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E tu, ricordi il tuo primo bacio?

Nella vita, Nora si era sentita dire di tutto. 
A volte non era abbastanza rapida nella comprensione di un compito di matematica.
Altre volte, invece, memorizzare il concetto di un testo le richiedeva più tempo rispetto agli altri.
E poi, ancora, non era sufficientemente abile nell’inserire dei dati al computer, a consegnare il caffè ancora caldo al suo capo, a stampare fronte retro senza prima fare un paio di test. Ora tutte quelle frasi non la toccavano nemmeno più ma mai avrebbe pensato che la più inaspettata sarebbe stata quella che l’avrebbe più ferita.
Tu non sei mia madre.

 

Angela era uscita sbattendo la porta e lasciando un’invisibile quanto palpabile voragine tra loro due, nel bel mezzo del salotto; la televisione ancora accesa su una serie tv. L’irruenza con cui si era alzata per sfuggire allo sguardo di Nora aveva fatto rovesciare una lattina di coca-cola e il liquido aveva inzuppato il tappeto persiano. In un angolo, i disegni erano a mano a mano svaniti sotto una macchia scura come era ora il viso di Nora. Nella sua testa risuonava ancora quella frase come l’allarme di un auto che non si spegne. Per tre mesi, quattro giorni, sei ore e dodici minuti, la vita era trascorsa come se nulla fosse accaduto, come se quel funerale non ci fosse mai stato. Ora Angela stava reagendo e Nora non sapeva che cosa fare.

Fu un flebile suono a riportarla a quel momento. Si guardò attorno e fissò un cellulare illuminarsi da sotto un plaid. L’impronta digitale le negò subito l’accesso, ma non le impedì di leggere l’anteprima di un messaggio. 

Un giorno, otto ore e ventidue minuti. Fu il tempo che Angela si prese per sé. Era rientrata a casa spalancando la porta. Aveva acceso le luci e preso una coca-cola dal frigorifero. L’aveva bevuta quasi tutta stando in piedi, in mezzo alla cucina. Si muoveva come se fosse l’unica presenza in quella casa, come se fosse appena rientrata da una gita scolastica. E Nora aveva atteso un cenno qualsiasi, un debole segnale a indicare che era tutto a posto, ma invano; forse non aveva ancora letto quel che le aveva lasciato nella stanza o forse lo aveva fatto ma non ne voleva parlare. 

Aveva pulito casa. Era rimasta in ginocchio per venti minuti a pulire il tappeto. Aveva cucinato per due, ma consumato per uno; si era assicurata che ci fosse la coca-cola nella spesa ordinata online.  

«E tu, ricordi il tuo primo bacio?». 
Nora si girò all’improvviso. Angela sedeva sullo sgabello, le mani appoggiate su un diario privo di lucchetto, l’aria curiosa e quasi divertita, come se non ci fosse mai stata alcuna discussione: né tra loro, né in una qualsiasi chat al cellulare.
«Sì, lo ricordo bene»
«E com’è stato?».
Nora prese un piatto, tolse la pellicola e mentre lo scaldava nel microonde, versò della coca-cola in un grande bicchiere che porse ad Angela. Due minuti dopo, le porgeva un piatto di spaghetti al pomodoro.

«Fu uno di quei baci che ti fanno esclamare Wow. Lui mi dava ripetizioni di matematica e italiano. A differenza di mia sorella a scuola ero proprio negata. Stava salendo sul treno che l’avrebbe portato dalla sua famiglia, in un’altra città, e proprio quando stavo per allontanarmi dal binario, mi prese tra le braccia e mi baciò»
«Sembra la scena di un film romantico. Mamma, invece, ha incontrato dei veri casi umani! Forse toccherà anche a me…»
«Non erano casi umani, solo baci meno romantici».

Nora aprì il diario e lesse a voce alta del tizio che invece di baciare la madre sulla bocca, le aveva centrato il naso con la lingua. Di quando il bacio fu perfetto ma nulla di eclatante o di quando moriva dalla voglia di sciogliersi tra le braccia del ragazzo che le piaceva. Una volta era così agitata che morse il labbro di un tizio fino a farlo sanguinare. Ci fu un altro bacio, bello ma disastroso, e quelle furono le uniche parole con cui era stato descritto, poi Angela abbassò voce e sguardo, come se le parole davanti a lei si fossero afflosciate, gli occhi lucidi.
«Qui dice Il mio primo e vero bacio è stato dopo il divorzio, quando mi sono innamorata per davvero. Il giramento di testa, le farfalle nello stomaco, una stretta al cuore. È un bacio che non dimenticherò mai!».

Angela osservò il diario che aveva in mano. Ad eccezione di poche pagine, alcune erano state accuratamente oscurate con della carta da pacchi, un cordino e dello scotch.
«Quando potrò leggere il resto?»
«Quando sarai più grande…» rispose Nora mentre riprendeva il diario. Trattenne un bolla di nostalgia all’altezza della gola al ricordo della sorella che la notte scriveva i suoi pensieri, ignara che venissero letti di nascosto il giorno dopo con una velata e tenera gelosia. Riaprì il diario e lo piazzò davanti ad Angela, indicando un punto preciso.
«Questo era tuo padre».
«Scherzi?».
«Ora è tardi, vai a dormire»
«Vorrei restare ancora sveglia qui con te, a parlare».

Nora non insistette e si sedette di fronte a lei. Accadeva per la prima volta da quel giorno, dopo tre mesi, cinque giorni, quattordici ore e trentaquattro minuti.

Fine

“JOY”

Dal libro “642 idee per scrivere” del San Francisco Writer’s Grotto, ho selezionato alcune idee e ho chiesto, tramite un post su Instagram, di scrivere il primo pensiero che veniva in mente. Ho poi selezionato le tre risposte che più mi piacevano per trasformarle in racconti.

