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I Social: come all’ora di ginnastica!

YouTube.
Facebook.
TikTok.
Instagram.
Twitter.
LinkedIn.

E un pollice a muovere un mondo virtuale che appare più bello di quello nel quale vivi. I profili che segui sono come dei vicini di casa, ma non li incontri in ascensore, lungo le scale, mentre sali in auto quando ti passano di fianco o lungo la strada che percorri per andare a lavoro. Li vedi in quei cerchietti che Instagram propone, o in meravigliose e pensate-ad-arte immagini quadrate 1080 px per 1080 px come esige il social. 

Ogni contenuto sembra interessante, alcune informazioni le ignoravi; di altre ti chiedi come mai non ci hai pensato tu. Percepisci la stessa sensazione che avevi quando arrivava l’ora di ginnastica a scuola: ansia da prestazione, paura di prendere una pallonata a pallavolo, il fiato corto per l’agitazione che galoppa più veloce di un cavallo in corsa all’ippodromo perché senti di non essere abbastanza per quel mondo che neanche esiste. 

Tutti appaiono felici, hanno contenuti da condividere e sembra abbiano appreso un nuovo mantra che migliorerà la loro giornata. E questo è solo Instagram. Su Facebook le notifiche mostrano le novità di alcuni tuoi amici o di gente che hai amica ma che quando vedi online pensi “E questa chi cazzo è?”.

Il pollice non riesce a stare fermo e scrolla, incontrollabile, cosa c’è di nuovo nel mondo delle tue amicizie anche se somiglia di più ad un tabellone di un match: chi fa più punti, vince.

Scopri che una coppia ha avuto il terzo figlio, un’amica ha vinto un premio, il cugino del fratello del tuo ex si è trasferito all’estero, la persona che più ti stava sul cazzo ha aperto un’azienda di successo. A quel punto oscuri il telefono.

Quando lo riprendi in mano e scopri nuove notifiche legate alle tue recenti pubblicazioni hai la stessa sensazione di quando mangi del cioccolato e guardi tutti i social, perdendoti in video Tik Tok e pensi che forse dovresti puntare a quel social. O magari aprire un canale YouTube. Hai tante idee ma non sai da quale iniziare e poi ricevi un messaggio privato dall’ennesimo social. 

Una persona che conosci ha ricevuto una bella notizia che potrebbe diventare qualcosa di più concreto. Ti chiedi se sia una condivisione genuina o se sia solo un modo per sbatterti in faccia la sua conquista. La cosa un po’ ti tormenta ma nel frattempo ti congratuli, poi oscuri il telefono. 

Dopo lavoro la voglia di un drink qualsiasi ti attrae. Fai un brindisi con i colleghi, ridete facendo selfie. Tante teste tornano poi chine sugli schermi, i meno tecnologici tornano invece a lamentarsi del lavoro, dello stato, della vita di tutti i giorni. E tu ti fai trascinare dalla massa, sparli, ti adegui. La transumanza si ritrova a casa dell’amico che ha proposto cinese a domicilio.

Seguite come degli agenti dell’FBI il rider che arriva sfinito e a cui date solo una stella perché non ha consegnato entro i tempi che secondi voi erano corretti rispetto all’applicazione. Non lo dici a nessuno, ma sei dispiaciuta per il rider e per la sua faccia avvilita ma mandi giù quella sensazione assieme ad un raviolo al vapore intinto in salsa agrodolce.

La maggioranza opta per una commedia e la si guarda con un occhio solo: uno sullo schermo della televisione, uno su quello del cellulare. Mentre gli altri sembrano lavorare alla loro seconda vita, tu fissi lo schermo senza compiere azioni, le notifiche dei tuoi social hanno lo stesso andamento del lavoro di Homer Simpson alla centrale nucleare.

A fine serata saluti tutti e quando raggiungi casa, senti tuo padre russare e vedi tua madre stirare con l’aria di chi preferirebbe buttare il ferro da stiro giù dalla finestra piuttosto che usarlo per stirare la tua camicia. Sei content* perché potrai indossarla domani a lavoro anche se per un attimo ti senti in colpa a non essere tu a stirarla. O forse è per il fatto che vivi ancora con i tuoi genitori.

