Pollice Verde

Erano le undici in punto quando Antonio rientrò a casa dalla camminata mattutina. Dal lunedì al sabato era solito ritrovarsi con un gruppo di pensionati che organizzava interessanti percorsi nella natura.

Da quando aveva concluso una lunga carriera presso la banca, si era sentito da subito insofferente. Avere tanto tempo libero, per lui, era inutile. La moglie Rita lo aveva incoraggiato a darsi da fare, già preoccupata di averlo tra le scatole ogni giorno.

La routine era sempre la stessa da quando era andato in pensione. Alle sette e mezzo si alzava. Preparava il tè verde che lasciava in infusione mentre leggeva il giornale e poi usciva per l’attività sportiva. Rientrava giusto per pranzo, puntualmente affamato, e poi si concedeva un pisolino di un’ora prima di raggiungere il circolo dove passava il resto della giornata a giocare a carte o bocce. 

E tutto filava liscio se non perdeva, perché quando accadeva il suo viso si incupiva, sulla fronte apparivano profonde rughe e la bocca si arricciava come se trattenesse un profondo sbuffo. Per non parlare delle narici dilatate. Non tollerava perdere, ma in generale, non tollerava che gli si facesse notare quando sbagliava a dire o fare qualcosa, proprio non lo sopportava.

E le volte che rientrava a casa in anticipo rispetto alla sua routine, la moglie era costretta a sopportare i suoi resoconti nella quale, secondo lui, il circolo cospirava ogni volta un colpo ai suoi danni. Mentre la moglie curava le piante sul balcone, il marito le stava dietro come fosse la sua ombra, alla continua ricerca della sua approvazione. Lei si limitava ad alzare gli occhi al cielo e lo incoraggiava a darle una mano, se doveva starlo a sentire che almeno la aiutasse. Antonio non capiva come mai passasse così tanto tempo a badare alle piante. Bastavano sole e acqua a dir suo.

Era a casa da solo da una settimana. La moglie era andata a trovare la figlia e i nipoti e sarebbe rientrata l’indomani. Antonio imbastì la cena e si concesse un po’ di vino, aprendo la bottiglia che lui definiva quella buona, ma non fece in tempo a posarla sul tavolo della cucina che si fiondò sul balcone. Una delle piante della moglie pareva in fin di vita. Corse in cucina a riempire l’annaffiatoio e versò molto lentamente dell’acqua sulla terra, illuso che la pianta potesse rinsavire come per magia. Riempì un contenitore con altra acqua e la spruzzò direttamente sulle foglie, ma non accadeva nulla. Si era vantato tanto a dire che bastavano sole e acqua ma ora si sentiva terribilmente in colpa.

Rita era una brava moglie e l’unica cosa che gli aveva chiesto era di prendersi cura delle piante e lui se ne era completamente dimenticato. Iniziò a sudare e aprì il primo bottone della camicia sotto il cardigan bordeaux con i profili color senape. Aprì un mobiletto e frugò ovunque, ma non sapeva nemmeno bene lui cosa cercare. Guardò l’ora. Erano quasi le sette e mezzo. Il negozio di fiori più vicino avrebbe chiuso a minuti. Non avrebbe fatto in tempo a comprarne una nuova e così, arreso al destino di dover subire un rimprovero da parte della moglie, si sedette su una sedia e fissò la pianta. Tamburellava le dita sulla bocca e al tempo stesso le stringeva l’una all’altra. Doveva esserci un modo per riportarla in vita. Ne era sicuro!

Si alzò e camminò avanti e indietro sul balcone. L’aria pomposa era svanita per lasciare spazio a una bocca socchiusa che non aveva più nulla da dire, ma che non voleva arrendersi. Poi l’illuminazione! Rientrò in casa e frugò tra le riviste che la moglie teneva nel mobile in soggiorno. Le sfogliò più veloce che poté fino a quando non trovò l’articolo che gli interessava, ovvero L’uomo che sussurra alle piante. Ricordava di aver letto un paio di articoli un pomeriggio in cui era rientrato prima dal circolo e osservava la moglie pulire il balcone.

Parlarci, a quanto pare, era di gran beneficio per la loro crescita. L’articolo diceva Il principio dietro all’idea di conversare al mondo vegetale è che una persona, mentre parla, emette anidride carbonica che fa bene alle piante. La sua presenza nel respiro umano si dissolve però molto rapidamente, troppo perché le piante possano trarne giovamento. Per alzarne il livello e perché abbia effetto, bisogna fare un vero e autentico monologo piuttosto lungo.