Il primo racconto lo potete leggere al seguente link, mentre gli altri due, qui di seguito. Come abitudine di Wanted Stories, ho fatto dei sondaggi per far scegliere quello che più ispirava e, a seconda dell’ispirazione, ho richiesto qualche input per iniziare a scrivere! Qui di seguito i testi scritti da due “Joy”! Buona lettura!

joyclaremadness – “5 cose che mi mettono sempre nei guai”Da che ho memoria ho sempre parlato: da piccola, da adulta e persino mentre mangiavo. Avevo sempre qualcosa da dire. Parlare troppo mi ha spesso messo nei guai, ma non solo. Quando da adulta credi di aver superato l’età dell’istintualità, ti accorgi che… NON È VERO! Conseguenze? Cosa sono? Ah sì, quelle che ti prendono a sberle quando AGISCI SENZA PENSARE!

Se poi aggiungiamo la sovrabbondante EMPATIA che ti fa piangere in treno al racconto di un perfetto sconosciuto, capisci che forse non hai superato la tua adolescenza o l’hai fatto male😅. Così mi capita di piombare nei ricordi, dove la MALINCONIA mi fa sembrare i ricordi magnifici e il presente TERRIBILE. Ma ciò che più mi fa precipitare nei guai, come un tuffo di testa da cinque metri, è la CURIOSITÀ, in nome della quale ho combinato una quantità innumerevole di cazzate!

Joy fissa il cellulare come se fosse in procinto di riverarle un segreto. Il pollice della mano destra viene mordicchiato con tenerezza. L’indecisione è troppa. Una videochiamata mancata ha cambiato la sua giornata. Fino a qualche minuto prima, tutto si svolgeva seguendo il solito tran tran quotidiano, ma non appena aveva preso in mano il cellulare, tutto ciò che la circondava era svanito nel nulla e nella sua testa rimbomba solo un nome. Quello del suo ex…

«Secondo te che cosa vuol dire?», chiede Joy mentre cammina avanti e indietro per la lavanderia dove il suo bucato si sta lentamente asciugando. Il pollice, poveretto, sempre tormentato.
«Non chiamarlo! Lascialo perdere! Ti ha mollato e per ben due volte, non vorrai mica cascarci ancora, no?», replica l’amica, il tono esasperato, mentre ascolta Joy nutrendo poche speranza di essere ascoltata.
«L’ultima volta che mi ha lasciato, la seconda intendo, stava ritornando sui suoi passi e…».
«No, Joy, non chiamarlo. Perché insisti a farti del male?».
«Ok, allora lascio stare… forse hai ragione…».
«Ecco, brava! Fila a casa e vedi di non fare cazzate!».
«Ciao Francy, grazie mille. Sei un tesoro!».

Joy chiude la telefonata e si adagia su una sedia di plastica che emette un cigolio poco rassicurante. Totalmente insoddisfatta della telefonata con l’amica, è come se le avessero comunicato il fallimento di un esame importante, ma poi scatta in piedi e digita un messaggio. Le dita corrono veloci sulla tastiera e se la sensazione di quel momento si potesse raffigurare, sarebbe come una lampadina illuminata sopra alla sua testa.

Riprende a camminare attorno ai due tavoli che dividono le lavatrici dalle asciugatrici, in attesa di quel suono che conferma l’arrivo di un messaggio e infatti, dopo nemmeno un minuto, ecco che si ritrova ad aprire una chat di WhatsApp, ma ciò che legge la fa infuriare all’istante. “So già che cosa mi vuoi chiedere e la risposta è LASCIA PERDERE! Francesca mi ha avvisato che avresti provato a contattare anche me. Sono tua amica, ti voglio bene, ma a volte agisci senza pensare e finisci col fare solo grandi cazzate! Ps. sai che ho ragione! Giulia». A quel punto Joy ci rinuncia e, le mani incrociate, fissa l’oblò dell’asciugatrice che di lì a pochi minuti finirà il suo ciclo di lavoro.

«Secondo me devi chiamarlo». Joy si volta e nota un ragazzo di colore, i dredd legati con un elastico nero, con indosso una tuta bianca e blu che inserisce il suo bucato in una delle lavatrici.
«È quello che penso anch’io, ma le mie amiche dicono che sbaglio…».
Il ragazzo le rivolge le spalle, ma continua a parlare.
«Ah, non stare a sentire cosa ti dicono gli altri. Devi fare ciò che senti. Insomma, chi meglio di te sa ciò che vuoi?».
«Hai ragione! Voglio bene alle mie amiche, ma non comprendono l’amore che provo per lui e questa è la mia occasione! C’è una festa in centro, so che lo troverò lì ed è lo scenario perfetto per rimetterci insieme». Il viso di Joy s’illumina mentre tira fuori quasi con furia tutti i vestiti asciutti. Non li piega, ma li butta nelle due sacche di plastica e si affretta a uscire, ma poi si volta verso il ragazzo.

«Grazie mille del tuo consiglio!», dice a voce alta. Il ragazzo si volta e fissa l’ingresso ormai vuoto, poi porta una mano all’orecchio sinistro. «Aspetta, amico, mi pare di aver sentito qualcosa…», e si guarda attorno per vedere se ci sia qualcun’altro nella lavanderia, poi torna a concentrarsi sul bucato e continua la sua conversazione al telefono.Joy attraversa la strada e raggiunge il locale dove sa di trovare il suo ex. Indossa il vestito di cotone bianco con piccoli fiori azzurri che ha comprato durante la loro prima vacanza in Grecia. Erano state due settimane stupende e indossarlo voleva essere un modo per ricordargli i bei tempi, e forse essere anche di buon auspicio.

