Atto V – finale
L’estate era nel pieno della sua esplosione. Faceva troppo caldo per uscire, ma ne valeva la pena piuttosto di rimanere confinati tra divano e televisione. Le giornate si erano allungate, come in ogni stagione estiva, e c’erano molte più distrazioni: feste, sagre, eventi. Ogni motivo era buono per uscire di casa e pensare ad altro. Frankie aveva risolto la maggior parte delle faccende in seguito alla dipartita del padre, ma non aveva ancora ripreso il pieno controllo della sua vita.
Era come se l’uomo che lo aveva cresciuto, e che gli aveva trasmesso la passione per le piante e la cucina, gli avesse ceduto un testimone corrispondente a un carico di responsabilità nei confronti della famiglia. Non era solo un fratello maggiore, ma anche un riferimento per la sorella in ogni sua scelta, mentre con la madre, ad ogni sua telefonata, sentiva l’impellente bisogno di essere utile e finiva per aiutarla anche solo per cambiare una lampadina quando in realtà poteva farlo da sola.
Un pomeriggio, mentre cercava il gatto, si ritrovò a fissare la camera del padre dalla soglia e rimase basito da ciò che vide. Le lenzuola erano state cambiate, i libri che aveva letto o che forse doveva terminare erano ancora sul comodino, la finestra era aperta a ribalta e le tende tirate in parte per far entrare luce, ma soprattutto non c’era un filo di polvere. Per Frankie era come se nulla, in fondo, fosse mai cambiato. Dentro si sé pensava che il padre prima o poi sarebbe tornato e quel pensiero lo rattristò e infuriò al tempo stesso. Doveva uscire di casa. Subito.
Mentre si aggirava tra uno stand e l’altro del grande festival di musica, alla ricerca dei suoi amici, Frankie si sentiva irrequieto. Non erano i pensieri ad assillarlo, bensì la sete. Era una giornata molto calda: la maggior parte dei ragazzi giravano in canottiera o a petto nudo, alcuni erano persino scalzi. Le ragazze che si muovevano agitate lo ipnotizzavano: quasi nessuna indossava il reggiseno e non ricordava di aver mai visto così tante gambe scoperte; sembrava la sagra del piacere e non un concerto di Goa Gil.
I suoi occhi cercavano qualche volto amico, fino a quando non si arrese e si recò alla tenda dove aveva pranzato qualche ora prima, alla ricerca di acqua fresca. Si guardò attorno più volte, poi all’improvviso, come fosse Alice che s’imbatte in una boccetta con scritto “Bevimi”, notò una bottiglia su un tavolo. Non si chiese come mai una bottiglia fresca, nonostante il caldo soffocante, fosse in bella vista: aveva dannatamente sete. Mandò giù diverse sorsate, gli sembrava di inghiottire una cascata, ma poi un urlo lo interruppe e si spaventò come se gli avessero appena puntato un’arma alla testa. Un ragazzo con dei lunghi rasta ed enormi aloni di sudore su collo e ascelle gliel’aveva strappata di mano. «Porca puttana, ora si che sono cazzi amari…».
Il prato era immenso e la musica del dj Goa Gil vibrava persino nelle vene di Frankie da quanto era forte e magistrale. Gli sembrava di ballare in obliquo, sorretto dalle braccia delle persone accanto a lui. Era come se stesse lentamente ruotando indietro per compiere un giro a 360 gradi; forse era davvero così. Pensò che quella giornata fosse spettacolare e iniziò a saltare in alto, incapace di fermarsi. I volti che incontrava gli sorridevano e tutti lo imitavano, come se fosse il punto di riferimento per migliaia di persone accorse lì solo per ballare con lui; a ritmo di musica trance. Non appena chiuse gli occhi, tutto si amplificò all’istante, come se l’assenza di vista permettesse di saltare ancora più in alto e quando riaprì gli occhi, vide che toccava le nuvole e che un’immensa luce bruciava dolcemente la sua pelle.
“Non stavo così bene da tempo… mi sento così felice”, pensò. “Ti ho odiato così tanto, papà… tanto davvero…”. All’improvviso non saltava più, ma fluttuava nell’aria e fissava la folla che lo incitava a tornare indietro, a ballare ancora tutti assieme. Frankie fissò il cielo un’ultima volta, attratto dalla sua disarmante bellezza: non aveva mai visto un’immagine così pacifica, ma sentiva allo stesso tempo una forte attrazione verso il terreno e ancor prima di decidere quale direzione seguire, si sentì di nuovo tirare, ma quando i suoi piedi toccarono terra, non c’era più nessuno attorno a lui.
Dove erano finiti tutti quanti?
«Come sta?», chiese un ragazzo.
«Dorme. L’abbiamo scosso fino a farlo vomitare il più possibile», rispose il ragazzo con i rasta.
«Meno male… che storia, ragazzi! E poi chi ha lasciato una bottiglia d’acqua piena di acidi sul tavolo alla portata di tutti?», chiese allargando le braccia a enfatizzare la serietà della sua domanda. «Era praticamente a cento e passa acidi dall’aldilà!», continuò poi.
«Non ne ho idea, so solo che Frankie è stato proprio fortunato. Qualcuno lassù deve amarlo davvero…».