L’arte dell’abbandono (tenere?)

«Mi avevi detto che venivi!».

«Ti ho detto che venivo, ma a farti compagnia. Non a rubare!».

«Guarda che non è rubare se qualcosa viene abbandonato!».

«Ti hanno detto che puoi prendere tutto quello che vuoi?».

«Sì».

«Come mai sento l’impellente bisogno di chiederti se ne sei sicura?».

«Hanno detto che a loro non interessa quello che c’è qui dentro. È tutta roba da buttare».

«E quando ti hanno detto che puoi prenderla?».

«Hai ascoltato quello che ho detto?».

«Certo! Stai rubando e mi hai appena reso tuo complice!».

«Ma quale complice. Noi siamo amici».

«E tratti così gli amici?».
«Dando loro l’opportunità di ridurre l’inquinamento e salvaguardare l’ambiente? Certo!».

«Tu sei fuori di testa…».

«Te lo ripeto un’ultima volta: mi hanno detto che è tutta roba che vogliono buttare piuttosto di dover muovere il culo per smaltirla. È un chiaro invito a prenderla!».

«E come mai lo facciamo al calar della sera, bisbigliando per non farci beccare? Guarda che se mi arrestano, testimonio contro di te!».

Lily non diede importanza alle parole dell’amico. Oltrepassò la siepe nel punto in cui era malmessa e si avvicinò alla porta d’ingresso dello stanzino al piano terra di una bifamiliare; non la chiudevano mai. Appoggiò la mano e spinse piano per evitare il solito cigolio che faceva quando veniva aperta di fretta. Conosceva bene quel posto, ma a luci spente, illuminato da una fastidiosa luce artificiale, faceva tutto un altro effetto. Pareva un museo degli orrori. Il pavimento era sporco, coperto da ritagli di tessuto, resti di scatoloni e qualche foglia secca sparsa in qua e in la. Il grande tavolo da lavoro non era da meno: su di esso una distesa di stoffe ammucchiate senza senso, prive di una qualsiasi protezione. Ogni tanto una scatola, dei bottoni, una forbice da taglio e altri strumenti del mestiere. Lily scosse il capo. Fissò quello scenario per qualche istante ma non provò alcun rimorso in ciò che stava facendo; salvare il salvabile era la cosa giusta da fare.

«Lily!», la chiamò sottovoce l’amico, ancora dietro la siepe.

«Non fare il fifone Andrea, muoviti». Si era sporta all’ingresso e gli aveva fatto un cenno con la mano. Il ragazzo non si muoveva, non tollerava quella situazione. Gli sembrava sbagliata nonostante Lily frequentasse quel posto da molto tempo e fosse in un certo senso autorizzata ad entrarci, ma poi un suono lo distrasse. Prese in mano il cellulare e lesse un messaggio. Era di Lily.
In meno di un minuto la raggiunse dentro a quella sorta di cantina dismessa con l’aria di chi teme il peggio.

«Lo sai che a volte ti detesto davvero?». Lily lo ignorò per la seconda volta, le sue battute non la toccavano minimamente.
«Tieni le chiavi della tua auto, così ora ti sentirai più tranquillo».
«Ok, cosa facciamo?».Lily gli chiese di far luce con la torcia del cellulare mentre scrutava vari tessuti sul grande tavolo.
«La maggior parte di questa roba non posso prenderla. È rovinata. Guarda qui che disastro!». Sollevò una pezza di tessuto che mostrava strane macchie. Un’altra, una volta aperta, rivelò diversi tagli, come se fosse stata graffiata di proposito. «Maledetti gatti… li lasciano liberi di girare quaggiù, ti pare normale?». Andrea la seguiva con lo sguardo, ma più si addentravano in quello spazio buio e angusto, più percepiva che qualcosa di brutto sarebbe accaduto. 

«Lily, datti una mossa!». Camminavano su avanzi di tessuto. Ogni tanto si percepiva uno scricchiolio ma era chiaro che fosse causato dal qualche bottone calpestato o qualche pezzo di plastica.
«Ho trovato!». Lily spostò diverso materiale e a fatica recuperò un grande sacco di nylon. Con un gesto brusco lo aprì per verificarne il contenuto e un sorriso apparve sul suo viso.

«Sono queste le stoffe che cercavo! Sono intatte!». Andrea illuminava quella scena. L’amica sorrideva per del tessuto, ma era come se avesse appena vinto un cospicuo premio in denaro all’improvviso. Gli piacevano quei rari momenti in cui sorrideva così, era bellissima.