Sei pront* per dormire. Denti, pigiama, cellulare in carica e il pollice pronto a scrollare come se i feed dei vari social fossero una moderna ninna nanna, ma poi ti fermi. Ti accorgi di aver appoggiato sulla scrivania un biscotto della fortuna avanzato dalla cena. Appoggi il cellulare e lo scarti. Lo spezzi e leggi il biglietto.

Fatichi a prendere sonno. Di solito sono i social il tuo cruccio: le belle vite che tutti espongono, i sorrisi, le vittorie. Tutte cose che vorresti ma non ti appartengono. D’altronde perché si dovrebbe pubblicare il suo opposto? Sarebbe terribile. O forse potrebbe essere il giusto contrappeso che li bilancerebbe? Pensi e ripensi a quella frase e ti chiedi se faresti quella follia o meno. La cosa ti tenta, ma è proprio in quel momento che il sonno ha la meglio e crolli per rialzarti il giorno dopo e ricominciare tutto da capo.

Viso.
Social.
Denti.
Social.
Vestirsi.
Social.
Colazione.
Social.
Lavoro.
Social.
E anche se non te ne sei accorto, hai messo in borsa il biglietto del biscotto della fortuna.

- Fine -

I miei pregi? Pazzi e scatenati!

«Grazie per accompagnarmi a questo colloquio, sono agitatissima!»
«Tranquilla, sii te stessa»
«Facile a dirlo, credo sarà più semplice indossare una “maschera”. Un po’ come il fantasma dell’opera…»
«Ma come ti viene in mente una cosa simile?»
«Il “facile a dirlo” o la maschera?»
«La maschera! Ovvio!»
«L’agitazione mi conferisce ispirazione, forse»
«Allora dovresti agirarti più spesso!»
«Cosa stai ascoltando?»
«Scusa, sono giorni che Sara mi invia vocali di cinque o sei minuti»
«Sicura che non sia un audiolibro, invece?»
«Bella battuta! Me la segno, comunque no. Il tizio che frequentava l’ha piantata senza alcuna spiegazione. Che stronzo!»
«Così dal nulla le ha detto addio?»
«Ma quale addio, magari! Ha applicato la tecnica del ghosting»
«La tecnica di cosa?»
«Ghosting: quando qualcuno interrompe i rapporti all’improvviso e ignora ogni tuo contatto. Si sono visti per quasi un mese, ovviamente sono andati a letto, poi il tizio è svanito nel nulla»
«Magari il mio ciclo mestruale facesse ghosting…»
«Ma che dici? Puoi ambire a molto di più, lo sai vero?»
«Evito i casi umani, e uomini sfigati mi trovano sempre. Faccio il mio lavoro senza lamentarmi, e mi mettono di turno nel weekend. Slitto le chiamate di mia madre, e mi ritrovo la sua richiesta di amicizia su Facebook. Tu cosa dici?»
«Touchè!»
«Hei, non mi hai più detto nulla di tuo fratello. Le rose hanno funzionato?»
«Diciamo di sì…»
«Cioè? L’ha ripreso in casa o no?»
«Sì, ma secondo alcune condizioni»
«Condizioni? E quali?»
«Quelle che lui le ha suggerito quando…»
«Lei lo butta fuori di casa e lui ritorna ma a delle condizioni? E da quando funziona così?»
«Lasciami spiegare. Mi ha fatto vedere le rose e gli ho detto che era il modo migliore, e rapido, per arrivare al divorzio, così gli ho scritto alcune cose che deve fare per lei e assieme a lei. Lui era titubante, quasi scocciato. Gli ho ricordato la scomodità del divano dei nostri genitori… e del convivere con i nostri genitori dopo i trenta. Ha acconsentito»
«E?»
«E pare stia funzionando, so solo che è tornato a dormire lì. Che sia sul divano o a letto, questo non lo so. È troppo orgoglioso per dirmi la verità, ma pazienza…»
«E pensare che lei non ti piace nemmeno»
«Sono male assortiti, ma mia nipote al momento ha bisogno di due genitori»
«E se peggiora che fai, li separi?»
«Ho riguardato il film Genitori in trappola qualche tempo fa, ho preso appunti»
«Inquietante…»
«Il film?!»
«Tu che pianifichi separazioni…»
«Scusa, non ho capito. Hai chiesto a tuo padre di venire con te? Perché?»
«Te l’ho detto, avevo paura»
«Di consegnare un paio di sandali che hai venduto online?»
«Ho cancellato la chat, ma avresti dovuto sentire che vocali mi inviava…»
«Tipo?»
