Quando apro gli occhi noto un foglio di carta sulla scrivania.
Anche se è ancora notte, la debole luce che passa dalla tapparella rotta mi permette di vedere l’altro lato della stanza.
Mi sollevo a forza, nonostante l’eccitazione per scoprire cosa ci sia scritto sopra a quel foglio. Cammino scalza trascinandomi a fatica. Le gambe sembrano pesanti come se avessi dei pesi legati alle caviglie. Indosso solo una t-shirt bianca dal collo slabbrato con la scritta ormai scolorita, ma è pur sempre una maglietta dei Nine Inch Nails. Cazzo che gruppo! Ricordo come fosse ieri l’emozione che mi hanno regalato al loro ultimo concerto. Ma quando ci sono stata? Anzi, da quanto sto dormendo?
Mentre cerco risposta alla domanda, stringo tra le mani il foglio. Porca vacca! Ho superato l’esame di storia dell’arte contemporanea. Dopo due anni e tredici tentativi, improvvisamente sono riuscita a superarlo. Strabuzzo gli occhi incredula. Provo una sensazione di immensa gioia ad aver raggiunto una meta che mi sembrava ormai irraggiungibile. Ricordo di averci rinunciato e ora invece “boom”… mi ritrovo a stringere un foglio che elogia la mia eccellenza nella materia. Porto una mano alla bocca, l’emozione è forte, ma in un istante piango e straccio il foglio, riducendolo a brandelli. Urlo. Urlo forte. Mi sentiranno i vicini? Anzi, dovrebbero sentirmi? Non lo so. Mi sento confusa, agitata. L’ansia torna a farmi visita e con la stessa struggente lentezza di poco fa, torno a sdraiarmi a letto, improvvisamente rassegnata.
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La luce del giorno che passa dalla porta della camera mi sveglia non appena mi giro verso di essa. Come mai la porta è aperta? Ero sicura che fosse chiusa. Non mi preoccupo più di tanto. Forse si è aperta da sola, è sempre stata difettosa. Stupido appartamento economico, scomodo da ogni angolo della città e dalle mura sbiadite e la cucina inabitabile tanto è piccina e poco funzionale. Nemmeno il colore si salva. Unire il marrone al rosso dovrebbe essere considerato illegale. Credo di aver avuto la febbre, forse anche solo per qualche ora, ma provo quella sensazione che si ha dopo aver superato un periodo di malattia. I muscoli prima tesi ora sono rilassati e la camminata è tornata quella di sempre, forse un poco incerta per via di quella porta. Ma perché cazzo è aperta?
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Sorseggio dell’acqua con tanto ghiaccio e una fetta di limone. Trovo gentile quel gesto di avermi fatto trovare qualcosa di rinfrescante e per un attimo mi sento innamorata anche se quando lo penso le dita tremano appena e le labbra smettono per un attimo di sorseggiare. Sfoglio un album di fotografie. Un centinaio di immagini mi ritraggono in svariate situazioni. Caspita quanto sono felice! Non sto più con quel ragazzo che faceva il cameriere al King’s Pub. Non so il perché.
Un’altra foto mi vede abbracciata a quella stronza di Alice che ora pare apprezzarmi. Mi piace l’idea di aver fatto questa svolta. Ricordo che ne parlavo con la mia ex coinquilina Rebecca. Ricordo che le avevo detto che solo una o due volte nella vita capita di vivere una vera svolta, a volte nemmeno ce ne accorgiamo, a volte le nostre paure spariscono, a volte prevale la nostra parte più forte perché siamo stanchi di subire.
Sfoglio l’album dalla copertina di pelle con il bordo intrecciato ad arte. Ha buon gusto persino per una piccola cosa come questa. Sfoglio pagina dopo pagina e ammiro me stessa felice, piena di energia, diversa. Amo questa mia nuova versione e il discorso fatto a Rebecca mi dà una strana carica. Mi rimetto in piedi quasi in un lampo. Indosso la lunga gonna plissettata e cerco disperatamente la t-shirt con la scritta stampata dei Nine Inch Nails. Ve l’ho già detto che è un gran bel gruppo? E che gruppo! L’ho scoperto dal tipo che mi sedeva davanti una sera in cui mi ero unita ad un gruppo di ragazzi per scrivere e da lì ho iniziato ad amarlo più che mai. Ma sapete una cosa? Nell’album, di quella maglia, la t-shirt ormai logora e scolorita, non c’è traccia.
