Era un giorno come tanti finché la titolare della Gigli & Co, nonché direttore creativo della linea Lauren Gigli, mi aveva convocata d’urgenza nel suo ufficio: Olivia se n’era andata senza preavviso e lei era furiosa, non poteva credere che la sua socia e amica le avesse fatto una cosa del genere.
Si erano conosciute durante un corso di moda a New York e avevano condiviso il sogno di aprire un atelier e lanciare una linea di abiti femminili. Olivia non aveva mai nascosto il suo legame morboso con i soldi

ma Lauren non ci aveva mai dato peso, anzi, aveva sempre pensato che tale aspetto sarebbe tornato utile: anche in situazioni finanziarie difficili, lei avrebbe saputo quali scelte prendere per rimanere entro il budget stabilito. Invece, non aveva esitato ad abbandonarla per denaro.
Fu così che, in un freddo pomeriggio di gennaio, rag giunsi la porta dell’ufficio di Lauren Gigli, un insieme di vetrate trasparenti decorate in alcuni tratti da lunghe righe opache verticali, con sopra un’insegna che riportava il suo nome e cognome, e bussai. Alzò di scatto lo sguardo. Era così assorta ad analizzare dei documenti, che pensai si fosse dimenticata di avermi fatta chiamare. «Entra pure, Lily», disse poi.
Mi sedetti sulla sedia di pelle rossa di fronte alla sua scrivania, sfoggiando un sorriso falso. In tutti gli uffici, la notizia di Olivia era il gossip del giorno e la cosa non mi piaceva per niente; percepivo che da lì alla sfilata sarebbe stata ancora più dura. Cercai di rimanere calma. Volevo evitare di pensare allo scompiglio che si era creato, così mi concentrai sulla libreria che stava alle spalle del mio capo. Notai diversi volumi sulla storia dell’arte e del costume nella moda. Alcuni dovevano essere molto costosi, altri addirittura edizioni limitate. Ammiravo molto Lauren e le invidiavo quella bellissima collezione. Stavo per decifrare il titolo di un libro dalla copertina verde, quando iniziò a parlarmi.
«Come già saprai, Olivia ha deciso di abbandonare la nostra azienda», esordì con tono secco. Feci un cenno con la testa, pronta a subire una canti lena sulle conseguenze e responsabilità di cui avremmo dovuto farci carico. «Lily, sposta le tue cose nell’ufficio qui accanto. A breve convocherò una riunione per confermare le nuove disposizioni». Mi rivolsi a lei quasi sottovoce.
«Ehm… nuove disposizioni?»
«Assumerai il ruolo di Olivia fino alla sfilata e, se i risultati saranno buoni, discuteremo di una tua quota nell’azienda», rispose e mi liquidò tornando ad analizzare i documenti.

Con molta calma, senza mostrare l’ansia che mi dominava, mi incamminai verso il mio ufficio, poi deviai in direzione del cortile esterno. Avevo bisogno di una boccata d’aria. Lauren mi aveva assegnato una nuova posizione, di conseguenza un compito molto importante. Ero stordita, quasi avessi bevuto un’intera bottiglia di vino a stomaco vuoto. Dopo solo un anno dalla mia assunzione all’ufficio stile ero stata promossa a responsabile della catena di produzione e il mio lavoro era seguire lo sviluppo delle collezioni dei clienti, dall’acquisto di un bottone al capo finito.
Adesso, dopo appena quattro anni, venivo messa alla prova per diventare socia minore dell’azienda. Sogna vo da tempo di dare una svolta alla mia vita, ma non avrei mai pensato che sarebbe avvenuta così.
Beep! Sullo schermo del computer apparve un messaggio. “Novità?”, mi aveva scritto Jacqueline, curiosa di sapere l’esito della mia convocazione. Esitai. Non ave vo del tutto digerito il discorso di Lauren. Feci un lungo sospiro e digitai: “Se te lo dico non ci credi”. Non feci in tempo a vedere se Jacqueline mi avesse risposto, che sentii la voce di Lauren. Senza volta re lo sguardo percorreva l’intero corridoio e, a mano a mano che passava davanti agli uffici, annunciava: «Riunione nella sala principale!».
Mi alzai di scatto e raggiunsi Jacqueline per andare insieme in sala riunioni. Era una stanza davvero immensa, quella che più mi aveva colpita il giorno del mio colloquio alla Gigli & Co; avevo pensato subito che Lauren avesse scelto lo stabile solo per quella sala.
Il lato che dava verso l’esterno era composto da grandi vetrate. Le pareti bianche erano più alte rispetto a quelle degli altri uffici e il pavimento era di un marmo pregiato dai colori pastello. A enfatizzare l’immensità della stanza aveva contribuito il tocco di Lauren nell’arredamento. Al centro c’era un lungo tavolo di vetro spesso, sorretto da diversi paletti in acciaio cromato, e tutto attorno sedie girevoli dal disegno minimal. Al lato opposto rispetto all’ingresso c’era no un’enorme libreria e gli archivi con le foto di tutte le collezioni realizzate per diversi marchi di moda o di capi progettati per fiere ed eventi; Lauren aveva fatto realizzare delle gigantografie di alcune di esse, che decoravano le pareti della sala. Ogni volta che mi trovavo lì, ammiravo la foto vicino all’ingresso. Rappresentava un lungo abito in shantung di seta color lavanda. Quando fu realizzato lavoravo ancora nell’ufficio stile, ma fu grazie a quell’indumento che ottenni la mia prima promozione.

