finale di Alberto Sartori
I bambini ripresero a lanciare sassi con le loro fionde fiammanti. Gli elastici erano tesi e 3, 2, 1, un sasso colpì in testa l’uomo che era ancora sotto a Paolo.
Svenì all’istante. Per lui fu “Game Over”.
Paolo si rialzò ed indietreggiò preoccupato. Fissava quel signore con aria incredula. Ma che piega aveva preso quella giornata?
Non ebbe neanche il tempo di riflettere che delle mani possenti lo presero per le spalle: “Non ti muovere pagliaccio!” era la voce di Casarin, quante volte l’aveva sentito sul posto di lavoro dire: “Paolo, sveglia, i biscotti non crescono sotto ai carciofi.” che poi, che razza di detto era?
Paolo rimase immobile. Non sapeva davvero che fare.
Il silenzio fu interrotto da uno squittio. Proprio in quell’istante un topo enorme uscì da uno dei sacchetti.
“Ossignor, varda che brutta pantegana!” urlò Casarin nel suo miglior dialetto veneto.
Paolo sentì solo due cose:
- i passi svelti del capo ufficio che se la dava a gambe;
- un’altra voce, che però non riconobbe subito, esclamare: ”Altolà pagliaccio!”
Si voltò di scatto e davanti a lui trovò il vigile del traffico, che prima lo stava inseguendo, mentre teneva alto il suo manganello.
Un’unica speranza balenò nella mente di Paolo: il fiore spruzzacqua.
In un nanosecondo premette il pulsante che aveva in tasca e…niente.
Acqua finita. Flop totale.
Attaccare o fuggire?
Dalla confusione che aveva in testa gli uscirono dalla bocca delle parole confuse: “Buonasera Siore e Siori, il Grande Zumba, visto? Qui? Dov’è? Farfalla, unicorno, si ride!”
Il vigile rimase basito, forse si stava chiedendo: “Ma questo, è normale?”
Tutto giocò a favore di Paolo che iniziò di nuovo a correre così veloce che perse la parrucca per strada, la saliva gli uscì dalla bocca togliendo un po’ del cerone bianco dal volto. Le scarpe si staccarono dai piedi quasi da sole e così poté aumentare il ritmo dei suoi passi.
Fece più di cinque chilometri senza la minima pausa.
Si fermò trafelato davanti all’uscio di casa.
Passò le dita davanti al lettore di impronte digitali e si fiondò nel suo appartamento.
Era salvo. Finalmente.
Ci mise qualche minuto a ripigliarsi, le mani appoggiate alle ginocchia.
Con passo pesante andò a prendere una birra dal frigo e si accasciò sul divano.
Sul tavolino davanti a lui una lunga lista riportava i giorni del mese e scarabocchiati a matita c’erano un’infinità di appunti.
Sotto al 31 Ottobre 2019 era scritto in stampatello:
“Finta perdita di materiale per la festa. Rapina al centro autobus.”