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Devo aver dormito almeno tutto il pomeriggio, ancora, perché a giudicare dalla luce, è ormai il tramonto. La durata della mia gioia è al massimo di tre minuti. Il tempo di vestirmi e avevo già ripensamenti su cosa fare. Non ho davvero parole, ha più durata il primo Nokia che mi hanno regalato i miei genitori. Faccio un sospiro. Raccolgo il coraggio, ancora una volta, e faccio qualche passo verso la porta. È chiusa. Cazzo! Proprio quando avrei voluto che fosse aperta. Porto una mano alla maniglia e come se stessi disinnescando una bomba, la apro lentamente. Digrigno i denti incazzata quando il sento il solito cigolio secco, assordante e, nel suo piccolo, fastidioso. Ma prima di tutto rumoroso. Rimango in sospeso, la mano ha quasi un crampo, poi quando non percepisco rumori, giro completamente la maniglia e socchiudo la porta giusto quei due, forse tre centimetri, per vedere all’esterno.
La mia nuova coinquilina non c’è. Ora che ci penso aveva detto che andava a trovare i suoi per tutta la settimana. Ma come ho fatto a scordarmi? È come se avessi perso la testa ultimamente. Apro la porta, rivelando metà del mio corpo al corridoio esterno. Pulito, silenzioso, austero per via dell’antica, e alquanto discutibile in fatto di stile, libreria inclusa insieme all’affitto di quel buco. È davvero inquietante ma prima di tutto fuori luogo. Non colgo nessun rumore e così parte la mia falcata lungo la moquette rosa pallido. Una passerella silenziosa che mi vede camminare quasi giustificando ogni mio movimento mentre i miei occhi osservano qualcosa di nuovo.
Due quadri, alcuni libri lasciati a terra di fianco alla terrificante libreria. L’acqua con un piattino e, sdraiate in maniera consecutiva, tre fette di limone. La ciotola con l’acqua mi fa pensare che prima ci fosse del ghiaccio. Ma allora non ho dormito così tanto…
Raggiungo la scala e guardo sotto. Sì, sono sola in casa. Ma perché diavolo avevo dubbi? La mente mi gioca brutti scherzi. Porto le mani alla testa e sposto la chioma marrone all’indietro, scuotendo il capo. Ma che problemi ho? Penso dandomi per un attimo della pazza. Scendo con fare sicuro gli scalini, mentre osservo un quadro dalla cornice vintage e dal contenuto sintetico alquanto ambiguo. Il caos è ordine non ancora decifrato.
Rifletto sul perché io abbia appeso una simile frase. Ultimamente ho dei vuoti, non c’è altra spiegazione. Ma che vuoti? Lo scricchiolio del pavimento mi distrae. I miei occhi tremano e, con perfetta sincronia, trema anche il resto del corpo. Mi manca la voce e mentre lo spazio tra di noi diminuisce, io indietreggio e non riesco a provare vergogna quando sento l’urina correre lungo le mie gambe che si muovono con grande fatica, tremanti, come avessero nuovamente quei pesi immaginari. Risalgo le scale per tenere una distanza di sicurezza. Sarà sufficiente? Non lo so. Quello che so è che l’unica cosa da fare è camminare indietro lentamente verso la stanza in cui sono chiusa da non so quanto tempo. Con la coda dell’occhio vedo che la stanza della mia coinquilina è spoglia.
Ora ricordo. È andata via. L’ho mandata via. Anzi, no. Lei l’ha mandata via. Quando sono al centro della stanza, lei si ferma sulla soglia e mi osserva in silenzio. Gli occhi fissi su di me non battono ciglio. Ma come fa a non chiuderli? Come fa ad avere la meglio su di me? Non lo capisco e lascio che la figura che mi sta di fronte, la mia gemella, la mia sosia, la parte che ha prevalso su di me, porti una mano alla maniglia e mentre con un dito posato sulle labbra identiche alle mie, mi invita a fare silenzio, io ricordo con terrore e stupore quel tragico giorno, quell’incontro inaspettato.
Lentamente la porta si chiude e prima di vederla sparire oltre di essa, noto che indossa la t-shirt dei Nine Inch Nails e in quel preciso istante un’altra piccola parte di me, un bellissimo ricordo, muore. Mi sento svenire. Chissà se, quando mi sveglierò, riuscirò ancora a ricordarmene.