L’ente fieristico Flowers of the World di New York aveva richiesto un abito che fosse rappresentativo del fiore di lavanda. La tensione in quei giorni era al massimo. Il nostro fornitore aveva realizzato un tessuto diverso da quello ordinato e non c’era tempo per aspettare una nuova partita di materiale. Avevamo preso contatto con diverse aziende tessili, ma nessuna era riuscita a risolvere il problema. Il bozzetto prevedeva dei ricami e l’applicazione di picco le pietre che andavano cucite a mano, ma la diversa consistenza del tessuto non permetteva di supportare tutte quelle lavorazioni rispettando il progetto iniziale. Lauren era così nervosa che nemmeno Olivia osava avvicinarsi. Dalla mia postazione osservavo i colleghi bisbigliare che si doveva ricominciare tutto da capo o, peggio, che non c’era più niente da fare. Iniziai così ad analizzare la scheda tecnica dell’abito. Pensai e ripensai a cosa si potesse fare, ma non trovavo alcuna soluzione.
Rassegnata all’i dea della dura settimana di lavoro che ci aspettava, decisi di fare una pausa e ne approfittai per mandare un messaggio a mia cugina Natalie, confermandole il nostro appuntamento di quella sera. Non la vedevo da quasi tre mesi, da quando il suo matrimonio era stato annullato poiché aveva scoperto che il suo fidanzato l’aveva tradita. A dire la verità, ero più dispiaciuta per il vestito che le avevo cu cito; quel ragazzo non mi era mai piaciuto. All’improvviso mi bloccai. Mi trovavo davanti allo schermo con la scheda tecnica ancora aperta, quando mi alzai di corsa.
«Puoi coprirmi per un’ora?», dissi passando per la scrivania di Jacqueline.
«Cosa? E dove andresti?»
«Fidati!». Mi guardò con aria dubbiosa e si appoggiò allo schienale, gli occhi sempre fissi su di me. «Okay, ma solo per un’ora».
Corsi alla macchina e mentre uscivo dal parcheggio chiamai mia cugina. «Sei a casa?». Dall’altra parte del telefono udii il rumore di un trapano.
«Buongiorno anche a te, Lily».
«Scusami, ma ho fretta. Ho bisogno di venire subito da te». Natalie stava dicendo a qualcuno di appendere uno specchio in un punto preciso della parete nella sala, poi si rivolse a me. «Va bene, ti aspetto, anche se ho molto da fare».
Arrivata a casa sua, le chiesi di darmi lo scatolone bianco in ecopelle. Dopo averlo cercato per qualche minuto me lo porse, perplessa, senza capire perché ci tenessi così tanto.
«Posso tenere il contenuto?»
«Puoi dargli pure fuoco, per quel che mi riguarda».

Dopo un’ora esatta ero di ritorno. Non passai nemmeno dal mio ufficio, andai subito in quello di Lauren. Quando Olivia aprì la porta, fissò l’enorme scatola che reggevo tra le mani.
«Lily, non è il momento».
«Lo so, ma devo parlarvi. È importante». Lauren mi guardava curiosa ma sempre seria. Posai lo scatolone a terra e lo aprii. All’interno, avvolto nella carta velina, c’era una grande quantità di shantung di seta color lavanda: il tessuto con il quale avremmo realizzato i vestiti delle damigelle di Natalie. Le avevo suggerito di tenerlo, nel caso un giorno fosse tornato utile, ed ero felice di averla convinta. Non solo era perfetto per l’abito della fiera, Lauren sembrava addirittura commossa. «Dove l’hai trovato?»
«È una lunga storia!». Mi guardò con aria soddisfatta. «Rimettiamoci al lavoro».
Stavo ancora pensando a quel giorno quando Jacqueline mi diede un pizzicotto.
«Che fai?», sussurrai.
«Ti hanno appena chiamata», disse a denti stretti senza distogliere lo sguardo da Lauren. Mi girai nella sua direzione. «Lily?». Rimasi di sasso. Ero così assorta nei miei pensieri da non rendermi conto che Lauren, non appena tutti era no entrati, aveva iniziato a spiegare la situazione in cui ci trovavamo e a dare nuove disposizioni presentandomi come “la nuova Olivia”. Mi feci coraggio e provai a rispondere al suo richiamo: «Ti ringrazio per il ruolo che mi hai affidato e spero che riusciremo a collaborare, tutti assieme. Questa situazione non ci deve spaventare, possiamo farcela!».
«Ottimo spirito, Lily! Tu rimarrai qui con me, mentre gli altri possono tornare alle loro postazioni. Buon lavoro».
Mi sedetti al suo fianco e lei iniziò a riassumere tutto ciò che Olivia aveva seguito fino al giorno del suo abbandono. Mentre parlava, mi allungava fogli e blocchi con annotazioni. «Puoi cominciare andando presso l’azienda tessile di Maya, un nuovo contatto che aveva trovato Olivia. Controlla come procede la lavorazione dei tessuti. Vista l’ora, quando avrai finito puoi pure andare a casa. Ti aspetto domattina alle otto nel mio ufficio». Raccolsi il materiale, lo strinsi a me per non farlo cade re e mi avviai verso l’uscita.
«Lily, hai dimenticato qualcosa». Mi girai e vidi tra le sue mani un paio di chiavi. «Ora è tua», disse lanciandomi le chiavi dell’auto che era stata di Olivia, facendo in modo che cadessero sulla pila di fogli che reggevo in mano. Le afferrai, rimasi con il pugno chiuso e, quando le diedi le spalle, lo agitai in segno di vittoria.
Nuovo lavoro. Nuovo stipendio. Nuova auto. Nuova vita.