sapeva bene che era tutto vero.
«Mi togliete tutto? E per cosa? Perché per una volta ho consegnato in ritardo?». Gloria prese in mano una pila di carte e una ad una gliele mise davanti.
«Gli ultimi lavori che hai consegnato non andavano bene. C’erano refusi, la punteggiatura era errata. Alcune frasi persino incomplete…». Scosse il capo, chiaramente delusa. «In due anni non hai mai commesso errori simili. Ho provato a dire alla direzione di darti un’altra possibilità, ma hanno letto parte del libro della giornalista. Sembra che tu non abbia nemmeno letto il materiale su di lei…». Francesca si alzò di scatto in piedi, gli occhi lucidi e le labbra tremanti. Fece per uscire dall’ufficio, ma Gloria la fermò. «Che cosa ti sta succedendo? Una spiegazione questa volta me la devi dare!». Francesca si voltò ma ecco che le parole rifuggivano dalla sua bocca.
«Quando sei tornata qui due anni fa, mi hai implorato di darti un lavoro come ghostwriter. Hai abbandonato la tua carriera come autrice e ti sei nascosta dietro alle pagine di altri autori. Eri sconvolta, ma ti ho dato una chance senza chiedere nulla. Ora mi devi spiegare cosa sta succedendo. O lo fai o non ti presentare mai più qui. Io ti ho aiutato come ho potuto, ora basta!». La ragazza la fissò a lungo. Voleva parlarle. Voleva urlare sia a lei che al mondo che le dispiaceva per ciò che aveva fatto, ma un nodo alla gola ricacciò nel profondo le parole che voleva dire e uscì dall’ufficio.

In meno di un mese aveva ridotto la sua misera vita a niente. Aveva avuto un nuovo assaggio d’amore e lo aveva perso. Aveva un lavoro che la manteneva e che aveva ottenuto grazie all’affetto di Gloria, ma ora non aveva più nemmeno quelli. Se prima aveva poco, ora non aveva più nulla. Seguirono giorni in cui dormiva per la maggior parte del tempo. Lasciava il pranzo e la cena sul tavolo della cucina per il padre e si chiudeva in camera. Non aveva nemmeno più la televisione. Aveva visto un programma dove veniva intervistata la giornalista di cui aveva iniziato a scrivere il libro e in un momento di rabbia, ci aveva scagliato il telecomando contro e l’aveva rotta. Si sentiva terribilmente in colpa. Non si era mai liberata di quella sensazione. Le sembrava che tutto ciò che toccasse si distruggesse. All’epoca aveva deciso di tornare a casa e limitare la sua esistenza, come se autopunendosi potesse espiare la colpa. Ma ora era confusa e non aveva idea di come risollevarsi. Andrea non l’aveva più cercata, e se non lo faceva lui che era così gentile e dolce, forse non c’era effettivamente un modo per sistemare le cose.

Una sera scordò di ordinare la cena, così decise di cucinare della pasta. Era da molto tempo che non lo faceva e provò uno strano conforto nel farlo. Fece bollire l’acqua e nel frattempo preparò un soffritto. Vi aggiunse poi del sugo in vasetto. Quando la pasta era quasi pronta, la travasò nella padella del sugo e aggiunse un po’ di acqua di ebollizione. Era in quel modo che sua madre la preparava. Diceva che si insaporiva di più. Riempì due piatti e in quel momento il padre entrò in cucina e si accomodò sulla sedia. Francesca gli porse il piatto e si diresse in camera, ma si fermò sulla soglia e senza dire nulla si sedette di fronte a lui. L’unico rumore era quello del tintinnio delle forchette. E a Francesca andava bene così. Quella sera non voleva rimanere sola. Dopo qualche minuto, il padre spostò la tovaglietta e il bicchiere verso di lui. Francesca lo fissò. Nessuno dei due disse nulla, ma lentamente lei si mise più comoda e cenarono per la prima volta insieme dopo tanto tempo. Detestava suo padre per via del suo alcolismo. Era stata la causa principale della rovina della famiglia, ma in quel momento quella figura era tutto ciò che le rimaneva. Terminata la cena, Francesca avvicinò la mano per prendere il piatto del padre, ma lui la fermò. «Ci penso io», e si alzò, raggiungendo il lavello. Francesca lo osservò attentamente. Non era stato un buon padre, l’alcool aveva avuto sempre la meglio. La madre era morta di cancro e si era dovuta occupare lei del funerale. Aveva benedetto il giorno in cui era andata via di casa e aveva abbandonato quel luogo che detestava, ma ora anche solo quel piccolo gesto di lavare i piatti la consolava. Era il suo modo per confortarla. Non avrebbe potuto chiedere di più, ma non era un problema. Meritava il minimo anche nella sua consolazione. 