Si infila tra la gente, lo cerca con lo sguardo. Ogni ragazzo dai capelli castani alto un metro e ottanta che le capita a tiro, attira la sua attenzione, ma è quando riconosce la sua risata che si volta e lo vede. Finalmente! Cammina verso di lui e sorride, ma quando incontra il suo sguardo si mostra improvvisamente seria, quel momento per lei è molto importante. È la svolta che aspettava.

«Hei, Joy, ciao! Come stai?».
«Molto bene, anche tu qui?».
«Non manco mai a una festa! Sai, mi fa piacere vederti…». Joy si sforza di non gongolare, o peggio, ballare di gioia davanti a lui. “Francesca e Giulia, avevate torto!”, pensa celando un sorriso beffardo.
«Sai, fa piacere anche a me e…».
«Ero andato in paranoia, sai… non sapevo come avresti reagito, ma ti vedo bene». Joy schiude le labbra e lentamente le sue sopracciglia si inarcano quando sul suo viso emerge un’espressione confusa.
«Che intendi?».
«La videochiamata che ti ho fatto. Sai, mi è partita per sbaglio!».
E a quel punto fu la fine…

Fine

joy_in_the_deep – “La menzogna più colossale che ti sia mai stata raccontata”
Di menzogne se ne dicono e sentono tante. Sempre a fin di bene? Purtroppo no. Io lo so, fin troppo. Sono sempre state bugie dette per legittima difesa, perlomeno le mie. A mali estremi, estremi rimedi. Frase fatta? Può darsi, ma ahimè è una grande verità. In certe menzogne magari ci si finisce per sbaglio, per paura o per vergogna. Perché non si ha altra scelta o solo per il gusto di farlo, per cattiveria gratuita, di quelle non ho esperienza e neanche pietà. C’è chi non può privarsene. Di tutte le menzogne, le peggiori sono quelle che suonano come un “Ti amo come nient’altro al mondo” e poi si rivelano delle stilettate nel fianco che non smettono più di sanguinare. La menzogna più brutta è quella che ti fa credere di essere amata e invece poi non è vero niente.

Quando Joy entra nel bar che affaccia sulla grande piazza del centro storico, una folata di vento smuove il profumo di croissant ancora caldi e latte mischiato al caffè e per qualche istante ha l’impressione di essere entrata in un’altra realtà. È un venerdì mattina, sono da poco passate le undici e Joy, assieme a un atteggiamento indispettito, si ferma davanti al bancone in attesa di ordinare un caffè. Non ne ha particolarmente voglia, lo fa solo per tenersi occupata.

Rientrare a casa significa rispondere alle domande di sua madre sull’esito del corso di recitazione, giunto alla decima lezione. Il solo pensiero le provoca ansia, l’insegnante non è per nulla soddisfatto dei suoi risultati. Le dice di continuo che un testo va compreso, amato e interpretato, qualunque esso sia. Per lui, il morboso legame di Joy a recitare solo testi che le piacciono, la limita e a fine lezione, le dice che se non impara come si deve la parte assegnata, è il caso che vada a spaccare legna per il resto dei suoi giorni.

«Che cosa prendi?». Joy torna alla realtà e di colpo le sue guance si colorano di rosso quando due occhi verdi la fissano in attesa di una risposta. Lei tentenna, le parole non prendono forma nella sua testa. Lo sguardo che la fissa è così magnetico da renderla quasi incapace di respirare. Non vedeva quel ragazzo lavorare al bar da diverso tempo e non si aspettava certo di vederlo quel giorno, proprio quando aveva pescato dall’armadio dei vestiti che nemmeno una cooperativa avrebbe accettato. Lui inclina la testa, le regala un piccolo sorriso e questo è sufficiente per Joy che d’improvviso disgela la sua mente e riprende possesso del suo corpo. Appoggia entrambe le mani sul bancone e inizia a parlare con una convinzione finora a lei sconosciuta.

«Sai, di menzogne se ne dicono e sentono tante. Sempre a fin di bene? Purtroppo no. Io lo so, fin troppo. Sono sempre state bugie dette per legittima difesa, perlomeno le mie. A mali estremi, estremi rimedi. Frase fatta? Può darsi, ma ahimè è una grande verità. In certe menzogne magari ci si finisce per sbaglio, per paura o per vergogna. Perché non si ha altra scelta o solo per il gusto di farlo, per cattiveria gratuita, di quelle non ho esperienza e neanche pietà. C’è chi non può privarsene. Di tutte le menzogne, le peggiori sono quelle che suonano come un “Ti amo come nient’altro al mondo” e poi si rivelano delle stilettate nel fianco che non smettono più di sanguinare. La menzogna più brutta è quella che ti fa credere di essere amata e invece poi non è vero niente…».

Il cuore di Joy batte così forte che pare rimbombare tra le mura del locale. Le mani lentamente si rilassano e si avvicinano l’una all’altra. L’ansia invade il suo petto e ora il respiro si fa più pesante. Se il suo insegnante fosse stato lì in quel momento avrebbe applaudito per la sua performance. Ne era convinta: era stata formidabile. Ora, però, voleva il parere del ragazzo che la fissava come fosse stato preso a schiaffi senza motivo. Non si conoscevano, che motivo aveva di mentirle?
«Caspita, ti ha proprio spezzato il cuore».
«Come dici?».
«Chiunque sia stato è proprio un pazzo. Non ti conosco, ma mi sembri una brava persona. E sai un’altra cosa?».
Joy scrolla le spalle, l’aria di chi sta cadendo dalle nuvole.
«Voglio invitarti fuori a pranzo. Ti va?».
Nonostante la perplessità del suo viso, Joy riesce a dire un sì appena percettibile e osserva il ragazzo carino e simpatico mentre si appresta a sistemare tazze e bicchieri, forse per impostare il lavoro al collega che inizierà il turno di lì a poco. Prende posto a un tavolino e lo fissa, indecisa se dirgli la verità. “Le bugie non si dicono, mai”. Questo le aveva sempre ripetuto sua madre, instillandole un’assurda paura al solo pensiero di mentire. E una relazione che inizia con una bugia non è una buona partenza. Il ragazzo si volta e richiama la sua attenzione.
«A proposito, io sono Davide».
«Joy».
«Piacere di conoscerti, Joy. Mi piace il tuo nome e sai un’altra cosa? Credo che saresti una grande attrice, hai carisma. Dovresti provarci. Dammi altri cinque minuti, poi possiamo andare».
La voce della madre risuona nella sua testa come un disco inceppato e la tentazione di dire la verità è forte. Forse tra cinque minuti gli dirà come stanno davvero le cose. O forse no…

