Tre scrittori. Un tema comune. Tre stili diversi. Racconti brevi scritti appositamente per l’evento Wanted Stories e il tema da cui gli scrittori hanno tratto ispirazione è COSA C’È NELLA BORSA DEI MIEI DESIDERI.
Linda Moon
Siamo in parecchi alla fine, un numero più alto di quanto mi aspettassi. I divani in pelle vengono occupati per primi e a seguire le sedie, che dobbiamo aggiungere per non lasciare altri ospiti in piedi. Sorrido alla mia amica detta “La Marchezzolo”, poco prima mi ero rivolta a lei dicendo: «E se non arriva nessuno?», e lei mi aveva tranquillizzato con il suo immancabile sorriso capace di risollevarti in un attimo e infatti, nemmeno a farlo apposta, dopo pochi minuti diverse persone si presentano all’ingresso e il mio io interiore fa una doppia capriola all’indietro, qualche passo alla Fred Astaire e ancheggia come Whoopi Goldberg quando canta Oh Maria nel film Sister Act.
“Che bello!”, penso e l’emozione va crescendo. Nel bellissimo scenario della Ex Falegnameria Bellavitis di Vicenza trovo che tutto sia fantastico e meraviglioso e mi rendo conto che il mio sogno si è realizzato per davvero. L’evento di cui parlo ininterrottamente da mesi è diventato realtà!
È il debutto della prima serata del format di letture Wanted Stories e sono agitata: se da un lato cerco di mantenere il controllo della situazione, da un lato mi sento sperduta come se tentassi di tenere in piedi un castello fatto di carte da gioco che pende continuamente a causa del mio precario equilibrio. Ad un certo punto mi guardo attorno: gli scrittori e alcuni amici parlano tra di loro, parte qualche risata e mi chiedo di cosa stiano parlando. Sembrano tutti così rilassati e pronti a differenza di me che non riesco proprio a trovare pace. Persino Giorgio, il proprietario della location, è stupito nel vedermi strabuzzare gli occhi ovunque mentre gesticolo senza un vero motivo.
«Non ti facevo così ansiosa», mi dice con sguardo serio ma in parte divertito.
«Eh, Giorgio guarda, nemmeno io… forse mi sembra troppo vero per essere reale…».
Sospiro e mando giù un calice di prosecco tutto d’un fiato. Ecco, ora sto decisamente meglio, come se l’alcol appena ingerito fosse composto da uno squadrone di soldati con l’obiettivo di rimettermi in sesto. Dall’oblò della cucina osservo ogni movimento nella sala e tutti aspettano l’inizio della serata. Hanno scelto il titolo del racconto scritto a sei mani e mi chiedo quale sia l’esito e quando esco per studiare la situazione, guardo l’orologio appeso vicino all’ingresso e invece di badare all’orario mi ritrovo a canticchiare nella testa un pezzo tratto da Alice nel paese delle meraviglie “… è già l’ora fe il tricheco, di parlar di molte cose, di corazze, scarpe e greco, di prezzemolo e di rose…”.
Finalmente la serata inizia. Cala il silenzio e Alberto sale sulla scala a chiocciola per primo, stringendo il microfono e ingoiando l’ansia che so che lo possiede da qualche minuto o forse addirittura da qualche giorno. Ascoltiamo in silenzio le parole che rimbombano nella stanza. L’atmosfera è fantastica: la parete d’acqua arricchisce quel magico momento e c’è chi osserva verso l’alto, chi ha lo sguardo rivolto verso il basso o altrove, ma tutti sembrano attendi e in ascolto. In meno di dieci secondi penso a un milione di cose ma il pensiero è sempre lo stesso: “Ma questa serata piacerà? “.
Rimango all’ingresso: a tratti ascolto Alberto, a tratti mi guardo attorno e studio la situazione. A cosa sto pensando? Penso che sono contenta di aver radunato tutti i pezzi del puzzle che avevo in testa, che diverse persone hanno collaborato tra di loro, che si sono strette nuove amicizie, che ho dimostrato alla persona spezzata che ero un anno fa che è possibile rimettersi in piedi e realizzare i propri progetti. La frase che ripeto come un mantra è “Basta una sola persona per creare un’onda crescente” e per me quella persona è l’amica Zaira che ha creduto in me da subito.