Dopo cena, mentre fumava una sigaretta fuori dal terrazzo, pensava a tutto ciò che era accaduto negli ultimi cinque anni della sua vita. Era incredibile come il tempo fosse volato ed era altrettanto incredibile come tante cose fossero successe. Dicono che tutte le esperienze aiutano, che sono parte della vita, che ci fanno crescere. Ma non era ciò che pensava Francesca. Le esperienze feriscono, affliggono, fanno soffrire e arretrare. Bisogna essere resilienti, ma come si fa ad esserlo quando si è gli artefici delle sofferenze di una persona? Diede l’ultimo tiro alla sigaretta, poi tornò a rifugiarsi nella sua stanza.

Capitolo 6
Sperava che il detto Non c’è mai fine al peggio non fosse vero, perché quel giorno aveva preso una scelta: giocarsi il tutto per tutto. Aveva dormito solo un paio d’ore e aveva fatto un incubo. Non ricordava cosa avesse sognato, ma la sensazione che ebbe al risveglio era pessima e aveva sudato, come se avesse corso senza sosta. Si era messa a sedere sul letto e aveva pianto in silenzio. Era sola, non aveva nessuno. Ma in quel momento aveva pensato che se era stata lei a mettersi in quella situazione, forse doveva essere lei a tirarsene fuori. O almeno a provarci. Sedette davanti al computer e iniziò a scrivere.

Si era presentata alla casa editrice all’apertura. Gloria era nel suo ufficio. Quando la vide, si stupì ma non riuscì a dire nulla perché Francesca la sconvolse. «Voglio tornare a scrivere come autrice. Non voglio più scrivere per gli altri. Voglio la mia vita di prima, voglio che la gente legga le mie storie e non stronzate senza senso di altri». Gloria scosse la testa, incredula. Attese qualche secondo prima di rispondere, voleva che Francesca si calmasse, era visibilmente agitata. «Dopo il casino che hai combinato non credo che sia una buona idea…». Francesca appoggiò le mani sulla scrivania, lo sguardo deciso. «Lo sai che posso farcela. Anni fa ho abbandonato la carriera, ho buttato nel cesso tutto quello che avevo costruito, ma ciò che pubblicavo piaceva, funzionava e posso farlo ancora. Ti prego Gloria, ti chiedo solo una possibilità». Gloria non sembrava convinta. Rimaneva in silenzio, lo sguardo basso. Non parlava. «Scriverò della mia vita. Sarà tutto reale. Lo scriverò in terza persona, ma sarà vero». Il viso di Gloria si aprì e quasi si illuminò. Si alzò in piedi e la fissò più seria che mai. «È rischioso. Hai sempre scritto romanzi d’amore, classico lieto fine, sogni che molte donne desiderano». Francesca non si era mai sentita così sicura nella sua vita. «Voglio farlo. Voglio che la gente legga ciò che è successo perché sono esperienze che tutti potrebbero vivere. La gente si rivedrà in questo libro. E basta pseudonimi. Userò il mio vero nome». Gloria la fissava incerta. 
«Così ti giochi il tutto per tutto. Se andrà male, eliminerai in maniera definitiva ogni tua possibilità di lavorare ancora come autrice. Ne sei sicura?». 
«Puoi darmi un’ultima possibilità?». Gloria esitò. Ci teneva a Francesca. Voleva proteggerla, ma dall’istante in cui era entrata nel suo ufficio quella mattina, aveva capito che niente l’avrebbe fermata.
«Ok. Quando potrò leggere i primi capitoli?». 
«Avrai il libro pronto tra una settimana. Vado a recuperare di persona il finale…».