Fine

One Day

Un litigio. Proprio in mezzo alla strada. Giulia e Leonardo non trovano un punto d’incontro. Lei è irremovibile. Lui ancora di più. Parole che feriscono. Uno schiaffo. E poi quello che sembra un addio. Riusciranno a ritrovarsi?

Wanted Stories 2.0 ha richiesto al pubblico di scegliere un film d’amore tra quelli proposti.

A quel punto abbiamo selezionato una frase del film vincente e richiesto di svilupparla per avere una “base” iniziale da cui partire per scrivere. L’incipit seguente è preso dal film One Day del 2011 diretto da Lone Scherfig e interpretato da Anne Hathaway e Jim Sturgess, tratto dal romanzo Un giorno di David Nicholls.

“Casa mia non è lontana, andiamo? Quanto pensi di fermarti?”

Gli incipit scritti sono stati diversi e quello che più ci ha colpito è stato quello di Anna Rossetto (@vegetal_books) – “Fermarmi? Sto pensando a tutto fuorché a fermarmi. Fuggire, andare avanti, tornare indietro, spostarmi di lato, nascondermi. Tutto ciò che è vita, movimento, azione, emozione. Fermarmi. No. Non più. A meno che non trovi qualcosa che vada oltre: oltre le solite cose, oltre le convenzioni e le convinzioni, oltre il conformismo e il già visto. Pensi di essere tu, ciò che va oltre? Dimostramelo.”

Turno 1 – Alberto
Giulia si tolse i guanti e li lasciò cadere a terra. Si guardò il palmo di una mano, poi l’altro. Alzò lo sguardo e sorrise, quel sorriso che ricorda una stella cadente ad agosto, cerchi di catturarla con gli occhi, fare uno screenshot al firmamento, dimenticandoti di esprimere un desiderio e rischiando di perdere quell’occasione, quell’ennesima occasione che se ne sta andando, lasciandoti solo, ancora. Appoggiò una mano sul cuore di Leonardo, si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio: «Vattene».

Turno 1 – Linda
«Ecco la dimostrazione di cui avevo bisogno!». Leonardo si scostò da Giulia e la fissò con aria compiaciuta e allo stesso tempo delusa, come se avesse saputo la sua risposta ancora prima che lei la pronunciasse; in cuor suo ne soffriva, aveva tanto sperato in un’altra reazione. Finalmente l’aveva messa con le spalle al muro come mai prima era riuscito a fare. Lei lo fissava come si fissa un’insegnante noioso durante l’ultima ora di lezione, con il suo sguardo dolce e ambiguo, come fosse incapace di commettere errore; una bambina che ottiene quello che vuole perché sa di poterlo avere, che gioca con i sentimenti altrui come fossero dei pezzi di lego da assemblare a proprio piacimento, a seconda dell’umore. Leonardo avrebbe voluto davvero andarsene, ma se lo avesse fatto, lei avrebbe vinto. Un’altra volta.

Turno 2 – Alberto
Rimase in silenzio, gli occhi che cercavano di aprire una breccia in quelli di Giulia, avrebbe voluto vedere i suoi pensieri, le immagini nella sua mente, i sussurri tra cuore e anima. La sua sicurezza fece nuovamente spazio a una totale insicurezza, quel tratto caratteriale che lo aveva sempre contraddistinto nel loro rapporto. E poi la domanda esagerata gli martellava ancora in testa “Pensi di essere tu, ciò che va oltre?” non se la perdonava. Come se Giulia dovesse diventare una nuova persona per stare con lui; da carnefice a preda senza passare dal via. Non era mai stato così deciso in passato, non l’aveva mai affrontata. Nemmeno quando lei se n’era andata di casa il mese prima, per vivere in un’altra città. Nella mente i brandelli di quella serata. 

Non riusciva nemmeno a riviverla pienamente, solo scene annebbiate, parole sfumate. Lui che misurava sempre le parole, non capiva perché quella sera Giulia si fosse incazzata così tanto, continuava a ripetersi che non era stata colpa sua, se lo ripeteva più volte al giorno e poi cosa c’era di male nel parlare di avere un figlio? Leonardo per un attimo socchiuse le palpebre, gli occhi spenti. Senza più esitare, la prese per un polso e la tirò a sé con forza. La strinse in vita e la baciò con una passione tale che il lampione sopra di loro si spense. Forse fu soltanto una coincidenza, o forse no. Lei non resistette a quel suo bacio fruttato. 

Leonardo riaccese lo sguardo e tornò al presente, analizzando questa sua fantasia di baciarla. Era soltanto una possibile azione da compiere. Risultato: avrebbe vinto lei. E allora qual era la mossa giusta da fare? Andarsene? Fare finta di nulla? Dirle quanto era innamorato e che non gli importava che lei fosse andata via? Avrebbe sempre vinto lei. Più che due amanti sembravano due alfieri di una scacchiera senza re e senza regina. Si muovevano in diagonale e scappavano l’uno dall’altro, rincorrendosi, aspettando quello scacco matto che non sarebbe mai arrivato se avessero continuato a giocare una partita d’amore. 