E sapete qual era il tema della serata? Colori. Semplice, no? Eppure non è stato facile buttare giù un breve racconto e pensare che l’ho proposto io. Le mie mani hanno battuto sulla tastiera per qualche minuto e il genere era molto black comedy, poi è virato al drammatico con qualche interessante sfumatura thriller e nel frattempo mia nipote Nicole di sette anni sfornava idee migliori delle mie facendomi pensare: “Oggi non si scrive Linda, mettitela via!”.
Questa serata per molti è un semplice venerdì, ma non per me. Mentre l’evento si svolge, noi scrittori leggiamo e le musiche di Filippo intervallano ogni lettura. Ripenso a quanto tempo ho passato a mettere per iscritto idee meglio di una stenografa che conferma nero su bianco un’incriminazione per omicidio. Giorni e giorni nei quali i miei polpastrelli sono arrivati ad arrossarsi per la sfilza di messaggi e vocali inviati a chi aveva deciso di aderire all’idea o a chi, ancora all’oscuro di tutto, veniva proposto di prendere parte a un evento di scrittura insolitamente creativo. Alberto l’ho intercettato più volte e per poco non diventavo la stalker dell’anno.
Mannaggia a te Alberto! E Marco? Praticamente sbucato dal nulla grazie al passaparola della serie tecnologia levati proprio! E quando è il suo turno per leggere lo osservo attentamente: studia teatro d’improvvisazione ed è interessante sentire come pronuncia le parole e vedere come gesticola. Riuscirò a fare lo stesso? Certo che no!
A fine serata mi diranno che hanno cercato di farmi segno di rallentare e qualcuno ha provato a lanciare un Mayday senza successo. Agitazione? Imbarazzo? Voglio proprio sperare di sì altrimenti qui, per le prossime volte che leggo, si mette male!
Poi arriva il momento della lettura del Cadavere Squisito: un racconto scritto a sei mani sfruttando la condivisione di un file Google. Non so perché mi ero immaginata la cosa più semplice, invece ci è voluto un po’ per ingranare e sviluppare il racconto che davvero non capivo dove andasse a parare. Ogni volta che veniva scritto un turno avrei voluto riprendere a video le mie espressioni, di sicuro trasecolate ma anche divertite perché mi piacciono le sfide! Stiamo leggendo, cerco di impegnarmi ma mi sento ridicola e penso: ” Ma che ci faccio qui? Ah giusto, è un evento creato da me…”.
Ognuno legge il proprio turno. Ognuno col suo tono e ognuno, mentre legge, cambia di poco qualche parola o verbo, ma ci sta! Ci lasciamo trasportare dalla storia che tutto sommato non mi dispiace. È un bellissimo momento e mi sento felice, anzi, realizzata. Tutti ascoltano e chissà che pensano ma non voglio più crogiolarmi nel dubbio, altrimenti la testa mi scoppia per davvero. Spero solo siano stati contenti di questa serata e che verranno alle prossime.
Arriva poi il momento dei ringraziamenti e cerco Giorgio che appare alla mia sinistra e lo ringrazio di cuore per la fiducia data a questo progetto, ringrazio gli scrittori e tutti coloro che hanno collaborato a rendere tutto ciò fattibile e reale. Insomma, l’evento è giunto alla fine e iniziano chiacchiere infinite tra tutti quanti, mandiamo giù prosecco e patatine come non ci fosse un domani.
Mi guardo attorno, contenta ma già con la voglia di migliorare alcuni aspetti dell’evento. Il mio io interiore ha già in mano carta e penna e penso al prossimo tema, Cosa c’è nella borsa dei miei desideri, e so per certo che al suo interno c’è questa prima, bellissima serata che segna un piccolo traguardo nella mia vita.
Fine
Alberto Sartori
La telecamera sta inquadrando la sala nove.
È un vecchio dispositivo che registra su cassette VHS in bianco e nero. Rivedere quei filmati al rallentatore è come guardare i primi cartoni animati di Topolino, ne vedi i singoli fotogrammi e ti innamori della loro sequenza perfetta.