«Per confermare luogo e orario mi ha descritto la sua giornata»
«E?»
«Ha detto che prima del nostro incontro doveva fare la spesa, andare a un funerale, fare shopping e che non lo avessi trovato al luogo concordato per la consegna, avrei dovuto andare in un posto che proponeva lui; e ha aggiunto che se non lo vedevo non dovevo preoccuparmi perché forse tardava per via di un altro impegno – che ora non ricordo – e che se provavo a contattarlo senza risposta voleva dire che gli si era scaricato il cellulare…»
«Caspita, e tu che gli hai risposto?»
«Di trovarci al parcheggio davanti ai carabinieri»
«Non ci credo, solo a te accadono certe avventure! E poi scusa, cosa gli hai venduto?»
«I miei sandali, quelli con le cinghie in pelle»
«Sarà strano ma ha gusto, la sua ragazza sarà contenta»
«Mi ha detto che non ha la ragazza, ma che ho buon gusto»
«Ok, questo è inquietante, però mi fai morire dal ridere…»
«E pensa che io, per un attimo, ho pensato davvero di morire… nel bagagliaio del tizio però…»
«Eccoci arrivate»
«La vicinanza a casa è impagabile, devi ammetterlo»
«Sì, è vero, ma mi assumeranno? Sono così demotivata dal mondo del lavoro viste le ultime disavventure. E senti questa: mi hanno chiesto di elencare il mio miglior pregio, è una delle domande che dovrò sostenere durante il colloquio. Hai qualche suggerimento?»
«Te ne posso elencare sette di pregi»
«Sette?»
«Sì!»
«Tu lo sai vero che il mondo del lavoro è un Hunger Games per adulti, oscuro e crudele, in cui probabilmente mi inserirò come parte di un avamposto di disperati?»
«Ok, ne ho sei da elencare. L’ottimismo non è il tuo forte…»
«Avanti, sentiamo…»
«Sei una persona che sa ascoltare: io bypasso gli audio che vanno oltre il minuto. Trovi sempre una soluzione, a chiunque, senza badare alle simpatie; questa è empatia. Mi fai ridere con le tue disavventure e questo mi fa pensare che dobbiamo aprire un blog e raccontarle. E poi hai questo modo così calmo di comunicare alle persone, le fai star bene e in questo lavoro è fondamentale»
«Ok, elencherò tutte queste belle cose: saranno entusiasti di stringermi la mano mentre mi intimano di uscire e non presentarmi mai più alla loro porta»
«Essere se stessi non è sbagliato»
«Sei mia amica, è normale che tu dica belle cose su di me»
«Quanto sei testarda, elencalo come difetto, se te lo chiedono…»
«E va bene, dirò che i miei pregi sono pazzi e scatenati! Ci vediamo tra poco»
«Aspetta…»
«Che c’è?»
«Pensavo che non c’è nulla di male a fare un po’ come il fantasma dell’opera, sai… ricamare un po’ sopra alle cose…»
«Ma questo significa indossare una maschera!»
«Sì, ma lui ne indossava una solo per metà!»

Fine

La coppia che scoppia!

L’amore è una cosa meravigliosa, o almeno questo è quello che dicono! Scopritelo attraverso litigi, sfuriate, amici simpatici ma un po’ subdoli. Due punti di vista che vedono due coppie che si amano e si odiano!

“Una coppia si sta per lasciare!” – è con questa frase che ho iniziato il sondaggio per richiedere alcune informazioni e scrivere un breve racconto. Questa volta, io e il mio amico Aldo abbiamo scritto due storie separate, niente cadavere squisito, ma due punti di vista diversi – femminile e maschile – avendo gli stessi input!
E quelli da voi scelti li riporto in maiuscolo:

Entrambi vogliono Bob. Chi è? 
gatto/pappagallo/CANE

Cosa ha innescato il litigio?
misterioso pacco di Amazon/un mazzo di chiavi mai visto prima/UN LIBRO BIZZARRO

Arriva una telefonata improvvisa. Chi è?
la suocera di uno dei protagonisti/l’avvocato che hanno consultato assieme/UN AMICO/A CHE HANNO IN COMUNE

Ma non è tutto! Oltre ad usare questi input, avevamo anche una difficoltà in più, ovvero scrivere una storia che non avesse più di 5000 caratteri, spazi inclusi. A quanto pare ce l’abbiamo fatta, ma che dura!!!