L’amore non è un gioco da tavolo, è aria calda che si scontra con aria fredda dando vita a un temporale di emozioni. È fiamma e ossigeno che si alimentano e che si infuocano. È tempo da dedicare l’uno all’altra. L’amore è vita senza compromessi, è abbracciarsi sotto la pioggia sentendo soltanto i respiri che si fondono. Una lacrima scese sul suo viso mentre ancora la guardava, nel petto una nuvola di dolore. «Me ne andrò da te e da tutto quello che ti circonda. Giulia, io non posso continuare a inseguirti, rimarrò da solo, un’altra volta, ma forse tu non sei qui per meritarmi». 

Proferì quelle parole singhiozzando, vere come il catrame appena steso sulla strada. Si girò e si incamminò verso le scale della metropolitana. Passarono diversi secondi, il tempo si era dilatato, poi in lontananza sentì la sua voce: «Leonardo, aspetta!», la scala mobile lo stava già inghiottendo e si sentiva nell’aria l’odore pungente dei sotterranei. 

 

Turno 2 – Linda
Giulia lo raggiunse e lo prese per un braccio. Leonardo si voltò e un dolore improvviso emerse sulla sua guancia sinistra. Lo schiaffo era stato forte, quanto inaspettato. Fissò Giulia interdetto, come se si trovasse di fronte a uno sconosciuto che lo aveva aggredito senza alcun motivo.

«Credi di essere superiore a me? Davvero pensi di avere ragione e potermi trattare come non valessi nulla?». I suoi occhi lo penetravano mentre parlava, come se le parole dovessero aggrapparsi alla pelle, ai muscoli, alle ossa, per essere comprese. Leonardo schiuse le labbra, ma lei lo anticipò. «Non me ne frega se siamo pronti ad avere un figlio o meno, non ha importanza se non c’è un legame serio tra noi. La cosa a cui tengo è che tu voglia stare con me. Sei stanco di inseguirmi? E allora perché non mi hai fermato quando me ne sono andata? Non voglio più dovermi impegnare in una relazione per tutti e due. Sarò dura e pretenziosa, ma sono presente, io so cosa voglio. E tu? Tu lo sai che cosa vuoi da noi due?».

Rimise i guanti che aveva recuperato poco prima da terra e quel gesto sollevò Leonardo, il quale intuì che non sarebbe stato preso a schiaffi di nuovo. L’aria fredda non aveva alcun effetto su di loro, era come fossero avvolti in una bolla; nemmeno i passanti sembravano interessati alla loro discussione. Era davvero così poco importante?
«Tu mi hai detto di andarmene e…».
«Facile dare la colpa a me. Leonardo, siamo in due in una relazione ed entrambi abbiamo colpe. Come fai a non capirlo? Comunque stiamo solo perdendo tempo, il motivo per cui ho deciso di vederti questa sera è per dirti che…». 

Il suono di una melodia a pianoforte li interruppe. Giulia serrò le labbra, come se sapesse chi la stava chiamando, poi prese il cellulare e rispose, gli occhi fissi su Leonardo che pendeva letteralmente dalle sue labbra, cercando di non darlo a vedere. «Ciao amore, sì è tutto a posto. Tra poco sarò a casa». Lui mise le mani sui fianchi e la fissò incredulo, ma una sicurezza mai conosciuta prima lo travolse e gli fece scappare una risata di compiacimento. «Dovevo aspettarmelo da te, parli di relazione e tieni il culo su due sedie, invece!».


«È vero, ti ho chiesto di venire a casa mia, ma ti stavo solo mettendo alla prova, Leonardo. Tra i due, quella delusa sono io», e senza aggiungere altro, gli diede le spalle e attraversò la strada. Cosa stava facendo? Cosa stava pensando? L’avrebbe inseguita oppure sarebbe sparito oltre la scalinata per salire nella metro senza più voltarsi? Il cuore di Giulia batteva forte, gli occhi sembravano due linee scure che si sforzavano di trattenere le lacrime. Non c’era nessun nuovo amore che l’aspettava a casa, solo il gioco di un’amica complice. Solo per mettere alla prova il loro amore.

Turno 3 – Alberto
Leonardo rimase immobile, le persone passavano vicino a lui immerse in quel moto perpetuo tipico dell’orario post-lavoro, qualcuno a testa bassa per rincasare in fretta, altri camminavano con il naso in su per ammirare le nuove luminarie di Natale che si erano accese nei corridoi della metro. Non sentiva il rumore dei treni sulle rotaie, non vedeva oltre le sue pupille. Guardava dentro sé stesso per cercare di non implodere, rifletteva per decidere cosa fare, i muscoli delle gambe gelati, ma non dal freddo. Aveva bisogno di un secondo di infinità, doveva decidere in fretta ma pensare lentamente. Si rivide a tavola con Giulia, cercò di vedere la scena da fuori, osservarsi, pensare a quello che aveva provato lei nel sentire le sue parole. 

«Mamma mia Giulia, che giornata, non ne posso più di questo lavoro!».
«Puoi sempre cambiare, rimetterti in gioco, non ti sei mica sposato il titolare», disse lei con quel suo sorriso luminoso. «Sì, vabbè, la fai facile tu che provieni da una famiglia ricca». Giulia era rimasta in silenzio. Era evidente che avesse accusato il colpo ma decise di cambiare argomento. Era una donna molto forte e decisa, lo era sempre stata.
«Leo, ti ricordi di quel viaggio che volevamo fare alle Filippine? Che ne dici se lo prenotiamo per l’estate prossima?».
«Ok, possiamo pensarci, dipende da come andrà il mio inverno. Lo sai che le mie parcelle sono in netto calo e poi sarebbe anche ora di avere un figlio». 