Sta mettendo a fuoco una miriade di teche di legno. Sono appese con fili quasi invisibili, salgono e scendono indipendenti tra loro ricreando quel movimento tipico delle onde del mare. È un fluttuare paradisiaco che riesce ad estasiare anche il più freddo degli antenati. Ognuna è ricoperta da polvere d’oro ed un solo minuscolo forellino permette di guardare al loro interno.
Sembrano così semplici alla vista ma è al tatto che regalano qualcosa di inaspettato. Appena le sfiori senti un formicolio che si irradia tra le dita, piano piano sale, ti avvolge fino alla spalla, vortica sul collo e ti entra nella testa. In pochi, ormai, riescono a comandare le forze contenute in questi scrigni sospesi. Destra, sinistra, destra, sinistra, l’obiettivo della videocamera si sposta per registrare tutti i raccolti della giornata. Nulla è lasciato al caso anche se, come ben sapete, è il caso stesso che si insinua di prepotenza nelle nostre vite sotto forma di scelte guidate dalle emozioni.
È mezzogiorno e Zaira sta completando la raccolta del mattino. È inquadrata da lontano ma è impossibile non notare i suoi movimenti fluidi mentre una mano sfiora la teca numero quarantanove. Per un attimo si blocca come nell’istantanea di una foto, chiude gli occhi ed assapora le vibrazioni che salgono e si annidano nella sua mente. È un’antenata molto esperta, riesce a mescolare il contenuto delle teche alla perfezione.
Fuori il sole è alto nel cielo ed in giardino i bambini stanno giocando a ruba bandiera, con le loro gambette paffute volano da una parte all’altra del prato. Sorridono e corrono sempre più veloci, prendono quel pezzetto di stoffa rossa e si fanno trasportare dalla soddisfazione e l’esultanza di tutta la squadra. In quei preziosi attimi sono cosparsi dall’unico desiderio di rubare la bandierina. Non esiste nient’altro, nessun pensiero riesce a farsi largo nelle loro menti spugnose.
“Bambini, è ora del riposino.” è Zaira che li chiama a raccolta. Li accompagna nella “Sala delle ninne” come la chiamano loro. Uno alla volta si sdraiano sui loro lettini ed aspettano una carezza prima di addormentarsi. Lei passa vicino ad ognuno e sfiora i loro capelli, li guarda chiudere gli occhi prima di allontanarsi. I bimbi sono tantissimi ma da tempo ha già i suoi preferiti. Perché, diciamocelo chiaramente, il mondo viaggia per empatia, le emozioni sono come vagoni di treni che viaggiano sui binari delle nostre esistenze. A volte sono i piccoli dettagli a trasformare i nostri incontri, piccolezze che consciamente non percepiamo.
E Zaira sta andando proprio da quei pargoli che tanto le stanno a cuore. Non riesce a capirne il perché ma sono sempre assieme, condividono i loro giochi, sorridono all’unisono. È quasi impossibile separarli. Portano sull’unghietta del mignolino la loro data di nascita.
“Che rabbia.” dice sottovoce, poi continua agitata: “È mai possibile che debbano nascere dopo così tanto tempo l’uno dall’altro?”
“Lo sai che non sarà facile, ma vedrai che si incontreranno, hai già dato loro il raccolto di oggi?” è la voce di Gali che, silenzioso, l’ha raggiunta. È il più anziano degli antenati, un eterno sognatore che fa dell’arte il suo credo. Suona l’arpa come nessuno mai prima di lui.
“Sì, ho già finito. Dimmi che riusciranno a trovarsi. Dimmelo!” nessuno aveva mai sentito Zaira alzare il tono della voce, né versare quella lacrima che ora sta solcando il suo viso.
“Lo sai benissimo che non posso darti certezze. Sicuramente ci saranno delle occasioni. Ma le sapranno cogliere? Molto dipende dal tuo lavoro.”
“Senti, Gali. Sono anni che seguo i miei bambini. Guarda tu stesso sotto ai loro lettini.”
Mentre Gali si abbassa per controllare che tutto sia in ordine, Zaira gira di scatto la testa verso la telecamera che in questo momento è puntata verso l’esterno della stanza. Lei sa che per pochi secondi non sarà inquadrata e nemmeno i tre pargoli di fronte a lei. Con un movimento preciso si passa le dita tra i capelli per avvolgere il contenuto di quella teca a lei più cara. È come se una fiammella azzurra abbracciasse la sua mano che scorre veloce sulle teste dei suoi amori più grandi, lasciando una scia di polvere d’oro appena percettibile. All’unisono i tre bambini fanno un sospiro profondo.