LINDA MOON

Matilde e Francesco si stanno per lasciare. Litigano da oltre un’ora. Lei lo accusa di aver comprato quel libro. Lui si difende ripetendo più volte di no, ma non riesce a farla ragionare. Il libro è una serie di racconti di vita, nulla di drammatico, se non fosse che l’autrice è la sua ex. Urla, piatti rotti e smorfie di rabbia invadono il piccolo salotto dell’appartamento al terzo piano di Via Paganini, 26 a Vicenza. Il cellulare suona e Matilde risponde subito. Chiara, l’amica con cui entrambi sono cresciuti, ha un perfetto tempismo!

Dopo aver ascoltato il riassunto della situazione da parte di Matilde, arricchito da saltuarie intromissioni da parte di Francesco, decide di intervenire in loro aiuto e in meno di mezz’ora fa arrivare alla loro porta un uomo vestito come uno sciamano, la pelle olivastra e l’aria rilassata di chi problemi proprio non ne ha. Dice di essere un guaritore di ogni male e negatività e senza perdere tempo, chiede a entrambi di sedere sul divano mentre lui si accomoda a terra, le gambe incrociate e l’aria meditabonda. L’accento straniero, che ricorda vagamente le terre indiane, lo rende ancora più interessante e incuriosisce i ragazzi che per un attimo dimenticano il litigio. L’uomo fa loro precise domande e a turno rispondono. I toni alti lentamente si abbassano anche se a volte il giramento di palle riemerge pungente. 

Dopo un’ora la situazione sembra migliorata. Lo sciamano li ringrazia per l’impegno e presenta il conto di trecento euro. Matilde volge lo sguardo a Francesco che si trattiene dal dire la sua, non vuole certo rovinare quel momento per venire additato come colpevole, e provvede a consegnare i soldi. Lo salutano sulla soglia di casa ma lo sciamano pone loro un’ultima domanda, sottolineando quanto sia fondamentale la risposta. Chiede quale sarebbe il posto migliore per Bob, il loro cane. Avviene uno scambio di sguardi pensanti, braccia incrociate, espressioni indecise, poi l’uomo chiede il permesso di esprimere la sua opinione e suggerisce che il cane Bob vada a stare con l’amica che hanno in comune, Chiara, fino a quando non avranno sistemato con certezza la loro situazione sentimentale. Matilde e Francesco sembrano concordare e glielo affidano mentre lui li saluta pronunciando un’ultima frase sulla positività.

(la seguente parte è scritta in dialetto veneto. Le parole con la lettera “x” si leggono con una “s” fricativa alveolare sorda, come nel castigliano – spagnolo)
Quando sente bussare alla sua porta, Chiara accorre di corsa, l’aria visibilmente curiosa. 
«Hei, non me par vèro! Ghèto xà finìo?».
«Certo! Chi pénsito che sia?». L’accento straniero svanisce per lasciarne uno in dialetto veneto.
«Bob!!! El me can! Gò sbaià a dàrte a lòri come regalo, me so pentìa subito, ma ora te stè con mi par sempre! Col cavolo che te porto indrìo da chei dò!».
«E tì, sìto contenta?».
«Ovvio! Quando gò visto el libro su Amazon de l’ex de Francesco gò capìo chel ièra el modo migliore par farli litigar e riaver indrìo el can e i schèi che i me doveva! A proposito, ghèto i schèi?».
«Certo che i gò! Vàrda qui, trexento esatti!». 
«Meno male, li vansàvo da chei do fannulloni da mesi… i pensa che essendo amici tutto xè concesso, ànca prestiti a fondo perdùo! Quindi… te gài credù?».
«Oh, ma sìto drìo schersare?  Xé sìe mesi che vado al corso de recitasiòn. No i me gà solo credùo, i me gà adorà! Ghe mancava solo la standing ovation!».
«Ma te sì un genio, lo sèto? Finalmente gò risolto sta situasiòn, non ghe ne podévo più!».
«Cugina, se te ghè un problema, lo risolvémo! Non ghe xé scuse che tègna. Se te ghè da recuperàr roba xé riprendemo tutto queo che xé nostro!».
«Grasie caro, xé vedemo presto! Stame ben e salùdame to mama!».

