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In una notte!

Penelope è una ragazza timida e goffa, ma ama divertirsi. Una sera, mentre è in un club a ballare con le amiche, fa un incontro improvviso ed eccitante che la lascerà però con l’amaro in bocca.

A questo punto, dovrà decidere se vivere in un amaro ricordo o se ribaltare la situazione a suo favore! Ci riuscirà?

STORIA INTERATTIVA
In un sondaggio abbiamo chiesto al pubblico se volesse leggere un racconto erotico scritto da noi e la risposta è stata un clamoroso SÌ!

In un secondo sondaggio, è stato chiesto quale tra queste situazioni intrigasse di più:
1.Sesso in ufficio con collega e fuori orario
2.Sesso in un locale pubblico con uno sconosciuto
3.Sesso con ex in quarantena
4.Da sesso virtuale a sesso reale con un’app!

E ha stravinto la seconda opzione! A quel punto, Aldo e io avevamo le basi per scrivere la storia! Ecco a voi il racconto scritto a quattro mani, con due finali diversi! Buona lettura!

Turno Linda 1

Penelope fissò la sua immagine allo specchio. Non indossava un abito così vistoso ma soprattutto così corto da quando, ormai tre mesi fa, aveva rotto con il suo ex. Ogni volta che pensava a lui, il suo sguardo era indecifrabile, come se cercasse di capire chi avesse abitato la sua mente in quel periodo. Ora che ci pensava erano troppo diversi. Ad ogni modo, tirava di continuo l’orlo dell’abito per coprire di qualche centimetro le gambe, ma l’elasticità del tessuto lo riportava alla sua lunghezza naturale. Il suo riflesso indicava che forse quella mise non era la più adatta, non tanto alla serata, ma al suo umore.

L’orologio segnava le ventuno passate e non appena lo notò, si affrettò a infilarsi la giacca di pelle e uscire di casa. Sperò che l’ascensore non fosse sul pianerottolo. Le avrebbe risparmiato tre piani di scale con un tacco dieci, ma non avrebbe resistito dal guardarsi ancora allo specchio col rischio di rientrare a cambiarsi. Fu sollevata quando non lo vide a portata di mano. 

Salita in auto, l’unica preoccupazione era collegare il bluetooth alla radio per far partire uno dei suoi brani preferiti. Aveva bisogno di prepararsi alla sua prima e vera serata da single con le amiche. Basta divano e patatine, lamentandosi di come avesse perso tempo con un tizio che non la meritava. Mise in moto l’auto e alzò l’audio al massimo, pronta a raggiungere le sue amiche. “Basta paranoie Penelope” pensò. “Stasera ci si diverte!”.

Turno Aldo 1

La vide uscire dal palazzo mentre era imbottigliato nel traffico. Tacco dieci e scarpe nere come il vestito corto che insisteva a tirare giù nel tentativo di allungarlo. Era bella, senza essere troppo appariscente. Non tanto alta. Scura di capelli e carnagione. Belle forme, generose, dove cade l’occhio. Sembrava andare di fretta, con tanti pensieri per la  testa. Gli diede l’impressione di una che non uscisse da tanto tempo e avesse grandi aspettative per la serata. Bastò poco per classificarla e le augurò di trovare qualcuno che la facesse divertire per davvero e che la facesse sentire donna.

Si mise a ridere. Capiva le donne ancora prima di parlarci. E per lui era ciò di cui aveva bisogno quella ragazza. Non di grandi discorsi sofisticati, ma di qualcosa di più concreto che la facesse sentire viva. Lui piaceva alle donne. Non per la bella faccia, il fisico scolpito o i soldi. Era la mente a renderlo irresistibile. Le sapeva approcciare perché capiva al volo chi aveva davanti. Intuiva il loro stato, quando erano disponibili e quando no, quando avevavo voglia e fin dove erano disposte a spingersi.