“Bene. Ohi Ohi. Dammi una mano.” è Gali che interrompe questo momento magico. Zaira lo aiuta a rialzarsi e gli sorride dolcemente: “Allora hai visto? Mi sembra un buon raccolto, equilibrato, tutto dipenderà dai loro cuori.”
“Hai fatto un ottimo lavoro, come sempre. Le borse dei loro desideri sono splendide. Il desiderio di amare è vivido, quello di generosità molto maturo e quello di tristezza nel giusto dosaggio.”
Era l’anno 1980, il mese di settembre volgeva ormai al termine ed il giorno 25 nacque il primo dei tre pargoletti di Zaira. Passarono due anni intensi e nella sala nove lei continuava a raccogliere e distribuire i desideri. Finché il 20 marzo del 1982 nacque il secondo bimbo a lei così caro. Era notte inoltrata ed il suo primo pianto risuonò forte nell’aria. Ci vollero altri due anni perché la terza creatura, questa volta una femminuccia, emettesse il suo primo respiro: era il 1984, sul calendario di Ottobre era incasellato il giorno 22. L’aria era già premonitrice di una grande nevicata.
Zaira da lassù osservava e rivolgeva lo sguardo a quella teca numero quarantanove che così tante volte aveva sfiorato. A lettere argentate vi era inciso il nome del desiderio che aveva donato ai suoi tre bambini: “Emozionare con un racconto.”
Fine
Giorgio Vallesi quel giorno si era svegliato di buon’ora, felice come non era da molto tempo, si era vestito di tutto punto ed era uscito di casa per recarsi all’ufficio.
Sul treno aveva guardato il meteo per la giornata e dato un’occhiata veloce alle sue azioni, che il giorno prima avevano chiuso in modo abbastanza positivo. Non tanto da pensare di andare all’incasso, ma magari, se fossero salite un altro po’ ci avrebbe fatto un pensierino. Forse forse ci scappava anche una piccola vacanza.
Ma il motivo per il quale Giorgio era felice era un altro. Non poté fare a meno di pensare alla sera precedente. Dopo un lungo periodo in cui avevano passato sempre più momenti a chiacchierare e dopo tutti quegli inviti lanciati lì con nonchalance nelle ultime settimane, Paola aveva finalmente accettato di uscire. Erano andati in quel ristorante peruviano che aveva scoperto lungo i Navigli e che era sicuro le sarebbe piaciuto. Quanto avevano riso, Paola era davvero una ragazza fantastica, ancora più di quanto aveva potuto già cogliere in tutte le conversazioni in pausa pranzo o alla macchinetta del caffè. Soprattutto avevano lo stesso senso dell’umorismo, il gusto per il surreale e le battute fuori luogo.
E quando a fine serata, sulla porta di casa sua, lei gli aveva passato la mano sui capelli e l’aveva baciato, Giorgio non poteva credere alla fortuna di una giornata del genere.
“Ti chiederei di salire, ma devo svegliarmi presto domani, spero tu non sia deluso.” Lei lo attirò a sé: “Sono stata davvero bene stasera”. E l’aveva baciato con ancora più passione e si erano stretti, così, sulla porta di casa per un tempo che a Giorgio era sembrato interminabile.
Ed era ancora così, con la testa tra le nuvole che non si era accorto dell’agitazione degli altri pendolari attorno a lui. “Come sarebbe a dire che il treno si fermerà a Lambrate?” “Eh, dicono così, senti l’altoparlante”. “Si avvisano i signori passeggeri che per la presenza di animali lungo i binari Trenord non può garantire la sicurezza della circolazione. Il treno 4525 diretto a Milano Centrale termina la sua corsa alla stazione di Milano Lambrate”. Giorgio si affacciò dal finestrino, che aveva fatto una fatica boia ad aprire.