Fine

ALDO FERRARESE

Buongiorno, io sono Bob!
Meticcio, quattro anni, taglia media. Pelo lungo, nero, con ciuffetti castano chiaro.
Di padre ignoto, mia madre abita in via Cave, qualche casa più in giù. Non la vedo mai, ogni tanto la sento abbaiare forte, si mormora sia una poco di buono. Io sono diverso, mi piace starmene disteso in giardino a godermi il sole, non mi piace farmi toccare e adoro mangiare.
Possiedo due umani, Lorenzo e Priscilla. Vanno a lavorare e partono al mattino per tornare la sera. Mi salutano

. «Ciao Bob!», e mi riempiono la ciotola. Prima Lorenzo e poi Priscilla. Tornano. «Ciao Bob!», e mi riempiono la ciotola. Priscilla per prima e dopo Lorenzo. Mi piace vivere così, tranquillo, senza sforzi inutili. Corse scalmanate, giochini idioti, manifestazioni di affetto non fanno per me, le lascio ben volentieri agli altri.

 
Oggi si è fermato un furgone davanti a casa. Ne è sceso un omone, molto più scuro dei miei. Mi ha guardato male, io l’ho guardato peggio. “Qua non entri”, gli ho fatto capire, e alquanto seccato ha allungato in maniera molto cauta il braccio sopra alla cancellata, per appoggiare un pacchetto sulla cassetta della posta. Dopo poco è tornata Priscilla, ha aperto il cancello e ha preso il pacchetto.

 
«Ciao Bob!», e mi ha riempito la ciotola. È entrata in casa e poco dopo è scoppiata a piangere. Lorenzo è arrivato più tardi del solito, ha aperto il cancello.
«Ciao Bob!», e mi ha riempito la ciotola. È entrato in casa ed è scoppiato l’inferno: robe spaccate, grida, pianti e parolacce, un casino che neppure Caronte. Di solito Lorenzo e Priscilla litigano a tarda notte, in camera da letto, e se le danno di santa ragione, tipo «toh, toh, toh… ah, ah, ahh… prendi questo… e questo… no, no, sì, sì… ancora, ancora, bastaaaa… ahhh!». Pure i vicini si arrabbiano. «Zio Billy, fatela finita! Porco zio, vogliamo dormire!». Qualcuno, invece, applaude. «Bah, valli a capire…». 


Comunque questa volta è stato diverso, non la smettevano più di urlare. Poi lui si è preso in piena faccia un piatto e anche il telefono e si è messo a frignare. Lei ha preso il sacco a pelo ed è venuta a dormire in giardino con me. E tutta la notte a piangere. «Bob, mi sei rimasto  solo tu…», ed io che non riuscivo a prendere sonno. «Che palle!».

La mattina seguente è cominciata ancora peggio: nessuno dei due è andato a lavoro, nessuno dei due mi ha riempito la ciotola. Non volava una mosca, nessuno parlava. Poi è squillato il telefono di Lorenzo.
«Ciao Arturo! Cosa? Vieni subito, sennò lo butto!», poi ha preso una sedia e l’ha sistemata nascosta in giardino e si è seduto, immobile, minaccioso, rilassato. Ho provato molto rispetto per il mio umano. Dopo un’ora è arrivata una macchina ed è sceso Arturo. Mi è sempre stato antipatico quello lì. Ha suonato il campanello mentre Lorenzo, nascosto, rimaneva immobile. È uscita Priscilla.