Sentiva l’odore della loro eccitazione e gli piaceva portare in superficie le loro perversioni per poi accontentarle. La vide salire in una Smart e immettersi nel traffico non lontano dalla sua Porsche. Mentre saliva in auto, il vestito salì appena e lasciò intravedere ancora di più le sue gambe. Quell’immagine fu sufficiente a stimolare la sua curiosità e così decise di cambiare programma. Il casinò poteva aspettare.

Turno Linda 2

«Allora, ti stai divertendo?» chiese un’amica.
«Da matti!» rispose Penelope. «Mi serviva proprio una serata così! Non so come ho potuto starmene per mesi a piangere un cretino!».
«Prendi questi». L’amica avvicinò la mano alla sua pochette e per poco a Penelope non le andò di traverso ciò che stava bevendo.

«E questi che cosa sono?» chiese sorpresa.
«Come che cosa sono? Preservativi!» replicò l’amica con fare intrigante.
«Ma quanti me ne dai? Saranno almeno una dozzina!». L’amica fece l’occhiolino.
«Non si sa mai…». Penelope la guardò stranita mentre cercava di infilarli nella pochette.
«Tu sei pazza davvero…» disse senza guardarla in faccia. «Ho detto che voglio divertirmi ma non in questo senso e poi…». Si interruppe maledicendo la pochette che non riusciva ad aprire. «Senti, me li puoi tenere tu?».

Si voltò verso l’amica, ma in quel momento diventò rossa in viso dall’imbarazzo che provò nel ritrovarsi a porgere dei preservativi a un tizio che sembrava avere il doppio dei suoi anni. Aveva un bel viso e indossava una giacca elegante sopra a dei jeans. La camicia grigia aderente lasciava trasparire un fisico piuttosto atletico. Ma soprattutto aveva l’aria divertita. 

«Hai intenzioni serie, vedo…». L’uomo fece un piccolo sorriso. Penelope rimase senza parole, ancora provata dalla vergogna. Si guardò attorno per cercare l’amica che sembrava essere svanita nel nulla. «Credo sia andata da quella parte». L’uomo indicò l’altro lato della pista. Penelope finalmente riuscì ad aprire la pochette e vi buttò dentro i preservativi. «Posso offrirti un drink?» le chiese all’improvviso. Penelope borbottò qualcosa mentre si allontanava da quel tizio, ma non fece in tempo a finire la frase che mancò uno scalino e perse l’equilibrio. L’uomo la afferrò in tempo e Penelope si ritrovò stretta a lui.

Turno Aldo 2

La fece sedere su uno sgabello vicino al bancone e ordinò due gin tonic, accomodandosi accanto a lei. Non disse nulla fino a quando non arrivarono i drink. «Sai, ti ho vista uscire da un palazzo, dall’altro lato della città e salire su una Smart mentre ero bloccato nel traffico» disse giocherellando con il ghiaccio nel bicchiere. «Poi ti ho rivisto in un locale del centro assieme a delle amiche per poi salire in un taxi».

Penelope lo osservava in silenzio, in parte ancora imbarazzata, in parte stranita dalle parole di quell’uomo. «E ora ti ritrovo qui» rispose infine divertito. Si guardarono dritto negli occhi, senza dire nulla. Lui a tratti sorseggiava il gin tonic, lei visibilmente nervosa, lo buttò giù tutto d’un fiato. «Per caso mi stai seguendo?» gli chiese e si lasciò scappare una risata che pochi istanti dopo contagiò anche lui. Non sapeva spiegarlo, ma le piaceva il suo modo di fare, il suo odore, la sua aria scanzonata, anche se non aveva ben chiaro dove volesse andare a parare, ma la curiosità ebbe la meglio. 