Ritornò al presente: che risposte le aveva dato? Non dimostravano per nulla il suo amore per lei, era stato irritante. Diventò consapevole di come si era comportato. Credeva di essere quello dolce e premuroso, l’amante perfetto. Siamo spesso convinti di essere dalla parte della ragione, finché non ci mettiamo nei panni di chi ci sta vicino. Ed era proprio quello che aveva appena provato. Non aveva chiesto a Giulia di avere un bambino, le aveva servito quella frase oscena su un piatto pieno di superficialità. Mosse un passo titubante verso il convoglio che stava per partire, ma cambiò subito direzione e iniziò a correre. La velocità delle scale mobili non era sufficiente, continuò a correre e riemerse sulla strada. 

Si guardò attorno ma non c’era traccia di Giulia. Nel suo sterno lame affilate ballavano e si contorcevano, danzando attorno a quell’ennesima occasione sprecata. Decise di prendere una boccata d’aria e si incamminò verso una via laterale, seguendo le luci dei lampioni e un profumo di Winter Jack Daniels. La strada brulicava di persone e tutto si fondeva in un vociare sommesso, non si distinguevano le risate degli adulti, né le urla giocose dei bambini, sembrava tutto ovattato. Attraversò un ponticello, dall’altra parte della strada le vetrine illuminavano a giorno il volto dei passanti. Proseguì verso un grazioso mercatino, la piazza era circondata da abeti rossi adornati da giganti omini di marzapane e si fermò davanti a una casetta di legno, era da lì che proveniva quel buonissimo profumo di whiskey bollente. Sulla lavagna, un messaggio scritto con un gessetto bianco recitava “Giorno dell’amore: se rinunci non ci credi, se scappi non lo vivi, se resti è un percorso che vale la pena di essere vissuto”.


«Desidera qualcosa?». L’uomo barbuto oltre il piccolo bancone interruppe le riflessioni di Leonardo.
«Sì, un Winter Jack, doppio, per favore».
«Certo, subito», rispose il signore, mentre stava già riempiendo la tazza. Leonardo la scolò senza tanti complimenti. «Un altro, triplo, grazie», e anche questo andò giù in un secondo. Rimase seduto sullo sgabello di legno, fissava la tazza vuota senza sbattere le palpebre.
«Brutta giornata, eh?».
«Pessima direi…», tagliò corto Leonardo e ordinò un altro whiskey. «Ma non è l’unico, stia tranquillo. Chi per un motivo e chi per un altro, sono in molti che si fermano qui. Ne ho viste oggi di persone con il suo sguardo, mi piace osservare».
«Beato lei», esclamò Leonardo solo per interrompere la conversazione, ma l’altro riattaccò subito. «Si guardi intorno. Vede quel signore? Dev’essere un avvocato, è appena stato qui e ha comprato una bottiglia. Il caso ha voluto che si sedesse proprio accanto a quella ragazza, anche lei passata per bere un paio di bicchierini e diceva di essere astemia», concluse scoppiando in una gran risata.
«Sì, sì, va bene, grazie, interessante, tenga il resto», e si alzò dallo sgabello lasciando cinquanta euro. Senza rendersene conto, passò di fianco alle due persone di cui gli aveva parlato il barista, ma non li guardò nemmeno, finché non sentì la voce di Giulia che lo fece girare di scatto. 

 

Turno 3 – Linda
Lei gli dava le spalle, seduta a un tavolino poco distante dal bancone con una tazza di whiskey fumante stretta in una mano. Era al telefono, ma Leonardo non riusciva a sentire la conversazione. Chiunque ci fosse stato dall’altra parte, però, non aveva importanza: in un attimo gli fu chiaro cosa dovesse fare, o meglio, dire. Lentamente, come se il pavimento fosse fatto di un sottile strato di ghiaccio già crepato, una perfetta analogia del loro rapporto, si avvicinò e si sporse il giusto perché lei alzasse lo sguardo. 

Nei suoi occhi non vedeva più le piccole sfumature verdi che tanto amava di lei, ma anzi, ora intravedeva una luce diversa, come se un manto scuro li avesse completamente avvolti. Non capiva cosa gli stessero dicendo, ma una cosa era certa: non lo stava respingendo. Si sedette davanti a lei, senza dire nulla. La guardava come si guarda la neve cadere dolcemente a terra in un giorno che non ti aspetti o come quando si scarta un regalo che ti riporta a un ricordo del passato, nascosto in un angolo della mente e che riscalda il cuore tutto a un tratto. 

Si scostò dallo schienale pronto a parlare, le parole stampate chiaramente nella sua testa, non poteva concedersi errori, ma poi quel gesto rovinò la fantasia che aveva elaborato: si era immaginato mentre diceva ciò che Giulia avrebbe voluto sentirsi dire, ma lei lo aveva anticipato e con la mano lo intimava a restare in silenzio. Si era poi alzata e muovendo appena la testa a destra e a sinistra, in segno di disapprovazione, era indietreggiata di qualche passo e in pochi istanti era sparita oltre la casetta di legno sotto lo sguardo confuso di Leonardo che si accorse solo in quel momento della neve che aveva iniziato a cadere a terra. In un momento davvero inaspettato.

Finale LINDA MOON

«Giulia!». Leonardo chiamava il suo nome tra la folla. «Giulia!». La intravedeva camminare senza accennare a fermarsi, se non solo per evitare di scontrarsi con qualcuno, e mentre fissava un cappotto blu immerso tra tanti altri dai colori banali, immaginava il suo viso costretto in una smorfia per trattenere le lacrime; lo faceva sempre, detestava piangere. Chiamò il suo nome altre tre o quattro volte, ma era come se nel farlo perdesse terreno, così a quel punto si fermò, indeciso su quale fosse la giusta mossa. 