«Ciao Priscilla, ho fatto fare un bellissimo fotolibro, un regalo per la mia ultima fiamma, Claudia. 365 sfumature di Claudia, così l’ho intitolato. E ci sono 365 foto sexy e arrapanti di lei, fatte da me. Le ho fatto pure la dedica, Ti amo Claudia, da quando ti ho conosciuta tutte le altre donne mi fanno cacare.  Il tutto rilegato in morbida pelle. Spettacolo! Non volevo farmi sgamare da mia moglie, Giovanna, per cui l’ho fatto spedire qui a Lorenzo. So che il pacco è arrivato, posso averlo per cortesia?».


Priscilla muta e bianca come un cencio, l’ha fatto entrare  e in quel momento il mio rispetto per Lorenzo è diventato ammirazione. È uscito come un diavolo dal cespuglio urlando, «Attacca Bob!», cosicché mentre io mordevo gambe e chiappe, lui colpiva e graffiava faccia e braccia. Poi con un calcio l’ha fatto volare in strada, ha preso il pacchetto e glielo ha tirato in testa. È stato bellissimo. I miei umani hanno continuato a litigare due ore buone in camera da letto, ma ne sono usciti trasformati. Baci, coccole, parole dolci, evidentemente avevano fatto la pace, meglio così. E finalmente mi hanno riempito la ciotola.

 
Mentre mangiavo, Lorenzo mi ha ringraziato un sacco. «Grazie Bob! Bravo Bob!», e mi ha promesso un regalo. Siamo saliti in macchina e poco dopo, quando ho visto il pollicione all’insù e la scritta Happy Ending – toelettatura per cani  non sono riuscito a trattenere la gioia. «Ahuuuu, uhuuuhuu, ahahuuuu». Speriamo ci sia la pechinese dell’altra volta.  «Rfarf, grrrf, arfrrgrr».  Lorenzo sorride. “Ti voglio bene fratello”.

Fine

Pazzo. Incasinato. Amore…

Il ragazzo che ci corre dietro e ci regala un sorriso di solito non è mai il ragazzo che ci piace. I nostri occhi altro non vedono che l’adone appollaiato sul suo bel trono che non ci degna di uno sguardo nemmeno per chiedere dove sta il cesso; e per noi femmine è frustrante!

Una volta c’era l’aiuto della famiglia, che più che aiuto sembrava un complotto che le teorie sulla morte di Kennedy levati proprio! A pensarci oggi, nel 2020, vengono i brividi ma forse alcune di noi, sotto sotto, avrebbero piacere che la famiglia combinasse un matrimonio. Vedendo come le mamme selezionano i prodotti al supermercato e le iscrizioni all’asilo quando stanno ancora tentando di rimanere incinte, si potrebbe dire che saremmo in una botte di ferro! 

Scherzi a parte, una mamma selezionerebbe un maschio degno della nostra femminilità e dovremmo solo convivere col fatto che non lo abbiamo accalappiato da sole, ma pensiamo anche a tutti i soldi risparmiati in aperitivi o feste per provare – ho detto provare e non trovare – a conoscere qualcuno. Non siete d’accordo? Pensate allora che coi soldi risparmiati salterebbero fuori tacchi di Louboutin e un paio di viaggi in qualche meta da urlo. Ecco, penso di avervi convinto a “tacchi” come Tom Cruise aveva convinto una giovane René Zellweger al “ciao” nel film Jerry Maguire.

Bé, forse parlo di utopie. Forse dopo questo virus le cose cambieranno e ci accoppieremo diversamente, chi lo sa. So solo che ora come ora, alla soglia di 35 anni suonati, ogni tanto fa male non avere nessuno, ma peggio, il pensiero di non riuscire a trovare nessuno. Le frasi Vedrai che troverai l’uomo giusto e Meglio soli che mal accompagnati non sono più sufficienti perché ci sono dei momenti in cui ti senti invisibile e temi che sarà così per sempre. 

Non si tratta di gelosia verso le amiche che hanno marito, figli e una casa con un mutuo fino alla tomba. Insomma, non più di tanto… Si tratta di non avere nessuno con cui condividere la quotidianità. Lo puoi fare a quarant’anni, a quarantacinque e anche a sessanta, ma il punto è che noi femmine lo vogliano adesso; e vogliamo una persona che sia disposta a starci accanto e che non scappi alla prima oca giuliva che gli passa accanto.