«Un altro drink?» chiese Penelope. «Certo» rispose lui, quasi compiaciuto dalla cosa. Penelope ordinò altri due gin tonic. «Mi hai seguita, vero?». Lui la fissò serio, ma non aspettò molto a rispondere. «Sì, ti ho seguita perché sono un istintivo per natura e, non so spiegartelo, ma ho percepito qualcosa quando ti ho visto, le potenzialità di un nostro incontro, penso. Ti ho osservato per tutta la serata e sento una forte tensione che dimora in te, come se volessi chiudere una parentesi dolorosa di cui, ti assicuro, non mi interessa sapere nulla e aprirne una nuova, più viva e potente. Vorrei solo darti quello di cui hai bisogno, qui e ora». Poi gli prese la pochette dalle ginocchia, l’aprì, ne estrasse un preservativo che infilò nel taschino della giacca e rimise la borsa dove stava.

Penelope lo guardò sorpresa e in quel momento arrivarono i drink. Porse a Penelope il suo, poi avvicinò i bicchieri per fare un brindisi. «Stanno arrivando le tue amiche e una di loro un consiglio te l’ha già dato. Puoi scegliere di accontentare quella voglia, quel fuocherello che non vede l’ora di ardere fino al cielo e di bruciarti tutta oppure puoi decidere di spegnerlo con altri drink e nuovi rimpianti». Si alzò, pagò il conto e si avviò senza voltarsi verso l’uscita.

Turno Linda 3

Penelope non fece caso a ciò che dissero le sue amiche. Strappò di mano un bicchiere a una e bevve tutto il contenuto facendo una strana smorfia con la bocca, poi strappò il bicchiere dall’altra amica e si diresse verso l’uscita. L’uomo camminava con fare sicuro lungo il corridoio dalle luci soffuse e quando sentì qualcuno toccargli la spalla per richiamare la sua attenzione, si girò e si ritrovò il viso bagnato che sapeva di rhum. Ora era Penelope a essere compiaciuta e dopo pochi istanti gli sorrise e si diresse verso una scala che portava a un piano superiore. L’uomo incuriosito da quel gesto, ma soprattutto da quel sorriso che tutto a un tratto aveva un’aria intrigante, la seguì.

Il club era pieno di gente e si faceva spazio per non perderla di vista. La vide sparire oltre una parete e quando si avvicinò, ebbe la conferma che lui le donne le conosceva bene. In quel piccolo angolo poco illuminato, Penelope stava in piedi, la schiena contro il muro scuro. Portò entrambe le mani al fondo del vestito e lo tirò su fino a lasciar intravedere le mutandine di pizzo viola. Lentamente l’uomo si avvicinò. Abbassò lo sguardo verso la sua parte più intima, poi la baciò, appoggiando tutto il suo peso contro di lei e con una leggera violenza la sollevò, strizzandole il sedere. Le lingue si cercavano di continuo. A tratti si accarezzavano, altre volte erano avide di piacere.

All’improvviso Penelope fu presa per i capelli e costretta a portare indietro la testa. Mentre lui le baciava il collo, con una mano accarezzava il suo seno destro, prima con dolcezza poi strizzandolo. E quando la mano raggiunse le mutandine, gliele scostò bruscamente, iniziando a esplorare quella zona che pareva già molto eccitata. Penelope alzò lo sguardo. Quel piccolo angolo rimaneva nell’ombra ma in qualsiasi momento potevano essere beccati. ”Fanculo” pensò. Non le importava.

Sentì le dita dell’uomo penetrarla e muoversi su e giù lente e la cosa la faceva impazzire. Alzò la voce, godendo di quel gesto. Avrebbe potuto anche urlare, nessuno l’avrebbe sentita. Non ne fu certa, ma era più che sicura che l’uomo le avesse tolto le mutandine perché non sentì più il contatto della pelle con il pizzo, ma quel pensiero presto svanì, quando lui si abbassò davanti a lei. Quell’uomo aveva ragione: voleva esattamente tutto ciò che lui le stava dando.