I secondi scivolavano come fossero acqua che non si riesce a trattenere per quanto strette si tengano le mani, il petto sembrava troppo piccolo per contenere un cuore che pareva gonfiarsi sempre di più e il fiato stava lentamente venendo a meno. Per un istante sorrise e alzò il viso al cielo, lasciandosi accarezzare dai piccoli fiocchi di neve che cadevano con fare delicato sul suo viso. Era follemente innamorato di Giulia. Come aveva fatto a non capirlo prima? Forse i tanti pensieri lo avevano allontanato da quello più importante o forse non erano solo preziosi secondi a scivolare via, ma anche l’insicurezza che lo aveva sempre accompagnato in ogni sua azione. E in quel momento gli fu chiaro cosa dovesse fare. Si guardò attorno come se si trovasse per la prima volta in quella piazza, poi corse verso degli enormi addobbi natalizi a forma di pacco regalo, oltre gli abeti rossi, e una volta in piedi su di essi, gridò con tutta la voce che aveva.


«Fermate la donna con il cappotto blu. Mi ha rubato il portafoglio!». Con una mano indicava un punto preciso e continuò a ripetere la frase fino a quando qualcuno non gli diede retta e reagì. Non era in grado di sentire cosa Giulia stesse dicendo a un paio di persone che l’avevano fermata, indispettite, ma poi la situazione gli sfuggì di mano quando un uomo richiamò l’attenzione di due agenti di polizia. Leonardo fissava la scena stupito e sconvolto allo stesso tempo, non sapendo cosa fare: era troppo distante per far sentire la sua voce e spiegare il malinteso, la piazza ora brulicava di gente e come se non bastasse, un coro natalizio aveva intonato una canzone di natale proprio in quel momento. Non ne aveva la certezza, ma gli pareva di aver visto lo sguardo di Giulia inferocito che lo puntava da lontano.


«Hei, amico, penso ti serva questo». L’uomo barbuto del bar gli passò un megafono e gli diede una pacca sulla spalla. Leonardo gli sorrise e senza perdere un secondo in più, iniziò a parlare.
«Aspettate! Quella donna non mi ha rubato il portafoglio. L’ho detto solo perché qualcuno la fermasse. Chiedo scusa a tutti e Giulia…». S’interruppe per mandare giù un nodo alla gola che gli si era formato nel frattempo. Chiunque poteva sentire cosa stava dicendo, ma soprattutto erano in molti a fissarlo curiosi.
«Vedi, io…». Le parole impresse nella mente fino a poco prima parevano essere svanite come i fiocchi di neve si perdono in un unico manto bianco quando toccano terra.
«Non avrei dovuto dirti le cose che ho detto. Non avrei dovuto dirti che dobbiamo avere un figlio solo perché è ora di farlo. Non avrei dovuto sbatterti la mia superficialità in faccia. Ho accumulato così tanti non avrei dovuto che forse non merito nemmeno questa occasione per parlarti. Ho fatto un casino, lo ammetto. Ma Giulia, non andare via, non lasciamoci così. Io non posso cambiare all’improvviso, anzi, credo proprio che non cambierò mai, ma posso diventare migliore accanto a te, se ti permetto di farlo ed è ciò che voglio». 

Raggiunse il terreno per avviarsi verso di lei.
«Non voglio che ti illudi, avremo momenti in cui discuteremo, forse mi farai dormire sul divano perché lo sappiamo entrambi che toccherà a me farlo, ma ti posso promettere che mi sforzerò di ascoltare il tuo punto di vista e farò del mio meglio per non sparare cazzate. Non scuocerò più la pasta, smetterò di bere dal cartone del succo e tirerò sempre giù la tavoletta del water». Alcune persone si lasciarono scappare una piccola risata a quelle parole mentre Leonardo era ormai a pochi passi da Giulia, il megafono abbassato.

 
«So che ti sembra troppo bello per essere vero, ma sono pronto a rischiare tutto pur di avere un’altra possibilità con te, anche avere tante testimonianze a provarlo», e alzò le braccia a indicare le svariate persone attorno a loro, poi riprese a parlare, «E so che starai pensando che mi comporto così solo per via dell’atmosfera natalizia o per i tanti whiskey bevuti prima, ma ti giuro che non sono mai stato così convinto delle mie parole come lo sono ora. Certo, ogni tanto mi prenderò la libertà di alzare gli occhi al cielo perché lo sai bene che sei una gran rompipalle quando vuoi, ma sarò con te Giulia, ti amo da impazzire, e se ora vuoi andartene puoi farlo, non ti fermerò, ma sappi che ogni volta che vedrò qualcuno camminarmi accanto con un cappotto blu, quel maledetto cappotto che indossi anche le sere d’estate perché sei tremendamente freddolosa, spererò sempre che sia tu».


Nessuno parlava, la gente era rapita da quel momento, curiosa di sapere come sarebbe finita. E tutto attorno era come se il mondo si fosse arrestato per assistere a quel momento in cui il cuore di Leonardo batteva normalmente dopo un lungo arrancare. Giulia si guardò attorno, spostando lo sguardo altrove, poi lo fissò, e sorrise. «Finalmente! Ci hai messo una vita a capirlo…», e lo abbracciò forte. Un abbraccio che Leonardo ricambiò con profondo affetto, come fosse il primo ricevuto e sapendo che non sarebbe stato l’ultimo.

Finale ALBERTO SARTORI

Erano passati quasi tre anni, Giulia seduta in terrazzo stava fumando l’ultima sigaretta prima di andare a dormire. L’estate era alle porte e un vento tiepido le scompigliava i capelli. Una folata più forte fece volare in aria la cenere e rovesciare il calice di gin tonic sul giornale. Il liquido si allargò velocemente sulla carta umida, lei lo tirò via in fretta ma un lembo dell’ultima pagina rimase appiccicato al tavolino. Fece per rimuoverlo ma si bloccò di colpo, il cuore in gola, le tempie sembravano esplodere, le mani tremavano. In quell’apparentemente insignificante pezzetto di carta era stampato in corsivo: “Leonardo Scali. Amici e parenti si stringono attorno a Dio per salutare la scomparsa del caro Leonardo”.