In fondo al treno c’erano 5 belle mucche frisone che fissavano il treno con espressione bovina, giusto fuori dalla stazione. Un beep suonò in quel momento nel suo cellulare. La Borsa aveva aperto da poco, e le sue azioni, che erano andate così bene giusto il giorno prima, segnalavano una flessione iniziale dello 0,5%. “Poco male, saranno dei realizzi di gente che vuole incassare i guadagni di ieri”. Quello che gli premeva era che rischiava di arrivare in ritardo in ufficio. E soprattutto non vedeva l’ora di vedere Paola.
Con una decisione abbastanza irrituale il capotreno annunciò che avrebbero aperto le porte e fatto scendere i passeggeri alla stazione, visto che in fondo si trovavano ancora lungo le banchine.
“Ma come fanno delle mucche a finire alla periferia di Milano?” pensò Giorgio scocciato mentre, insieme agli altri pendolari si spostava verso la stazione della metro per provare a vedere di non arrivare troppo in ritardo in ufficio. Salì sulla verde e poi a Loreto cambiò con la rossa. In un punto imprecisato tra Loreto e Turro cominciò a prepararsi a scendere e si mise la mano in tasca per prendere il biglietto.
Dove aveva messo il portafogli? Cominciò a toccarsi forsennatamente e frugarsi nelle tasche dei pantaloni e della giacca. Trovò solo il cellulare che aveva una nuova notifica ma del portafoglio nessuna traccia. Le azioni perdevano ora l’1,3%. “Ma chi se ne frega” pensò Giorgio, scocciato. “Me l’avranno rubato, eppure sto sempre attento a metterlo in una tasca interna a prova di ladro. Il problema è che devo rifare tutti i documenti”. Si fece l’appunto mentale di uscire prima per andare al commissariato a fare la denuncia.
Arrivò in ufficio trafelato con quasi un’ora di ritardo, e senza nemmeno il badge dovette suonare e aspettare che qualcuno gli aprisse. Dopo poco che era nel suo ufficio si affacciò Paglietta, un collega che Giorgio non aveva mai potuto soffrire, anche se adesso era il suo partner in un progetto. “Abbiamo fatto tardi ieri sera, vero? Mi sa che qualcuno qui si è divertito, eh? Ma quindi la Lorenzoni è una tigre, mi pare di capire, e bravo Vallesi, lo sapevo io che sotto sotto dava soddisfazioni. E io che pensavo che fossi gay.
Mi raccomando, ci vediamo alle 11 in sala riunioni, cerca di non arrivare in ritardo”. Giorgio divenne rosso. Paola non avrebbe mai voluto che si sapesse che era uscita con un collega, e comunque lui non avrebbe mai parlato di lei, ma anche di nessuna donna in generale, in quel modo. “Ma che cosa stai dicendo? Io non sono mai uscito con Paola e comunque sta attento a quello che dici, è un’amica e una collega.
Ma chi ha messo in giro queste voci?” “A quanto pare tu, nella chat del calcetto” disse Paglietta agitando il cellulare e dandogli le spalle mentre usciva. “Porca merda” era vero, c’erano dei suoi messaggi in cui si vantava di esser stato a letto con Paola, e foto di lei a cena e sulla porta di casa. Ma come avrebbe potuto fare quelle foto se lui in quel momento era lì? E poi lui non aveva mandato nessun messaggio ai colleghi, non aveva affatto bevuto così tanto ieri sera.
Qualche minuto dopo gli arrivò un’altra notifica: “Sei uno stronzo e un maiale. E io che pensavo di aver trovato una persona interessante. Invece sei una merda come gli altri”. Sullo schermo del pc gli cadde l’occhio sul grafico di Borsa: – 8,9%. Oh, ma andando tutto a rotoli oggi.
Ma gli avevano hackerato il cellulare? Doveva chiarirsi con Paola, lui non aveva fatto nulla e soprattutto si era reso conto di tenerci già parecchio a lei. Stava per andare a parlare con lei quando suonò il suo cellulare. Era un numero fisso. Rispose: “Pronto, parlo con Giorgio Vallesi? Sono il vice ispettore Sforza. Abbiamo trovato i suoi documenti. Potrebbe raggiungerci qui al commissariato di Greco Turro?”. “La ringrazio agente, finalmente una buona notizia oggi. Posso passare più tardi dopo il lavoro?”. “Mi dispiace, ma sarebbe meglio che venisse qui al più presto. Nulla di che, glielo assicuro, ma preferirei sbrigare la faccenda in giornata”.
