Rompendo il Silenzio

Era l’alba quando Asia si svegliò. Rimase a fissare il soffitto a lungo, come faceva ormai da tempo ogni mattina, poi si alzò per andare a lavoro. Uscita di casa raggiunse a piedi il centro giovanile dove lavorava da ormai dieci anni. Quel giorno, però, non si limitò a sedersi alla sua postazione ma proseguì sino all’ufficio del direttore. 

La porta era aperta, ma dentro non c’era nessuno. Senza preoccuparsi di cercarlo, Asia posò una busta indirizzata a lui sulla scrivania, poi tornò all’entrata principale. Si girò, diede un ultimo sguardo ed uscì. 

“Nessuna novità?” chiese Fiona agitata guardando il suo migliore amico e detective che sedeva davanti a lei. “Purtroppo no. L’auto di Asia è sotto casa e sembra che non abbia portato via niente dal suo appartamento, proprio come mi hai confermato. Prima di avviare un’indagine dovremo aspettare almeno quarantotto ore. È la prassi purtroppo e la conosci bene”. Fiona si coprì gli occhi con una mano per trattenere le lacrime. Non appena il direttore del centro giovanile era rientrato nel suo ufficio, aveva letto la lettera ed era subito corso da Fiona, anche lei dipendente presso lo stabile, per chiederle dove fosse Asia. Nessuno era riuscito a rintracciarla. Fiona allora era corsa a casa sua. Aveva una copia delle chiavi, ma quando entrò le sembrò che tutto fosse al suo posto. Aveva quindi chiamato il suo amico alla centrale di polizia, mostrando la lettera, ma la risposta che ricevette fu che bisognava attendere per capire se Asia fosse realmente scomparsa.

“Vedi, Fiona, la lettera che Asia ha lasciato è una semplice comunicazione delle sue dimissioni. Posso capire che per te fosse una cosa inaspettata, ma non possiamo aprire un’indagine che si basa su delle supposizioni. Abbiamo già fatto troppo controllando il suo appartamento. Mi dispiace, ma devi aspettare ancora”. Fiona si alzò di scatto, facendo cadere la sedia all’indietro. “Asia non sta lasciando semplicemente il lavoro. Asia ci sta lasciando per sempre ed è a causa di questa ragazza, Frankie. Sta per fare qualcosa di terribile, me lo sento!” disse buttando sul tavolo un articolo di giornale, poi uscì sbattendo la porta. Frankie sospirò a fondo. Comprendeva molto bene il dolore che stava provando la sua amica, ma aveva le mani legate e non poteva agire in altro modo. Prese in mano l’articolo e iniziò a leggerlo.

Il bicchiere era mezzo pieno, ma nonostante ciò Asia chiese per l’ennesima volta al barista di riempirlo con altro whiskey. Si trovava in quel bar da almeno tre ore e per tutto il tempo non aveva fatto altro che bere. Non voleva farsi trovare da nessuno, voleva sparire e per questo aveva gettato il cellulare lungo la strada. Non sapeva quanto avesse camminato, ma di sicuro si trovava molto lontano da casa e dal centro giovanile. Purtroppo però, per quanto bevesse, non riusciva a dimenticare quello che era successo. Il viso di quella ragazza continuava a tornare a galla nella sua mente. Gli occhi spaventati, i capelli scompigliati, i piedi scalzi sporchi di terra. Per un attimo chiuse gli occhi e ripensò a quel terribile giorno…

Era un giorno come tutti gli altri al centro giovanile. I ragazzi stavano giocando nel parco. Asia e Fiona si trovavano in ufficio e stavano discutendo in merito ad un nuovo progetto da introdurre ai ragazzi, quando d’improvviso sentirono delle grida. Uscite dal centro raggiunsero il parco. Tutti i ragazzi si erano radunati e osservavano il tetto dell’edificio. Non appena Asia alzò lo sguardo, spalancò la bocca, tremando. Gli occhi terrorizzati. Sul tetto, le braccia distese lungo i fianchi e i capelli sciolti, c’era una ragazza. Senza perdere un secondo, Asia corse all’interno dell’edificio per raggiungere il tetto. Quando si ritrovò davanti alla porta che portava al tetto, esitò qualche secondo, poi la aprì lentamente. Senza fare rumore, raggiunse la ragazza, fermandosi a un paio di metri da lei. “Julia” la chiamò quasi in un sussurro. “Se ne vada! Se ne vada!” disse la ragazza agitata, senza nemmeno voltarsi, continuando a fissare il vuoto sotto di sé e gli sguardi spaventati dei suoi coetanei. “Julia, non farlo. Prendi la mia mano, ti aiuto a scendere dal tetto”. Asia fece un paio di passi in avanti, ma Julia le intimò subito di fermarsi, minacciando di buttarsi.