Vogliamo il maschio con le palle, ma non quello in grado di affrontare una gang a suon di cazzotti. Per quello abbiamo Netflix con The Rock, Jason Statham e Vin Diesel. Vogliamo un maschio con le palle di rimanere in una relazione. Un maschio che quando si litiga ci tiene testa e con cui urlare e comunicare per poi abbracciarsi qualche ora o anche giorno dopo, più uniti di prima. 

Un uomo che cucini per noi ogni tanto o che eventualmente bruci la cena per far intervenire i pompieri a casa e farci luccicare gli occhi a vedere tutti quegli uomini in divisa e superfichi quando lui magari è più simile a una mezzasega, ma a noi farebbe piacere perché poi a letto gli mostreremmo tutta la nostra gratitudine.

Non ci vergognamo a sentirci sole, lo urliamo anche al mondo, ma qualcuno deve rispondere a questo nostro appello perché davvero non sappiamo più dove siano finiti gli uomini che vogliono impegnarsi. Sia chiaro, ci sono anche tante zoccole che Gola Profonda in confronto era un esempio puro di santificazione e onore al Cristo, ma con tutte le femmine che conosco, posso confermare che non siamo svitate o psicopatiche; non tutte, almeno! Siamo piene di ormoni, urliamo e ci agitiamo ma lo facciamo tanto quanto sappiamo amare e far sentire qualcuno protetto e al sicuro.

Non vogliamo relazioni in chat, vogliamo uscire e vivere il rapporto a contatto con una persona e vista questa quarantena, una volta uscite, lo vorremmo ancora di più. Perché ora come ora un bacio sincero è un’arma letale e un abbraccio equivale a soffocare il respiro di qualcuno. 

Non saremo giovani e attraenti come delle ventenni.
Non saremo sagge e piccanti come delle cinquantenni.
Siamo nell’età di mezzo e per una femmina e fa schifo, ma non per questo smettiamo di provarci.

Àlima

Lo sto guardando. Non smetto di guardarlo nemmeno per un secondo. Non batto quasi le palpebre. Sono tre giorni che lo osservo dalla finestra. Alle sette e trenta del mattino entra nella caffetteria. Esce quasi sempre otto minuti dopo, ancora con il bicchiere di caffè in mano. È primavera.

Ogni giorno lo guardo e mentalmente annoto ogni suo movimento, ogni suo sguardo. Ogni singola cosa. Mi sembra quasi di conoscerlo. Sei, cinque, quattro, tre, due, uno. È entrato nell’edificio. Mi lascio cadere sul letto, chiudo gli occhi e per un tempo indescrivibile non faccio altro che respirare e concentrarmi sul battito del mio cuore, sulla velocità dei miei respiri e libero la mente.


Sono passati tre giorni. Continuo a osservarlo dalla mia finestra. Oggi sembra prospettarsi una bella giornata di sole, almeno così ha fatto intendere il meteo. Sono agitata. Anche se so che tra meno di due minuti lo vedrò apparire oltre quell’albero che mi copre la visuale al lato sinistro, il mio cuore accelera il battito. Scosto appena la tenda e per pochi secondi trattengo il respiro. Eccolo!

Oggi è ancora più affascinante del solito. Forse ha una riunione importante. Indossa un completo grigio, una cravatta a righe, scarpe nere e lucide. E sopra, un impermeabile nero con eleganti fibbie ai polsi. Nella mano destra stringe il manico della ventiquattrore mentre sotto il braccio sinistro stringe il giornale. Entra nella caffetteria. Guardo l’orologio e inizio a contare.

Sette minuti e quarantadue secondi dopo esce. Oggi sembra andare di fretta. È evidente che abbia qualcosa di urgente da fare in ufficio. Lo seguo con lo sguardo. Ha i capelli corti, castano chiaro. Occhi verdi. E una piccola cicatrice sul lato destro della fronte. Forse causato dai duri allenamenti di football durante la sua adolescenza. So che era uno sportivo, ho trovato l’informazione online. È alto, atletico e ha un’aria romantica e dolce, anche se la sua espressione è sempre seria, come se dovesse analizzare tutto e tutti per riuscire ad affrontare la sua vita.