Prese un permesso, si scusò con Paglietta dicendogli che avrebbe fatto anche la sua parte nei giorni successivi e fece solo in tempo a vedere Paola che lo fissava con odio dal suo ufficio. Riuscì solo a sillabare con un labiale un “non ho fatto nulla, poi ti spiego” che lei nel frattempo gli aveva girato le spalle. “Devo chiarire tutto e sperare che mi perdoni”, pensò mentre si chiudeva la porta a vetri alle spalle. Sul tram guardò un po’ di notizie per far vagare un po’ la mente. “Clamoroso atto di vandalismo alla Triennale. Uno o più criminali hanno imbrattato e fatto a pezzi le opere di una stanza dell’ala Est.” “La Triennale è il mio cliente attuale.
Che sfiga, ora la riqualificazione parte in salita” pensò Giorgio. “Rimbalzo della GV S.p.A., che ora guadagna +1% dopo aver aver viaggiato con segno negativo per tutta la mattinata”. “Un nuovo focolaio di mucca pazza a Milano? Cosa spinge dei bovini ad attraversare i binari e sfidare i vecchi? Qualcuno li spinge? Ne parliamo in studio con l’etologo Danilo Mainardi”.
Giorgio si affacciò nell’anticamera del commissariato e si rivolse a un agente. “Cerco il commissario Sforza”. “Intende il VICE ISPETTORE Sforza”. “Sì, certo, mi scusi”. ”Primo piano, secondo ufficio sulla destra”.
“Permesso?” Giorgio si affacciò nello studio del VICE ISPETTORE Sforza, come recitava la targhetta. “Lei dev’essere Giorgio Vallesi. Si accomodi.” Mise un portafoglio imbrattato di vernice sulla scrivania. “Non si preoccupi, i documenti sono ancora in parte integri. Temo che le carte però si siano rovinate. Sa dove si trovava questo portafoglio? Ne ha una vaga idea?”. “Non lo so, mi è stato rubato in metro tra Loreto e Turro, quindi non molto lontano da qui”. “Era in Triennale. Non so se ne è al corrente ma qualcuno è entrato e ha danneggiato molte opere. E poi ha lasciato questo ricordino”.
Sforza mise una foto davanti agli occhi di Giorgio. C’era una scritta in rosa sopra un’installazione dell’artista coreano Yong-On Park “Estetica di un cornicione”. Lo sapeva benissimo perché per il progetto era stato in Triennale diverse volte nell’ultimo mese. Il problema era quello che c’era scritto sul muro. “Valcic muori” e più sotto “Paglietta sei un omm’e merda”. “Conosce questi nomi?”.
Lorenzo Valcic era il titolare dello studio per cui lavorava. “Beh, Valcic in un certo senso è il mio capo, mentre Paglietta è un collega”. “Ecco, come potrà immaginare lei è indiziato quantomeno come persona informata dei fatti. E visto che mi sembra una persona intelligente potrà anche fare due più e due e rendersi conto che lei è un sospettato. Temo che dovremmo trattenerla per accertamenti”. Il cellulare di Giorgio cominciò a vibrare all’impazzata. Pensò che fosse qualcuno che lo cercasse dall’ufficio. Invece era quella dannata applicazione di finanza. -13%; -18%; – 26%; -37%. I suoi titoli stavano crollando.
Mentre gli agenti lo stavano accompagnando in una stanza per prendere le impronte vennero raggiunti da un signore distinto, sulla sessantina, in un completo impeccabile, e dalle cui maniche si intravedevano dei gemelli d’oro, uno a forma di toro e l’altro a forma di orso.
“Il mio assistito sarà lieto di rispondere alle vostre domande, ma solo in mia presenza”. Mostrò loro un biglietto da visita e stranamente gli agenti lo lasciarono andare con un semplice “Rimanga a disposizione”.