Salita in auto, raggiunse l’autostrada e guidò senza sosta fino al rifugio Miralago. Aveva passato più di un anno tra quel posto e Fiera di Primiero e alla vista del panorama, le mancò il fiato. Era stupendo. Si affrettò a cercare Cristian. Sapeva che lavorava in quel rifugio ma di tutta risposta le fu detto che si trovava con un gruppo di persone che stava portando alla malga Scanaiol. Non voleva aspettare, così raggiunse la riva del lago di Calaita dove sapeva che il gruppo sarebbe partito, ma al suo arrivo non vide nessuno. Era un’assurdità impegnarsi in quel percorso senza un minimo di equipaggio e vestita com’era, ma decise di farlo comunque. Per sua fortuna, intravide il piccolo gruppo non distante dal lago. E tra di loro c’era lui, il suo ex.
«Cristian!» urlò.
Diverse persone si voltarono e alla vista di Francesca, il ragazzo fece cenno a una persona vicino a lui di proseguire. Le si avvicinò e la squadrò attentamente, incredulo di vederla lì.
«Che cosa ci fai qui?».
«Ti devo parlare».
«Non abbiamo nulla da dirci», e si voltò. «Aspetta, ti prego. Ho guidato fino a qui solo per parlarti». Lui sbuffò, visibilmente seccato. «Quale onore! E ora dovrei stare qui ad ascoltarti solo perché hai fatto tre ore di auto per me? Francesca, vattene!», e riprese il percorso. La ragazza non intendeva mollare e lo seguì mentre salivano il lungo percorso che avrebbe portato alla malga, ma il risultato fu una serie di insulti da entrambe le parti e a quel punto Francesca si arrese. «E va bene, me ne vado a fanculo, contento?». Cristian non la degnava di uno sguardo, camminava senza darle retta. «Ti ho chiesto solo pochi minuti per parlare. Sei proprio uno stronzo! Sei solo uno…». Niente, ormai era un puntino lontano. Esausta per il viaggio, esausta per la stanchezza emotiva, Francesca tornò indietro, addentrandosi per i boschi. Non era in grado di affrontarlo ancora se fosse tornato indietro in quel preciso istante. Piangeva, e presa da un momento di sconforto, tirò un calcio contro una roccia, ma perse l’equilibrio, batté la testa e cadde a terra, priva di sensi.

Cosa accadde in quel preciso momento nessuno può spiegarlo. Forse il destino, forse la vita che è già scritta, forse semplice fortuna. Un uomo anziano, mentre passeggiava con il suo cane, aveva notato un cellulare, ma attorno a lui non aveva visto nessuno. Lo aveva infilato in tasca e una volta tornato a casa lo avrebbe dato al nipote, forse poteva restituirlo al legittimo proprietario. Passando davanti al rifugio, il cane si era gettato sul ragazzo delle consegne, attratto dal profumo di pietanze appena sfornate e una confezione con della pasta al sugo si era rovesciata sui pantaloni dell’uomo. Era conosciuto dal personale del rifugio, che lo invitò a darsi una ripulita. Gli portarono dei nuovi pantaloni mentre quelli vecchi li gettò in un bidone. Una cameriera li vide e pensò che fosse un peccato buttarli e li mise a lavare, ma prima vuotò le tasche. Trovò il cellulare e lo lasciò alla reception con un biglietto che diceva di restituirlo all’uomo anziano col cane. In quel momento, una ragazza posò una pila di carte su di esso e non si accorse di averlo nascosto. Dopo diverse ore, Cristian e il suo collega rientrarono dalla malga e si fermarono a bere qualcosa. L’uomo anziano col cane aveva nel frattempo trovato un passaggio per tornare a casa e quando la ragazza della reception aveva trovato il cellulare con il messaggio, pensò che poteva restituirlo l’indomani. Cristian si avviò all’uscita, ma il collega aveva dimenticato il berretto così tornò al tavolo a prenderlo e in quel momento il cellulare al bancone squillò. Cristian sentì una suoneria familiare, ma il collega lo raggiunse e così non ci diede importanza e salirono in auto per rientrare a Fiera di Primiero. La ragazza della reception uscì di corsa dal rifugio e richiamò la loro attenzione, ma non la sentirono. Fu un uomo che passava di lì proprio in quel momento a far loro cenno di fermarsi. La ragazza chiese loro di restituire il cellulare all’uomo anziano col cane, la cui abitazione era di strada. Cristian mise il cellulare nel vano vicino al cambio. Il collega accese la radio. La musica era alta, aveva voglia di rilassarsi. Non sentirono la chiamata in arrivo. In meno di mezz’ora raggiunsero l’abitazione e il collega si affrettò a consegnare il cellulare, ma la moglie disse che non era del marito e nemmeno del nipote. Cristian scese per capire cosa stesse succedendo. Il cellulare in quel momento squillò e il collega rispose, ma non capiva cosa gli stessero dicendo. Stava per chiudere la chiamata, ma quando pronunciò il nome Francesca gli occhi di Cristian si spalancarono. Prese il telefono e confermato che dall’altra parte c’era il padre che la cercava, salì in auto di corsa e si diresse al lago.
Se non si fosse fermato a bere. Se il collega non avesse dimenticato il berretto. Se quell’uomo non avesse attirato la loro attenzione facendoli fermare così che la ragazza del rifugio consegnasse loro il cellulare. Eppure tutto giocava finalmente a favore di Francesca.