Cammina a passo svelto verso il grattacielo e in pochi secondi sparisce oltre la porta scorrevole. Mi allontano dalla tenda e rifletto. Trovo assurdo stare chiusa in una stanza a osservare un uomo. A volte ho pensato di raggiungere la caffetteria per guardarlo da vicino, incontrare i suoi occhi, parlarci, ma so bene che è un’idea folle. E di nuovo mi abbandono sul letto. Elimino tutti i rumori di sottofondo e mi concentro sul mio respiro. Il corpo si rilassa, rallenta, e si distacca dalla realtà.


Oggi è il settimo giorno. Sette. Un numero qualsiasi, ma con un significato importante. Sembra che Dio abbia creato il mondo e l’uomo in sette giorni. Per quanto sia considerato onnipotente, ha impiegato sette giorni per fare tutto ciò. Senza fretta, insomma. E così io ho preso tutto questo tempo per quest’uomo. Per osservarlo. Capirlo. Vederlo muoversi nella sua quotidianità. Trovo la cosa quasi piacevole. Sono le sette e cinque minuti. È ancora presto e ho tempo per prepararmi. Mi libero della t-shirt bianca e mi infilo dei jeans e una felpa. Tutto nero. Bevo del caffè istantaneo e mi sforzo di non aggiungere lo zucchero. È pessimo e renderlo dolce sarebbe inutile ma quel pensiero vola via non appena mi apposto davanti alla finestra.

Guardo l’orologio. Sono le sette e venti. I dieci minuti seguenti sono interminabili. Temo che non lo vedrò. Inizio a pensare che forse proprio oggi non si presenterà. Ho aspettato tanto quel momento e ora ho paura che sia stato tutto tempo perso inutilmente. Mi agito e maledico me stessa per il mio modo di agire, ma quando lo vedo camminare lungo il marciapiede, torno serena.

Cammina con la ventiquattrore stretta nella mano destra e il giornale sotto il braccio sinistro. Oggi indossa un completo nero e una cravatta a fantasia azzurra. Sopra, il solito impermeabile nero. I capelli corti sono perfettamente al loro posto. Sembra felice. Forse ha ricevuto buone notizie. È davvero affascinante. Come vorrei potermi avvicinare a lui senza alcun timore fingendo di inciampare per attirare la sua attenzione.

Immagino che mi chiederebbe se sto bene e inizieremmo a parlare. Poi m’inviterebbe a cena in un ristorante di gran lusso, so che lo farebbe perché è un gentiluomo ed io so di essere attraente, e mi offrirebbe una cena accompagnata da bottiglie di costosissimo champagne, concludendo la serata a casa sua.

Non appena varcata la soglia, mi offrirebbe un drink dal ricco bancone bar situato nel suo immenso salotto, poi farebbe partire della musica lenta e sensuale. Mi travolgerebbe in un abbraccio e mi porterebbe in camera e lì so che mi farebbe impazzire, più volte, possedendomi come fossi stata sua da tutta una vita. La tentazione è forte, ma s’interrompe non appena mi accorgo che l’uomo che affolla da giorni i miei pensieri si avvicina ed entra nella caffetteria.


Posso farcela, è arrivato il momento giusto. Ne sono sicura. Sono le sette e trenta precise e otto minuti dopo esce con il bicchiere di caffè in mano. Per qualche secondo il battito del mio cuore accelera ma cerco di dominarlo. Mi concentro sui miei respiri, sempre più lunghi e lenti. Socchiudo gli occhi senza smettere di seguirlo mentre si dirige al grattacielo. Cammina lungo il marciapiede in mezzo a una folla di persone, proprio come fa tutti i giorni. Mancano circa sessanta passi prima che sparisca oltre l’ufficio.

Elimino tutti i pensieri dalla testa. Elimino tutti i rumori di sottofondo. È come se esistessimo solo io e lui. Inizio a respirare piano, molto piano, quasi da non percepire nemmeno quel rumore e rimango ferma davanti alla finestra, sospesa nei miei respiri. Mi metto in posizione e conto mentalmente fino a tre mentre il mio dito raggiunge il grilletto. E sparo.

Un colpo solo e l’uomo finisce a terra. I miei occhi sorridono per la mia bocca e i miei respiri tornano normali. Smonto rapidamente il fucile ed esco dalla stanza dell’hotel, correndo verso il retro.

Mi chiamo Àlima Dante e sono un killer professionista.

FINE