Turno Aldo 3

Inginocchiato tra le sue gambe, arrotolò  il vestito fin sopra ai fianchi. Trovò il sesso esposto e umido, la pelle morbida e liscia. Le sollevò una gamba e prese a leccarla ingordo, partendo dal basso e percorrendola tutta per soffermarsi sul punto più sensibile. Il tempo si dilatò e perse ogni significato, come la musica e le luci. Nessun testimone, solo una telecamera di sicurezza.

Penelope che geme forte, senza vergogna, e si tiene alla testa di lui, tirandolo a sé. Un urlo liberatorio, un orgasmo impetuoso, lei che si aggrappa per non cadere. Lui che si alza, si toglie la giacca e la getta a terra, la blocca contro il muro e avvicina il viso a quello di lei. Lingue che si cercano avide. Mani minute che sciolgono, esplorano, liberano un palo di carne che pulsa, duro e arrogante. Mani ruvide che afferrano collo e fianchi e la fanno chinare. Sessi umidi che si scontrano e scivolano fluidi uno nell’altro. Corpi sudati che sbattono con rabbia e godimento. E grugniti e urla e parolacce. Niente pudore, nessuna vergogna, solo una monta, solo la voglia.

La voglia di lui che si irrigidisce e che esplode dentro Penelope, facendole sbattere la testa contro il muro. Quella di lei che cola lungo le cosce fino al pavimento. Corpi che si sciolgono e si lasciano cadere sudati ed esausti, con la testa e le spalle appoggiate alla parete. Respiri affannati, il battito a mille. Mutande e vestiti ai loro piedi. Odore di sesso. Il tempo che riprende a scorrere poco alla volta, la musica, voci lontane. 

Finale Aldo

Lui si alzò con fatica e un lungo sospiro. Raccolse scarpe e vestiti, li indossò e se ne andò sicuro, senza degnarla di uno sguardo. Penelope lo osservò, senza parlare, tutta sudata  e con il respiro affannato. Appoggiata al muro, aspettò che tutta l’energia che aveva dentro si placasse, raccolse le mutandine e le infilò nella borsa, abbassò il vestito e cercò un bagno dove si ricompose e tornò dalle amiche. 

La bomba scoppiò soltanto una settimana dopo. Un noto giornale di gossip diede la notizia per primo, subito ripresa da giornali e televisioni. Su internet comparve un video, che sebbene subito censurato, si diffuse ovunque. Penelope, uscita da lavoro, si trovò circondata da microfoni e telecamere senza capire cosa stesse succedendo. Sul giornale compariva descritta ed esposta nei minimi particolari, compreso nome e cognome. Era lei, la giovane donna ripresa in un night club mentre consumava un feroce amplesso con Ettore Finamonti, uno dei più giovani e influenti politici italiani.

Le immagini, il video, la denuncia per atti osceni in luogo pubblico, il giovane e potente deputato, la giovane, bella e disinibita… il tutto ebbe un’eco devastante. Se ne parlò per settimane. Finamonti fu allontanato dal partito e non se ne seppe più nulla. Penelope umiliata, derisa e insultata si chiuse in casa, ma non cedette all’impulso di farla finita. Pianse tutte le sue lacrime, abbandonata da tutti, ma non si arrese. Quando varcò la soglia lo fece a testa alta, senza vergogna, da donna libera. Rilasciò interviste, divenne famosa, venne contesa dal business dello spettacolo. La giovane repressa era diventata Donna.

Dal letame del perbenismo, dell’ipocrisia e della maldicenza era sbocciato un fiore bellissimo che, ancora oggi, ritornando a quel momento, chiude gli occhi, si morde un labbro e sorride con malizia.

Finale Linda

Si era rivestito come se avesse appena finito una partita di tennis e si trovasse in uno spogliatoio. Penelope non era più al centro della sua attenzione. Era stato eccitante quel momento, ma cercò di calare le aspettative che emergevano nella sua mente. Anche se era un perfetto estraneo ed era stato chiaro nelle sue intenzioni, tutto ciò che voleva in quel momento era un abbraccio, sentirsi al sicuro, importante per qualcuno. Finì anche lei di rivestirsi, ma poi si bloccò all’istante quando vide sopra di loro una telecamera.