Tornò fuori e si piazzò davanti alla pianta, quasi a corto di fiato. «Vedrai che in un batter d’occhio tornerai bella pimpante!», disse mentre apriva un libro che aveva recuperato nel frattempo. «E cosa c’è di più rilassante che ascoltare un ottimo testo sull’ingegneria gestionale? Mi ha aiutato nei miei studi e anche durante la mia lunga carriera in banca». Mostrò un sorriso largo quanto quello di un clown, poi si sedette e iniziò la lettura.

«L’ingegneria gestionale è un ramo dell’ingegneria che studia, con approccio quantitativo e qualitativo, gli aspetti organizzativi, operativi e tecnici delle imprese, siano esse industriali o di servizio. Il primo centro di ricerca ed ateneo al mondo a dotarsi di una struttura didattica equivalente all’odierna ingegneria gestionale fu…», e continuò per oltre mezz’ora, ma la pianta non dava segni di miglioramento. Chiuse il libro con rabbia e gettò la rivista a terra. «Scienza…», e scrollò il capo indignato. La moglie sarebbe rientrata in casa l’indomani e sapeva che sarebbe finita male per lui. Doveva trovare una soluzione. Sparì in casa e fece partire il giradischi che iniziò a suonare i migliori pezzi di Celentano e Morandi. 

Antonio ballava con convinzione, anche se pareva più che altro che un’ape gli fosse entrata da sotto la camicia. Intonò ogni ritornello e con le dita accarezzava la pianta. Un tocco leggero e delicato può apportare un miglioramento nelle piante, così era scritto nell’articolo, ma né la musica, né la sua voce ebbero successo. Sfinito e un po’ avvilito, tornò a sedersi mentre reggeva in mano un bicchiere di vino, la bottiglia accanto sarebbe presto arrivata a metà. Le spalle curve e l’aria abbacchiata. Sbuffò a denti stretti e si alzò quasi di scatto, anche se la sciatica non lo perdonò e si dovette trattenere dal maledire Nostro Signore, poi si ripigliò con quanta più energia riusciva a incamerare nel tentativo di resuscitare la pianta.

«Non ti devi buttare giù. Non devi badare me. Ti ho privato di acqua e cure perché sono un povero vecchio che vuol fare il saccente, un idiota come direbbe mia moglie. Ma non ti abbattere, vivere è una cosa meravigliosa!». Fece qualche passo lungo il balcone. «Non puoi morire! Non devi! Sai la fortuna che hai a essere in questo balcone, nella tua posizione? Puoi vedere sorgere l’alba ogni giorno. E guarda il panorama! È per questo motivo che io e Rita abbiamo scelto l’appartamento e tu hai la fortuna di ammirare la città da questa vista! Fidarti che di viste migliori non ce ne sono mica, eh! Ma tu devi credermi quando ti dico che è vero!».

Le mani gesticolavano agitate, come se disegnassero le parole al vento. «E guarda quante altre piante hai attorno! Vuoi dare loro il cattivo esempio? Non dovrei dirlo ad alta voce, ma tu sei la più bella pianta tra tutte queste e devi far vedere che sei forte e che resisti. Vuoi che le altre piante si spaventino? Io non credo proprio!», e con una mano fece un gesto di rimprovero.

«Tu hai un obiettivo e lo devi portare a termine, non puoi mollare tutto e deluderci così. Come puoi essere così egoista? Suvvia, dai… torna a brillare come un tempo, torna a risplendere e mostra che vera pianta sei!». Silenzio. L’alcool avanzava nella testa di Antonio e il suo era lo sguardo di chi si aspetta una risposta, o in questo caso una reazione.

«Guarda, se mi torni in vita ti sposto in un vaso di ceramica. E non quelli dozzinali del mercatino del sabato, eh! Ti compro un vaso di ceramica dipinto a mano, una delizia, guarda, non ne hai idea… ma ti rendi conto di quale occasione ti sto proponendo? Ti suono il Celentano e il Morandi, te lo canto pure e ti offro un nuovo vaso per le tue belle radici. È il miglior investimento che tu possa fare e praticamente a tasso zero! Non devi fare altro che tornarmi in vita!». Più osservava la pianta e più Antonio capiva che forse non c’era davvero più nulla da fare.