Quando aprì gli occhi, non aveva alcuna idea di dove si trovasse, ma non appena incrociò lo sguardo di Cristian, non le importava più di tanto. Portò una mano alla testa che era bendata, come anche la sua caviglia destra. 
«Come ti senti?» chiese lui.
«Una merda…». Sorrise mentre a fatica si metteva più comoda.
«…e non intendo fisicamente…», aggiunse. Cristian si fece serio. «Scusa se non ti ho ascoltata prima, ma…». Fu interrotto.
«Ti prego, lasciami parlare. Ti prego…». Francesca lo implorava, gli occhi erano stanchi e arrossati, il viso con qualche graffio. Cristian si era davvero preoccupato per lei e acconsentii ad ascoltarla.
«Non ti ho mai chiesto scusa per ciò che ho fatto. Dopo che abbiamo litigato ho preso le mie cose e sono scappata. Non avevo il coraggio di chiedere il tuo perdono perché sapevo di non meritarlo». Lui fece per parlare, ma lei lo interruppe. «Ti ho tradito con il tuo migliore amico e ho sbagliato, non ci sono scuse. Ho rovinato tutto. Eppure stavamo bene qui. Ero contenta di essermi trasferita con te. Eri molto impegnato e io mi sentivo spesso sola… ho fatto una grande cazzata, più volte, e so che forse mi odierai ancora di più per ciò che sto per chiederti, ma ho bisogno che mi perdoni. Ho bisogno di sapere che abbiamo messo una pietra sopra su questa storia perché te lo giuro, mi sta divorando dentro». Cristian la fissava in silenzio, il suo sguardo era triste e con stupore di Francesca, si lasciò scappare una lacrima. «Lo sapevo, Fra… l’ho sempre saputo». La ragazza scostò la mano dalla sua con incredibile velocità.
«Che cosa intendi?». Cristian si alzò in piedi e le diede le spalle per qualche istante. «Ero felice con te, davvero. E quando non hai fatto storie per seguirmi fino in Trentino ero al settimo cielo, ma…». Fece una pausa, come se dovesse trovare le parole per dire ciò che aveva dentro da molto tempo. «…avevo capito che non ero più innamorato. Stavo seguendo una strada che non comprendeva te e non ho trovato il coraggio di dirtelo. Eri così contenta. A te bastava un computer per scrivere. Insomma, eri la fidanzata ideale». Tornò a sedersi accanto a lei. Sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti. «Stavo molte ore fuori di proposito, ti dedicavo poche attenzioni e mi davo da fare con il lavoro perché speravo che presto ti saresti stancata e te ne saresti tornata a Vicenza. Non immaginavo che saresti finita a letto con Simone. Mi sembrava strano che all’improvviso venisse a trovarmi spesso ma quando vi ho scoperti, non ho detto nulla. Ho lasciato passare dei mesi interi sapendo che andavate a letto assieme e non ho detto nulla. E il giorno in cui ti ho accusato di tradirmi, l’ho fatto solo perché ero molto stanco… Fra, siamo colpevoli entrambi. Anch’io ti devo delle scuse». Francesca piangeva, ma cercava di trattenere le lacrime. Tornò a sdraiarsi sul lettino e si voltò verso la finestra. «Come hai potuto…», disse lei. Era furiosa, la testa le faceva male, avrebbe voluto urlare, ma rimase lì a fissarlo e alla fine cedette alle lacrime e Cristian la abbracciò forte. Di quella sera non ricordò altro se non quel gesto che anche se doloroso, fu un’assoluzione per entrambi.