«Non ti preoccupare, è rotta».
«Quindi porti sempre qui le tue prede?». Lui fece un sospiro, abbassò lo sguardo.
«Magari potremo rifarlo ogni tanto…», esordì lei.
«Non vado mai con la stessa donna due volte. Nulla di personale». Penelope gli sorrise, ma non era un sorriso reale. Era tirato, falso, un modo comune per trattenere facili lacrime. Cercò con una certa insistenza il suo cellulare e inserì il suo numero. «Mai dire mai», e se ne andò.

Un paio di settimane dopo festeggiava i venticinque anni di un’amica nel ristorante di un lussuoso hotel e mentre era fuori a fumare, lo rivide. Una Porsche si era fermata all’ingresso e lui era sceso e aveva aperto lo sportello a una donna molto elegante, poi aveva consegnato le chiavi a un uomo in uniforme che in pochi secondi fu sostituito da un giovane ragazzo dall’aria smarrita. La tentazione fu forte e prima di rendersene conto, Penelope lo aveva fatto.

Dopo appena un’ora, l’uomo si presentò all’ingresso per richiedere l’auto e rimase esterrefatto.
«Che cosa vuol dire che hai dato l’auto a mia figlia, Penelope?!». Il suo sguardo era allibito e sconvolto mentre il tono della sua voce raggiunse una nota altissima e in meno di un secondo la sua accompagnatrice lo piantò in asso. In quello stesso momento il cellulare di Penelope squillò. Un numero non registrato in rubrica la stava chiamando. Sul suo volto si formò un sorriso. Non tirato. O falso. O per nascondere le lacrime. Era autentico. Spinse sull’acceleratore. Il rombo dell’auto tuonò lungo l’asfalto scuro.
«Pronto?».

«Credo che tu abbia qualcosa di mio».
«Sì ed è una gran macchina! La potrai riavere, ma a una condizione». L’uomo non riuscì a replicare perché Penelope gli diede precise istruzioni, poi riagganciò.

Quando raggiunse la via, non c’era anima viva. Il taxi si fermò proprio davanti all’appartamento che gli era stato indicato, ma lo ricordava bene. Era lì che aveva visto uscire Penelope per la prima volta. Vide anche la sua Porsche e quando raggiunse il marciapiede, la ragazza stava in piedi appoggiata all’auto. Giocherellava con le chiavi. Senza dire nulla, aprì il portone di casa ma prima di entrare si voltò. «Voglio essere l’eccezione alla regola, a te la scelta», e gli lanciò le chiavi, poi aggiunse «…se rompi le regole non succede nulla di male, mal che vada ci innamoriamo». 

Lasciò la porta aperta, un chiaro invito a seguirla. L’uomo rimase fermo in piedi a osservarla. Poi lentamente fece qualche passo in avanti e chiuse il portone alle sue spalle. Era infastidito per essere stato una sorta di pedina, voleva essere lui a condurre il gioco, ma ne era anche molto attratto. Una parte di lui l’avrebbe strozzata, l’altra l’avrebbe baciata.

Fine

Anais

«Quale fragranza vuoi che metta?», chiese lei con voce seducente. «Niente fragranze. Voglio sentire l’odore della tua pelle», rispose una voce maschile, con un tono quasi impaziente. «Niente fragranza, niente sesso, sono le regole». Lui rimase in silenzio, sdraiato con le mani legate ai bordi del letto e una benda nera che copriva metà viso. La ragazza, invece, stava in piedi davanti a un mobile e ammirava diversi barattoli di vetro etichettati in ordine alfabetico, poi fissò l’uomo; per pochi secondi pensò di slegarlo e di dirgli di andarsene, era molto tentata di farlo, ma poi lui rispose. «Lavanda! Voglio che odori di lavanda».