Le foglie erano flosce e in alcuni punti marroni e secche. Sembrava fosse stata messa in un forno. Provò a versare qualche goccia di acqua santa che aveva preso con la moglie durante un viaggio a Medjugorje e con le mani giunte sperò con tutto sé stesso di essere testimone di un miracolo, ma nulla. «Devi vivere, altrimenti moriamo in due. Ti pare giusto? Guarda che se fossimo in banca, io ti proporrei svariate opzioni con bassissimi tassi, credimi. Sono stato un banchiere onesto io! Non come i miei colleghi dalle braccia corte. Io ho sempre tutelato il cliente e sto tutelando anche te, ora! E poi devi vivere per goderti ogni giorno su questo terrazzo! Ma vuoi che sposto le piante grasse? Ti danno fastidio? Ci penso io, guarda…».

Prese la cassetta di legno dove erano disposte tante piccole piante grasse, appoggiandole lontano dalla pianta d’appartamento. «Ecco, guarda! Ti ho anche cambiato i vicini di mensola. Potessi io cambiare i miei vicini, guarda tu che fortuna!». Rimase in piedi a fissare la pianta, ad accarezzare le foglie. La coccolava come un giovane pupillo. «Pianta, io mi arrendo. Se ti devo suonare il Rovazzi per farti tornare in vita, a questo punto ci rinuncio e aspetto la mia ora…».

Quando si svegliò erano le dieci passate. Si sollevò a fatica, stordito a causa di tutto il vino bevuto la sera prima. Sgranò gli occhi quando fissò l’ora e tese l’orecchio per capire se Rita era già rientrata. Silenzio. Si alzò e, infilate le pantofole, incrociò il suo riflesso allo specchio. Indossava ancora i vestiti del giorno prima. Doveva essere crollato a letto senza accorgersene. Si stropicciò gli occhi, aveva l’aria di chi ha passato la notte a studiare un manuale scoprendo all’ultimo di aver perso solo tempo, quando un rumore gli fece drizzare i capelli. C’era qualcuno in casa. Con gli occhi spalancati e le braccia rigide come se il sangue si fosse gelato all’istante, s’incamminò lungo il corridoio e, raggiunto il soggiorno, si sporse oltre la soglia.

Fissava la finestra che dava sul balcone. Non c’era nessuno, ma dopo poco sentì di nuovo dei rumori e nel momento in cui fece un paio di passi in avanti, Rita rientrò dal balcone. «Buongiorno, dormito bene?». Antonio tentennò. Le labbra erano appena schiuse, a tratti tremanti. Le braccia sempre rigide, anche se le dita si muovevano, più incerte della bocca. Osservò il balcone, cercando di capire lo stato della pianta. La moglie lo osservava con aria curiosa mentre preparava del tè. «Tesoro, tutto bene?». Questa volta Antonio rispose, anche se il suo fare saccente sembrava essere rimasto sotto alle lenzuola. 

«Sì, quando sei rientrata?».
«Da pochi minuti. Vuoi del tè?». Antonio annuì e quando la moglie, dopo aver preparato il pentolino sparì oltre il corridoio, si precipitò in balcone e rimase a bocca aperta. Non solo aveva rimesso tutto in ordine, cosa che non ricordava per nulla, ma più importante, la pianta era più che viva. Le foglie d’un verde brillante danzavano delicatamente mosse dal vento. Sembravano addirittura puntare verso il cielo. Il suo aspetto era completamente cambiato e Antonio si sentì orgoglioso. Tutto quel chiacchierare da solo come un matto aveva dato i suoi frutti. O forse il Signore aveva apprezzato l’utilizzo dell’acqua santa e gli aveva risparmiato l’ira della sua congiunta? In ogni caso, si ritrovò a pensare che la scienza non era poi una materia così sciocca.

Fece un bel respiro e rientrò in cucina, pronto a gustarsi il solito tè verde, ignaro che la moglie era rientrata un’ora prima e che aveva scoperto il disastro, ma aveva anche capito che Antonio aveva provato di tutto per riparare al suo danno. Aveva trovato tutte le prove da lui utilizzate allo scopo di far tornare in vita la pianta e aveva rimesso tutto a posto. Provò a immaginarlo come un impacciato Frankenstein alle prese con una pianta invece di un corpo umano e se per un attimo pensò di riprenderlo come si deve, dall’altro si fece una risata e sostituì la pianta con una nuova. Di certo ora Antonio ci avrebbe pensato due volte prima di bisticciare al circolo pur di non ritrovarsi con un’altra pianta da resuscitare.

Fine

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