Fu come un colpo di pistola in bocca, lo stomaco iniziò a contrarsi e Giulia si accasciò a terra, piangendo disperata. Non riusciva a respirare, boccheggiava come un pesce saltato fuori dalla boccia. Com’era possibile? Cos’era successo? Ogni risposta veniva soddisfatta da un’altra domanda e l’elenco era interminabile. Non lo aveva più visto dopo quella sera d’inverno, non lo aveva più sentito. Quell’amore litigioso che li aveva uniti per lungo tempo si era sciolto nelle tazze di whiskey caldo come una zolletta di zucchero. Giulia non era più riuscita a costruirsi una vita di coppia, era tornata a vivere nella stessa città in cui aveva convissuto con lui, aveva cambiato mille lavori, era uscita con qualche ragazzo, ma l’amore vero non aveva più bussato alla sua porta. E su quel terrazzo, riversa a terra per i crampi, stava comprendendo che i suoi insuccessi amorosi avevano una sola ragione: non aveva mai smesso di amare Leonardo. 

I giorni passarono lenti, ognuno percepito come fosse una settimana, finché sul calendario comparve lo stesso numero che era scritto nel trafiletto sul giornale. Giulia bevve la sua terza vodka prima di uscire di casa, erano soltanto le due del pomeriggio. L’abito scuro faceva pendant con l’espressione buia del suo viso. La messa sarebbe iniziata di lì a un’ora. Non aveva trovato il coraggio di chiamare nessuno per le condoglianze, tanto era sconvolta dalla notizia quanto non voleva darlo a vedere. Gli amori non dimenticati fanno uno strano effetto, vibrano a frequenze che non riusciamo mai a comprendere del tutto. Camminava a passo svelto verso la chiesa di San Marco, ripensando al primo appuntamento con Leonardo, in quell’istante gli sembrò di riaverlo al suo fianco e una lacrima solcò il viso scendendo al rallentatore.


Arrivò davanti alla porta principale, fece dei respiri profondi per calmarsi e riuscire a fare quei pochi scalini che la separavano dal portico. Iniziò a cercare con lo sguardo i suoi ex suoceri, i cugini, gli amici di Leonardo, tutte persone che pensava non avrebbe più rivisto. Gli ultimi banchi erano vuoti, proseguì facendosi il segno della croce e una rapida genuflessione, poi si voltò a destra e a sinistra ma non riconobbe nessuno. Avanzò ancora con il cuore in gola, senza più voltarsi, guardando solo il marmo rosso del pavimento e arrivò davanti alla bara posta ai piedi dell’altare. Un giaciglio semplice in legno di faggio, adornato con dei rametti d’ulivo. Si tolse i guanti di seta nera e alzò lo sguardo. All’interno della bara un uomo, sulla settantina, barba bianca, carnagione scura, non aveva nulla a che vedere con il “suo” Leonardo. Sorrise, vergognandosi di farlo nel bel mezzo di un funerale, sorrideva in viso e nel petto. Sgattaiolò fuori dalla chiesa mentre lo stomaco si rilassava e il cuore riprendeva a pulsare regolarmente. Sorrise ancora pensando a quanto fosse stata stupida per non aver fatto nemmeno una telefonata, per aver dato per scontato che al mondo ci fosse soltanto un Leonardo Scali.


Nella passeggiata verso casa continuava a ripensare ai bei momenti passati con lui, a quanto forte l’avesse stretta ogni volta in cui lei ne aveva bisogno e si chiese se fosse troppo tardi per sentirlo dopo tutto quel tempo. I suoi piedi avanzavano uno davanti all’altro senza che la mente desse comandi precisi, le sembrava di vagare casualmente finché non si ritrovò davanti al palazzo dove avevano convissuto. Al terzo piano le luci erano accese nonostante il bel sole proveniente dall’esterno. Era stato proprio quello il loro appartamento. Abbassò lo sguardo. Sul campanello tre nomi scritti in grassetto: Leonardo Scali, Stefania Grilli, Giulia Scali.
«Giulia Scali», sussurrò Giulia, «Ha chiamato sua figlia proprio come me». Allungò una mano per suonare, ma la ritirò subito. C’era già una Giulia nella vita di Leonardo. E forse era davvero arrivato il momento di dimenticarlo per sempre.

Fine

Uno speciale ringraziamento va anche a tutti coloro che hanno partecipato alla nostra iniziativa di scrittura e proposto il loro input: Gianluca Santomaso – Giulio Perozzo – Greta Bergamin – Cecilia Mariani – Filippo Romani – Ilaria Marangoni – Giovanni Lembo – giulilai35 – gali4music – farkikka – Andriko_Hajni – @attimidiprosablog

Turno 1 – Linda
«Ecco la dimostrazione di cui avevo bisogno!». Leonardo si scostò da Giulia e la fissò con aria compiaciuta e allo stesso tempo delusa, come se avesse saputo la sua risposta ancora prima che lei la pronunciasse; in cuor suo ne soffriva, aveva tanto sperato in un’altra reazione. Finalmente l’aveva messa con le spalle al muro come mai prima era riuscito a fare. Lei lo fissava come si fissa un’insegnante noioso durante l’ultima ora di lezione, con il suo sguardo dolce e ambiguo, come fosse incapace di commettere errore; una bambina che ottiene quello che vuole perché sa di poterlo avere, che gioca con i sentimenti altrui come fossero dei pezzi di lego da assemblare a proprio piacimento, a seconda dell’umore. Leonardo avrebbe voluto davvero andarsene, ma se lo avesse fatto, lei avrebbe vinto. Un’altra volta.