Un rumore sconosciuto li travolse tutto d’un tratto. Andrea era stranamente meno teso rispetto a poco prima, ma quando vide l’espressione sul viso di Lily, capì che qualcosa non andava. Lei lo attirò a sé e si nascosero dietro a una vecchia porta scardinata che poggiava in parte contro un muro. Il nascondiglio non era il massimo, ma le luci al neon erano rotte e questo giocava a loro favore. Lo sguardo di Lily era diverso, come fosse conscio di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Una voce maschile si fece sempre più vicina e i suoi occhi si fecero così grandi che Andrea pensò sarebbero caduti sul pavimento ricoperto di stoffa e foglie secche. Cercò di chiederle chi fosse con lo sguardo.
«È lui…», bisbigliò. Non c’era altro da dire. Andrea aveva capito di chi si trattasse. Non lo conosceva, ma sapeva che non avrebbe dovuto essere lì, non di sera almeno.

Lily iniziò ad agitarsi. Appiccicata all’amico, respirava sempre più forte. Andrea cercò di zittirla con la mano, ma dalle narici il suo respiro usciva forte come un uragano. “Lily, ma che ti prende?”, pensò l’amico. Era evidente che l’uomo nella stanza esercitasse un certo potere su di lei. La belligerante amica era diventata all’improvviso una pecora: indifesa, spaventata, priva della sua grinta. La voce era vicina, ma pareva fissa in un punto. Lily finalmente si calmò, era chiaro che non fossero stati beccati. Forse potevano ritenersi salvi. Solo non capiva il perché quell’uomo fosse lì. Tese le orecchie per captare le parole di chi stava dall’altra parte del telefono, ma non sentì nulla. Solo la sua voce.
«No, va bene anche nel weekend. Sì, certo». Silenzio. «Ok, va bene. Chiamo io allora. Sì, lo farò.». Ancora silenzio. «Ho preso tutto, la borsa era rimasta qui. Adesso vengo via, sono sceso per far passare i gatti». Silenzio. «Ah, chi se ne frega. Fosse per me brucerei tutto, anche la casa». Silenzio. «Ma figurati, cosa vuoi che se ne faccia? Meglio gettata in discarica che nelle sue mani. Vale meno di zero, non sa fare un cazzo. È utile per quattro cazzate e basta». Lily non sentì più alcuna parola. Non perché lui avesse smesso di parlare, ma perché ciò che aveva appena detto l’aveva ferita. Stavano parlando di lei. Una lacrima corse veloce lungo la sua guancia e il respiro si fece di nuovo pesante, ma questa volta Andrea non rimase senza far nulla. D’istinto, la baciò.
Non era il loro primo bacio. O meglio, era il loro primo vero bacio perché gli altri erano sempre nati dopo aver ingurgitato alcool o perché per sbaglio i loro visi si erano sfiorati mentre facevano il classico sesso con beneficio. Lily non lo fermò, ma chiuse gli occhi, forse per trattenere le lacrime. Niente lingua. Niente gemiti. Solo labbra che si accarezzavano, si adoravano, e che si conoscevano per la prima volta.

Andrea aveva arrotolato a nuovo le stoffe, poi le aveva coperte con dei nylon che aveva recuperato dall’armadio; le sue giacche potevano farne a meno. Legò tutto ben stretto con dei vecchi lacci da scarpe, poi ammirò il suo lavoro e si rivolse a Lily.

«Guarda qui che opera d’arte». Lily fissava la televisione in silenzio, nel piccolo salotto di Andrea, ma non era di certo interessata a cosa stavano trasmettendo. L’amico di sedette accanto a lei e le porse una birra. Avvicinò la sua per un brindisi e le sorrise, poi la fissò serio.
«Ciò che ti sto per dire non ti farà stare bene all’istante, però non devi piangere. Lui non ti conosce come ti conosco io. Segui le tue idee, provaci. E se non funzionano, pensane altre. Dai, bevici sopra e guardiamo qualcos’altro». Andrea si sedette accanto a lei e fece partire una serie tv. Lily si sorprese. A lei piaceva, lui la odiava.

Dal film “La ricerca della felicità” – Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok? Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.

Il materiale di cui è composta la felpa ha rischiato di vivere quello che io chiamo “l’arte dell’abbandono”. L’industria della moda è da sempre – e tuttora – considerata la più inquinante al mondo. Il mercato propone sempre più offerte per rispondere a domande che forse nemmeno esistono, ma che spingono al consumismo con il rischio di ritrovarci nell’armadio capi che nemmeno ci servivano e ben lontani dall’essere sostenibili.

Utilizzare giacenze di tessuti di una stagione passata non rende meno “fashionisti”. Fornisce, invece, un valore aggiunto: un prodotto realizzato nel rispetto dell’ambiente, favorendo l’impiego di materie prime ancora utilizzabili, diffondendo di conseguenza una moda più consapevole.
– Sustainable_Raley –