Destinazione: macero!

Sono irrequieta. Dovrei archiviare del materiale, ma la mia testa si muove come una luce a intermittenza mentre tengo d’occhio dei ragazzi dall’aria di chi è lì solo perché un contratto di lavoro lo prevede. Il mio collo raggiunge la sua massima elasticità e a tratti sono costretta a ritirarmi per soffocare l’inizio di un crampo. Spero che nessuno mi veda perché sto quasi sbavando, neanche fossi una iena a digiuno che ha appena individuato il pasto che la salverà dalla morte.

Il mio turno sta per finire e sono all’apice della felicità che coincida con la fine dei lavori di quei ragazzi. Avrò tempo di scambiare due chiacchiere con loro e portare a termine il mio piano. C’è un momento in cui penso che forse dovrei trovarmi un uomo e  iniziare una relazione seria o anche solo uno sport o un hobby che impegni la mia mente; trovo bizzarro spiare ogni singolo movimento di perfetti sconosciuti per carpire loro informazioni che nessun’altro al mondo, al di fuori di me, vorrebbe sapere. Eppure, non riesco a trattenermi.

Li ho osservati per un’ora intera e forse quello più promettente potrebbe essere il ragazzo sbarbato che pare essere uscito dalle superiori solo l’altro ieri; mi da l’idea che potrebbe essere disponibile a dispensare qualche informazione senza fare troppe domande.
Sono a pochi passi da lui. Mentalmente ripasso la sceneggiatura pensata apposta per questo incontro, quando da un angolo salta fuori il suo capo e io cambio direzione inaspettatamente, rischiando di tirare una craniata contro un muro.
«Tutto bene, signora?», chiede l’uomo.
“Signora?”, penso, “Ma quanti anni pensi che abbia?”. Il mio sguardo è amichevole mentre dentro prendo a padellate il vecchio che sorride divertito; devo essergli sembrava un giullare di corte sbronzo per la mia ridicola performance di poco prima.
«Sì, tutto bene, grazie».
«Guarda che c’ha la morosa quello lì». Non riesco a dire nulla, sono troppo imbarazzata perché capisco di essere sembrata solo una “milf” disperata in cerca d’affetto per tutto il tempo ai loro occhi. Fuggo verso l’uscita ritraendo la testa verso le spalle il più possibile, sprofondare sotto terra all’istante non è possibile.

«Hei, tu». Beccata! Ora mi aspetta un rimprovero dal mio di capo, ma quando mi giro trovo lui: lo sbarbatello. Mi fissa con aria maliziosa, come se mi stesse spogliando con gli occhi. “Dio mio, ti prego non farlo…”. La cosa mi mette a disagio, potrei essere sua madre e averlo concepito a diciotto anni.
«Il capo dice che c’hai una cotta per me».
«Uhm… senti, c’è stato un malinteso e…».
«Lo so che non è così. Tu vuoi le stoffe, vero?».
Mi ritrovo senza parole: come fa a saperlo? Vuole spifferare tutto al mio capo e farmi passare un guaio? Mi chiederà soldi in cambio di stoffa? Un ricatto? Oddio, che cosa ridicola e imbarazzante sto pensando. Queste cose di solito accadono per segreti di stato o droga. Sto per rispondere, ma lui mi precede. Mi chiede di seguirlo e io, anche se titubante, lo faccio. Mi fa indicare le stoffe che vorrei, fa un cenno con la testa e mi dice di farmi trovare ad un indirizzo che non conosco ma che intuisco essere a circa mezz’ora da casa mia. Devo essere lì alle 19:15 in punto.
Non faccio domande. Non credo riceverei risposta. Salgo in auto e mi sento colpevole, come se avessi appena spifferato la debolezza di un supereroe al mondo, deludendo tutti. Guardo l’ora. Potrei aspettare in un bar, ma non voglio rischiare di arrivare tardi: preferisco attendere e farmi divorare dall’ansia, piuttosto che perdere quell’appuntamento.

Osservo le auto sfrecciare lungo la strada principale, poi mi guardo attorno. Sono in un parcheggio desolato. Poco distante da me solo un camion e due auto, ma nessuno a bordo. Elaboro mille teorie sul perché mi trovi lì e solo quando mancano pochi minuti all’orario stabilito, penso all’ipotesi peggiore: sono stata presa in giro, nessuno verrà all’appuntamento. “Dio, ti prego, no!”, penso e mi dispero. Ma come ho fatto a cascarci?
Non ci credo, ma più mi guardo intorno, più penso che sia così e trattengo un nodo alla gola. Se ora piango, non mi riprendo più. Sto per mettere in moto l’auto, la delusione mi devasta, ma poi sento un clacson e lo vedo di fianco al guidatore, un altro sbarbatello come lui, ma dall’aria più adulta. Rimango in attesa, viene verso di me.
«Avvicina l’auto», mi dice.
«Ok…», rispondo perplessa.
Mi fermo di fianco al camion e senza avere il tempo di fare domande, i due ragazzi caricano nell’auto le stoffe che avevo selezionato.
«Che ci farai con tutta sta roba?», mi chiede lo sbarbatello.
«Ancora non lo so, ma qualcosa ci farò», dico con una convinzione emersa all’improvviso.
«Ok. E comunque, se devo essere sincero, mi sentivo a disagio a sapere di piacerti».
Ho le stoffe in auto, poco importa che non gli piaccia, ma se solo si fosse fermato lì…
«Sai, mi fa sentire a disagio, insomma… potresti essere mia madre», e a quel punto lo ringrazio, lo saluto con un acuto ciao e salgo in auto, trattenendo la voglia di strozzarlo. In fondo ha contribuito, a modo suo, al mio progetto per realizzare una moda sostenibile.

Dal film “Into the wild” – Se vuoi qualcosa nella vita, allunga la mano e prendila

Il materiale di cui è composta la t-shirt ha rischiato di essere gettata al macero. L’industria della moda è da sempre – e tuttora – considerata la più inquinante al mondo. Il mercato propone sempre più offerte per rispondere a domande che forse nemmeno esistono, ma che spingono al consumismo con il rischio di ritrovarci nell’armadio capi che nemmeno ci servivano e ben lontani dall’essere sostenibili.

Utilizzare giacenze di tessuti di una stagione passata non rende meno “fashionisti”. Fornisce, invece, un valore aggiunto: un prodotto realizzato nel rispetto dell’ambiente, favorendo l’impiego di materie prime ancora utilizzabili, diffondendo di conseguenza una moda più consapevole.
– Sustainable_Raley –