«È ottimo!», disse Gloria, quando Francesca si presentò nel suo ufficio per avere un giudizio sulla storia. «È intenso e pieno di emozioni. Francesca, é la cosa migliore che tu abbia mai scritto. Congratulazioni». Francesca non mostrò alcuna emozione. Non aveva ancora sentito ciò a cui teneva di più. «Lo pubblicheremo. Troverò un accordo con la direzione, ma lo pubblicheremo». Si lasciò andare a un lungo sospiro e portò le mani alla bocca. Non ci poteva credere. Ce l’aveva fatta! 
«Ho solo una domanda per te…». Francesca la fissò curiosa.
«Nel libro hai scritto che cosa succede tra la protagonista e questo dolce ragazzo che l’aveva invitata fuori a mangiare un trancio di pizza. Il finale del libro è lo stesso nella vita reale?». 
«…sto per scoprirlo…».

Mentre aspettava che scendesse, Francesca fissava la strada e ripensava a come era riuscita a liberarsi di un peso che la tormentava da tempo. Ora che ci pensava, avrebbe potuto liberarsi di tutto ciò da subito, ma era scappata via perché aveva avuto paura. Non tollerava il confronto con Cristian e nemmeno con le persone che li avevano visti nascere come coppia. La vergogna per il tradimento era troppa. Eppure, averne parlato con lui ora la faceva sentire bene, nonostante avesse dentro un cicatrice che non avrebbe mai dimenticato. Una piccola crepa aveva rotto l’equilibrio del suo mondo, si era distratta a sbirciare al di fuori di essa e ciò aveva  compromesso la sua intera esistenza, ma l’aveva messa di fronte ai fantasmi del suo passato. Il mese prossimo il suo libro e il suo nome sarebbero apparsi su tutte le piattaforme online e nelle librerie. Aveva paura, ma era un tipo di paura che la faceva star bene. Solo Andrea era rimasto il caso irrisolto. Lo aveva trattato male, ignorato e incolpato della sua infelicità e in qualunque modo fosse andata, l’avrebbe accettato. Voleva solo dirgli la verità e chiedergli scusa. 
Il portone di casa si aprì e lui apparve. La solita t-shirt sfigata che fece sorridere mentalmente Francesca. «Facciamo una passeggiata?» chiese lei. 
Gli raccontò tutto. Di Cristian. Di come si erano innamorati. Della passione di lui per la montagna, dell’opportunità in Trentino, del loro trasferimento. Ma anche del suo sentirsi isolata. Del tradimento col migliore amico di Cristian. Della fuga, delle paure, del suo chiudersi a riccio, nascondendosi nella casa dei genitori controvoglia ma senza alternativa. Dei suoi precedenti successi come autrice e poi il declino perché si vergognava di ciò che aveva fatto. Disse tutto. Non tralasciò nulla.
«Caspita, è successa tanta roba…» esordì Andrea. 
«Quindi ora cosa farai?» le chiese. 
«Ricomincio da capo. Un passo alla volta». 
«E per quanto riguarda noi due?».
«Penso che sia meglio fermarci qui. Non mi sento pronta per una storia e dopo quello che ti ho detto forse è meglio andarci piano, insomma…». Si guardarono senza dire niente. I suoi occhi erano dolci e Francesca avrebbe voluto perdersi dentro essi. In quel pomeriggio d’agosto, non voleva altro che passeggiare con lui, ma aveva scelto di fermarsi. Andare adagio. Sentiva che era la cosa giusta da fare. «Allora io vado, ciao Andrea». Camminava lenta, come se volesse distaccarsi da lui piano. Le gambe sembravano pesanti ma era comunque contenta. Lentamente tornava a essere la Francesca di un tempo, con un pizzico di sicurezza in più. Il finale del libro era diverso, ma era contenta così. 
«Venerdì sera?». Francesca si voltò. «Come scusa?».
«Ti va di mangiare qualcosa assieme venerdì sera?». Lui sorrise e lei si morse il labbra inferiore, intuendo come avrebbe proseguito. 
«Ti rendo la cosa più facile e di sicuro più piacevole. Venerdì sera alle otto vado a mangiare un trancio di pizza da O’Scugnizzo Napoletano nel quartiere San Lazzaro. E’ una pizzeria d’asporto, con qualche posto a sedere. Anzi, pochissimi posti a sedere. Se ti va di unirti a me, mi trovi lì». 
Francesca scosse il capo e sorrise, pensando che quello era proprio un bel finale per un libro… 

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