Nella vita, Nora si era sentita dire di tutto.
A volte non era abbastanza rapida nella comprensione di un compito di matematica.
Altre volte, invece, memorizzare il concetto di un testo le richiedeva più tempo rispetto agli altri.
E poi, ancora, non era sufficientemente abile nell’inserire dei dati al computer, a consegnare il caffè ancora caldo al suo capo, a stampare fronte retro senza prima fare un paio di test. Ora tutte quelle frasi non la toccavano nemmeno più ma mai avrebbe pensato che la più inaspettata sarebbe stata quella che l’avrebbe più ferita.
Tu non sei mia madre.
Angela era uscita sbattendo la porta e lasciando un’invisibile quanto palpabile voragine tra loro due, nel bel mezzo del salotto; la televisione ancora accesa su una serie tv. L’irruenza con cui si era alzata per sfuggire allo sguardo di Nora aveva fatto rovesciare una lattina di coca-cola e il liquido aveva inzuppato il tappeto persiano. In un angolo, i disegni erano a mano a mano svaniti sotto una macchia scura come era ora il viso di Nora. Nella sua testa risuonava ancora quella frase come l’allarme di un auto che non si spegne. Per tre mesi, quattro giorni, sei ore e dodici minuti, la vita era trascorsa come se nulla fosse accaduto, come se quel funerale non ci fosse mai stato. Ora Angela stava reagendo e Nora non sapeva che cosa fare.
Fu un flebile suono a riportarla a quel momento. Si guardò attorno e fissò un cellulare illuminarsi da sotto un plaid. L’impronta digitale le negò subito l’accesso, ma non le impedì di leggere l’anteprima di un messaggio.
Un giorno, otto ore e ventidue minuti. Fu il tempo che Angela si prese per sé. Era rientrata a casa spalancando la porta. Aveva acceso le luci e preso una coca-cola dal frigorifero. L’aveva bevuta quasi tutta stando in piedi, in mezzo alla cucina. Si muoveva come se fosse l’unica presenza in quella casa, come se fosse appena rientrata da una gita scolastica. E Nora aveva atteso un cenno qualsiasi, un debole segnale a indicare che era tutto a posto, ma invano; forse non aveva ancora letto quel che le aveva lasciato nella stanza o forse lo aveva fatto ma non ne voleva parlare.
Aveva pulito casa. Era rimasta in ginocchio per venti minuti a pulire il tappeto. Aveva cucinato per due, ma consumato per uno; si era assicurata che ci fosse la coca-cola nella spesa ordinata online.
«E tu, ricordi il tuo primo bacio?».
Nora si girò all’improvviso. Angela sedeva sullo sgabello, le mani appoggiate su un diario privo di lucchetto, l’aria curiosa e quasi divertita, come se non ci fosse mai stata alcuna discussione: né tra loro, né in una qualsiasi chat al cellulare.
«Sì, lo ricordo bene»
«E com’è stato?».
Nora prese un piatto, tolse la pellicola e mentre lo scaldava nel microonde, versò della coca-cola in un grande bicchiere che porse ad Angela. Due minuti dopo, le porgeva un piatto di spaghetti al pomodoro.
«Fu uno di quei baci che ti fanno esclamare Wow. Lui mi dava ripetizioni di matematica e italiano. A differenza di mia sorella a scuola ero proprio negata. Stava salendo sul treno che l’avrebbe portato dalla sua famiglia, in un’altra città, e proprio quando stavo per allontanarmi dal binario, mi prese tra le braccia e mi baciò»
«Sembra la scena di un film romantico. Mamma, invece, ha incontrato dei veri casi umani! Forse toccherà anche a me…»
«Non erano casi umani, solo baci meno romantici».
Nora aprì il diario e lesse a voce alta del tizio che invece di baciare la madre sulla bocca, le aveva centrato il naso con la lingua. Di quando il bacio fu perfetto ma nulla di eclatante o di quando moriva dalla voglia di sciogliersi tra le braccia del ragazzo che le piaceva. Una volta era così agitata che morse il labbro di un tizio fino a farlo sanguinare. Ci fu un altro bacio, bello ma disastroso, e quelle furono le uniche parole con cui era stato descritto, poi Angela abbassò voce e sguardo, come se le parole davanti a lei si fossero afflosciate, gli occhi lucidi.
«Qui dice Il mio primo e vero bacio è stato dopo il divorzio, quando mi sono innamorata per davvero. Il giramento di testa, le farfalle nello stomaco, una stretta al cuore. È un bacio che non dimenticherò mai!».
Angela osservò il diario che aveva in mano. Ad eccezione di poche pagine, alcune erano state accuratamente oscurate con della carta da pacchi, un cordino e dello scotch.
«Quando potrò leggere il resto?»
«Quando sarai più grande…» rispose Nora mentre riprendeva il diario. Trattenne un bolla di nostalgia all’altezza della gola al ricordo della sorella che la notte scriveva i suoi pensieri, ignara che venissero letti di nascosto il giorno dopo con una velata e tenera gelosia. Riaprì il diario e lo piazzò davanti ad Angela, indicando un punto preciso.
«Questo era tuo padre».
«Scherzi?».
«Ora è tardi, vai a dormire»
«Vorrei restare ancora sveglia qui con te, a parlare».
Nora non insistette e si sedette di fronte a lei. Accadeva per la prima volta da quel giorno, dopo tre mesi, cinque giorni, quattordici ore e trentaquattro minuti.