“Julia, non farlo! Vieni con me e parliamo!”. Julia tornò a guardare il vuoto sotto di sé, stringendo gli occhi per trattenere le lacrime. “Julia, prendi la mia mano. Ti prego. Vieni con me. Vedrai, si risolverà tutto!”. Julia in quel momento la fissò dritto negli occhi, rivelando un viso visibilmente distrutto. “Non c’è nulla che lei può fare per me. Alcune persone sono destinate ad essere infelici. Non so più che cosa fare. Non so più a che cosa credere” disse stringendo i pugni, cercando di trattenere le lacrime. Fissò Asia rivolgendole uno sguardo di profondo dolore. Era chiaro quanto fosse spezzata dalla sofferenza. “Lei mi sa dare anche solo un motivo per cui non dovrei mollare tutto? Me lo sa dire?” chiese facendo un piccolo cenno col viso. Julia guardava attentamente Asia, aspettandosi una sua reazione, parole di conforto, una speranza, ma in quel momento Asia rimase inspiegabilmente in silenzio e quel suo silenzio fu fatale per Julia, perché il suo sguardo si fece improvvisamente tranquillo, sereno, un sorriso appena accennato e in un attimo scomparve, lanciandosi nel vuoto.

Il rumore del bicchiere che cadeva sul bancone distrasse Asia, che ritornò alla realtà. Era rimasta tutto il tempo a pensare a quel terribile ricordo, tenendo il bicchiere in sospeso e poi, senza accorgersene, lo aveva lasciato cadere. Lentamente e barcollando, si trascinò fino all’uscita, incamminandosi lungo il marciapiede, senza mai alzare lo sguardo. Non aveva la minima idea di che ora fosse, ma non le importava. Camminò senza mai fermarsi, fino a che non raggiunse un piccolo ponte e lì si fermò, i gomiti appoggiati al muretto, guardando l’acqua fredda sotto di sé. Non riusciva a capire il perché stesse così male. La morte di Julia l’aveva devastata inaspettatamente. E il non riuscire a trovare una risposta la rendeva molto irrequieta.

“Detective Mason” rispose Frankie con voce stanca. “No, sono fuori ufficio ora, ma mandami i documenti via fax entro domattina e poi… “. In quel momento la voce del detective si interruppe. Il suo sguardo fu catturato da una figura oltre il ponte. Rapidamente accostò l’auto e scese raggiungendo l’altro lato della strada. “Dio mio, non può essere…” pensò. Camminava a passo svelto in direzione di quella figura, facendosi spazio tra le auto che correvano lungo le corsie. Allora le sensazioni di Fiona erano giuste. Lentamente si fermò ad un paio di metri da quella persona ormai pronta a gettarsi nel vuoto. Frankie si muoveva piano, senza fare rumore per non spaventarla. Asia tremava, piangeva a tratti. Era evidente che fosse in uno stato di confusione. Frankie era a pochi passi da lei che non aveva percepito la sua presenza. Gli bastava fare qualche altro passo e l’avrebbe afferrata. Solo qualche passo, poi d’improvviso Asia si lasciò andare, lanciandosi nel vuoto. “No!” urlò Frankie raggiungendola in tempo e afferrandola per il collo della giacca. Asia urlò per lo spavento o forse per la delusione di non essere riuscita nel suo intento. “Mi lasci andare! Mi lasci andare!” continuava a urlare disperata, ma l’uomo non mollò la presa, riuscendo a portarla al lato opposto del ponte.

“Asia!” urlò Fiona varcando la soglia della camera d’ospedale. Asia alzò lo sguardo. Era sdraiata su un lettino e vicino a lei un’infermiera sembrava controllare la pressione. “Oh, Asia, mi hai fatto prendere spaventare a morte!”. Fiona era in lacrime. “Tranquilla, sto bene” si limitò a rispondere stringendole la mano. “Fiona, posso parlarti?”. In quel momento Frankie era entrato nella stanza. “Certo, Asia torno subito” disse abbracciandola forte, uscendo con calma dalla stanza. “Fiona, ho trovato Asia su un ponte. L’ho salvata prima che potesse gettarsi nel vuoto. L’ho salvata in tempo altrimenti a quest’ora sarebbe…”. Non finì la frase, lasciando intendere che sarebbe morta se non l’avesse tratta in salvo. Fiona sgranò gli occhi, incredula. Non riusciva a credere che la sua più cara amica avesse potuto fare una cosa simile. “Credo abbia bisogno di tutto l’aiuto possibile in questo momento”.

Fiona si lasciò scappare una lacrima, appoggiandosi alla parete del corridoio, gli occhi chiusi e le labbra tremanti. Era ancora molto scossa dall’accaduto. Passarono diversi secondi in cui Frankie la guardava e lei sembrava riflettere. Era come persa nei suoi pensieri. “Fiona?” la chiamò, facendola tornare alla realtà. La donna sembrava paralizzata. Ciò che era successo l’aveva letteralmente sconvolta. “Fiona, tutto bene?”. Frankie le mise una mano sulla spalla. “Certo!” rispose improvvisamente con un debole tono di voce. “Penso che…”. Si interruppe quasi volesse cambiare discorso. Frankie la fissava perplesso. “Certo, Frankie, farò il possibile perché si riprenda! Non ti preoccupare” e senza dargli il tempo di dire altro, gli voltò le spalle tornando da Asia.

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