Gli occhi tristi della ragazza cambiarono in pochi istanti e il suo sguardo si fece cupo, come se volesse cancellare quell’attimo di debolezza di cui si vergognava. Prese in mano un’ampolla con la scritta Lavanda, tolse il tappo e respirò a fondo l’essenza: era molto forte e per poco non svenne dalle sensazioni che l’attraversarono, come quando attendi un’onda in mezzo al mare e non vedi l’ora di farti travolgere dalla sua dolce forza. Poi un devastante déjà-vu iniziò a ripetersi con insistenza e un insieme di immagini iniziarono a scorrere veloci nella sua mente. Se avesse visto i suoi occhi, in quel preciso momento avrebbe notato il cambiamento avvenire all’istante: le pupille erano dilatate e lo sguardo quasi ipnotizzato, come fosse sotto il potere di un incantesimo. Un calore si fece largo nel suo stomaco e lentamente raggiunse la gola. Si girò verso l’uomo e si sedette sopra di lui, versando sul suo corpo piccole gocce di lavanda che massaggiò con tocco delicato lungo la sua morbida pelle. L’uomo ansimava e godeva di quel momento e quando lei si mise sopra alla sua zona calda e dura e spinse a fondo, non riuscì a trattenere un forte gemito di piacere.

Senza smettere di muoversi su di lui, la ragazza allungò le mani verso il cuscino e strinse un foulard di seta blu, poi scoprì molto lentamente il viso dell’uomo che l’ammirò come fosse un angelo venuto direttamente dal paradiso. «Sei davvero bellissima!». Lei sorrise, poi appoggiò il foulard sulla sua bocca e lo baciò intensamente. Le lingue si cercavano tra la stoffa, divertite nel percepirsi senza un diretto contatto. Nonostante fosse legato, l’uomo si muoveva sotto di lei con un incredibile forza, tanto era eccitato da quel momento. Le mani della ragazza non smettevano di stringere il foulard che ora si ritrovava avvolto attorno al collo dell’uomo e che usava per domarlo quando tentava di avere la meglio su di lei. Un susseguirsi di gemiti si fece strada e quando si sentì vicina all’orgasmo, tirò le due estremità della stoffa, chiuse gli occhi e buttò indietro la testa, la bocca spalancata ma la voce soffocata dall’immenso piacere e non si fermò quando sentì la voce prima balbettante e poi spezzata dell’uomo che dopo pochi secondi era fermo immobile sotto di lei.

Quando si ricompose, lo fissò compiaciuta e si sfilò la parrucca a caschetto color castano scuro. Un terrificante silenzio piombò nella stanza, ma poi la porta della camera si aprì all’improvviso e una donna vestita con un pantalone e maglioncino color cammello, i capelli legati in una morbida coda bassa, e avvolta da una mantella che dava l’impressione di essere di seconda mano, lasciò ai piedi del letto un enorme sacco di plastica nero. «La prossima volta non lasciamo passare troppo tempo, lo sai che abbiamo delle scadenze da rispettare». Mise a posto l’ampolla di lavanda, poi fissò la ragazza e in un attimo il suo sguardo si addolcì e si fece vicina per osservare il suo viso.
«Allora, come ti senti?».
«Sto bene, anzi, mi sento benissimo…».

Tre settimane dopo…

Mentre era seduta al bancone del bar, uno dei tanti baristi le porse un bicchiere di vino rosso e le sorrise. «Ordini sempre un calice di vino rosso, ho pensato di servirtelo subito senza farti aspettare». Anais lo fissò perplessa. Per quanto fosse una bella ragazza, non era abituata a gesti simili e non sapeva cosa dire. L’unica cosa a cui pensò fu un banale ringraziamento, ma non fece in tempo a dirlo perché il ragazzo fu chiamato a servire un altro tavolo. Era di poche parole, ma più che altro le piaceva osservare e non poté fare a meno di notare il suo fisico atletico, i capelli biondi e ben pettinati con il gel, gli occhi color nocciola grandi e sorridenti come la sua bocca dalle labbra invitanti. Era una preda perfetta, ma poi si alzò e se ne andò senza cercare il suo sguardo per salutarlo. Era meglio così.