L’uomo scortò Giorgio fuori dalla stazione di polizia e montarono su una macchina coi vetri oscurati, guidata da un autista. “Si chiederà chi sono io, e perché l’ho aiutata. Capirà tutto a breve”. Quando si fermarono si trovarono a Piazza Affari. Non entrarono dalla porta principale, ma da una laterale. Il suo sconosciuto “avvocato” (ma poi, era davvero un avvocato?) mise un dito sopra un riconoscitore di impronte o almeno a Giorgio sembrò così perché la porta si aprì. “Io sono Giampietro Ricci, forse ha sentito parlare di me. Sono quello che ha fatto la scalata ostile al Corriere qualche tempo fa. Sono venuto a ringraziarla, perché grazie a lei, Giorgio Vallesi, ora sono ancora più ricco”. Accese un maxischermo.
Era diviso in tante scene più piccole, e in ognuna c’erano dei video di persone normali. In sovraimpressione in ogni scena c’era un grafico azionario. Inizialmente tutto questo caos parve incomprensibile, ma guardando meglio Giorgio non poté fare a meno di notare che quando accadeva qualcosa di positivo alle persone negli schermi il titolo saliva, e quando accadeva qualcosa di negativo il titolo scendeva. “Si è già trovato?”. Giorgio trovò il suo schermo e non poté evitare di fare un salto quando rivide scene del suo appuntamento con Paola, le mucche sui binari, lui che dentro la metro si tastava per cercare il portafoglio. Giorgio era indignato, furente ma anche curioso di capire dove sarebbe andato a parare.
“Vede, a noi vecchi squali di Borsa giocare coi titoli dopo tanti anni sta un po’ stretto, in fondo le aziende sono impersonali, che gusto c’è. Invece le persone sono imprevedibili. Per quello, abbiamo creato un piccolo circolo di vecchi volponi e abbiamo trovato il titolo più interessante di tutti, le vite delle persone, ma solo per un periodo di massimo 3 giorni. Ma come lei saprà le fortune si fanno e si disfano anche in molto meno tempo”. “Ha presente, quando due mesi fa il suo consulente finanziario le ha suggerito di comprare i titoli di questa azienda di costruzioni, la GV S.p.A. e le aveva anche dato un prospetto informativo? Beh, non le è sembrato strano che le iniziali fossero le stesse del suo nome? Ad ogni modo, io oggi avevo puntato su un suo tracollo e come vede la mia scommessa è andata a buon fine. Se tutto quello che le è accaduto è stato casuale? Le regole del nostro club proibiscono di interferire con i “titoli”, sarebbe “insider trading”, ma c’è un gentleman agreement di poter agire discretamente, a patto che nessun altro dei partecipanti, autorità o terze parti possano ricondurci a loro.
Le dico solo, spoiler, che con le mucche nessuno di noi ha qualcosa a che fare. Devo dire che stamattina ho riso molto quando l’ho saputo. La vita è una maestra d’ironia, vero? Ad ogni, voglio donarle una piccola parte di quello che oggi ho vinto, e scusarmi per avere giocato con lei”. “Ma lei è matto! Io la denuncio. Chi crede di essere, Dio?” “Su, su, non faccia così, sia sportivo, le ricordo che ci sono queste immagini che credo non vorrebbe fossero diffuse no?” “I vari riquadri si fusero in un’unica immagine che mostrava una persona incappucciata che stava scrivendo con una bomboletta rosa. Quando la figura si girò si vide perfettamente il volto. Era Giorgio. “Ma questo non è possibile, non sono stato io!”.
“Ha mai sentito parlare di deepfake? Le assicuro che ci sono abbastanza indizi da portare a lei che come minimo il licenziamento non glielo leva nessuno e se va male ci sarà un brutto processo e un grosso risarcimento. Mi auguro che lei sia assicurato. Ma io sono buono. Prometto di cancellare tutto se lei acconsente ad aiutarmi col prossimo titolo. Abbiamo un accordo?” Mise in mano a Giorgio una busta. “E mi raccomando, non la apra prima di esser molto lontano da qui. Si ricordi che è osservato”.
Giorgio uscì dal palazzo della Borsa frastornato. Solo quando fu in Piazza Duomo, in mezzo a turisti e lavoratori che sciamavano per prendere la metro, si decise ad aprire la busta delicatamente. Dentro c’era una foto. Sul resto solo due iniziali. PL S.p.A. Quotazione 11 Ottobre 2019. Giorgio girò la foto e la riconobbe subito.
Era Paola.