La sera sembrava non passare mai e la voglia di dormire era ben distante dal farsi trovare. Anais sembrava una povera anima condannata a vagare in eterno nel suo appartamento e nemmeno la canna che fumò fuori in terrazzo, respirando aria fresca, sembrò darle sollievo. Era visibilmente nervosa, come se stesse aspettando un importante risultato di un esame o una di quelle chiamate che possono cambiarti la vita, poi prese il cellulare e digitò nervosamente un messaggio. Raccolse alcuni indumenti e un beauty case e uscì di casa senza nemmeno chiudere a chiave. Aveva troppa fretta. Camminava a passo svelto, il cappuccio del giaccone che copriva il viso. Non appena fu certa di essere abbastanza lontano da casa, prese un taxi e si fece portare in un quartiere a circa dieci chilometri da casa sua, poi si fece lasciare a un incrocio e camminò per diversi minuti fino a ritrovarsi in un quartiere composto da diverse villette con giardino. Si fermò davanti a una porta di legno scuro dall’ampia veranda e bussò forte più volte. Sapeva di essere attesa, ma aveva esaurito la pazienza.

«Questa improvvisata non me l’aspettavo proprio. Ti senti pronta? Se sei strafatta ti rimando a casa!». Davanti a lei, la donna dai capelli rossi raccolti in uno chignon la fissava con aria di rimprovero. I pochi capelli bianchi lungo le tempie erano fermati ai lati da delle forcine dorate, gli occhi sembravano truccati e questa volta indossava un abito scuro dal collo alto e arricchito da una collana di perle e per un attimo Anais ebbe l’impressione che fosse rientrata a casa apposta per lei. “Sì, ne sono sicura. È il mio corpo a chiederlo. E poi se qualcosa va male, sai cosa fare». La donna la fece accomodare e chiuse a chiave la porta. «Lo sai che non esito mai», e le indicò la scala, ma Anais già sapeva dove andare. 

Dopo un paio d’ore, la donna apparve nel salotto, stupita di trovare Anais ancora lì. Rannicchiata sul divano, guardava la televisione a volume basso. «Come mai sei ancora qui? Ero convinta che fossi già andata a casa», e si sedette sul divano accanto a lei, accarezzandole i piedi. Erano bizzarre assieme, ma potevano benissimo sembrare una madre e una figlia. «Non ho ancora voglia di andare a casa, tutto qui». Tutto era andato come doveva andare, proprio come aveva previsto nella sua testa, eppure quella sera si sentiva malinconica, sola, quasi insofferente. Quel suo modo di vivere era duro da accettare, ma non aveva scelta se non conviverci.

«Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?».
«Eva, qualcosa sta cambiando in me. Sento che fatico a controllarmi ultimamente e non credo sia un buon segno». La donna si fece più vicina e fece sedere Anais, prendendo il suo viso tra le mani.
«È il tuo corpo che sta mutando. Nonostante tutto, continui a crescere e lo stesso i tuoi istinti. Non ti devi preoccupare, ci penso io a te. Vedrai che andrà tutto bene», e le stampò un bacio sulla fronte. «Ti preparo qualcosa da mangiare, vedrai che ti sentirai meglio».

Quella notte Anais faticò ad addormentarsi. Il ricordo dell’episodio vissuto poco prima le tornò alla mente milioni di volte e più lo faceva, più si eccitava. Si rigirava nel letto, sperando di sentire quella familiare sensazione di stanchezza, ma niente. I suoi occhi erano spalancati e le pupille parevano minuscole, come fossero due punti scuri fuori posto e così, arresa alla sua anima tormentata, lasciò scivolare una mano dentro alle mutandine, eccitandosi per ciò che era accaduto e immaginando di essere lì, ancora.