Il Sì, lo voglio che aspettavo

Quando il giorno segnato sul calendario con una X rossa arriva, ti presenti puntuale al Day Hospital per un colloquio con il dottore che ti prospetta la fine del mondo, perché a te suona proprio così!

 
Inizia con un lungo e spaventoso elenco di situazioni che possono capitare durante il trapianto, poi prosegue con quelle che possono presentarsi dopo l’operazione e tu sei lì di fronte a lui, stringi le mani alla sedia e lo guardi come se fosse Freddy Krueger di Nightmare o peggio, un addetto dell’agenzia delle entrate, mentre cerchi di mantenere il controllo. Di incontri traumatici ne ho avuti, ma questo li batte tutti!

 
Finito il gran discorso più adatto a un girone dell’inferno di Dante che a me, mi sono immaginata mentre mi alzavo in piedi, stringevo la mano del dottore e gli dicevo: “Guardi, anche no. Arrivederci!”. Ero così terrorizzata che stavo per farmela addosso, ma poi sono emersi nella mia testa pensieri, ricordi e frasi dette da persone che amo e che non voglio deludere. 

E ho pensato che avevo solo trent’anni, che la chemio per bocca mi stava sfinendo e che se non accettavo, avevo l’80% di possibilità di non uscirne viva. Non sono mai stata un genio in matematica, ma sapevo bene la differenza che sottoponevano alla mia attenzione. Ricordo di aver pensato: “Se anche andasse male, almeno ho fatto di tutto per sconfiggere la malattia e tornare a vivere. Ho lottato e senza rimpianti”.

Nel momento in cui ho detto “Sì, lo voglio” mi è passato davanti l’ultimo mese fatto a casa, in assoluto riposo. Un riposo alternato da pianti e momenti di crisi perché avevo tanta paura. E se fossi morta? 

Se avessi lottato per niente? Tante volte ho pensato di fare la valigia di nascosto e scappare lontano, magari in Argentina oppure una di quelle isola con il faro in Slovenia o Croazia, circondata dal mare. Sarei lontana da tutti e non sentirei più parlare di piastrine, esami, cellule staminali e forse la leucemia non mi seguirebbe; forse rimarrebbe qui, a Vicenza. Vagherebbe solitaria fino a stancarsi ed esaurirsi. 

Ma è solo una bugia che recito a me stessa, semplicemente morirei altrove, sola e triste. Avevo tanta confusione in testa, ma avevo fatto tutta quella strada con l’obiettivo di guarire e dovevo farlo. Per me stessa e per le persone a cui lo avevo promesso. E alla mia mamma, di cui percepivo il respiro durante alcune notti, quando entrava in camera mia per assicurarsi che stessi bene. 

Una volta ho aperto gli occhi e le ho detto: “Sto bene, mamma. Torna a dormire”. Le avevo mentito, ora però non l’avrei più fatto. Nè a lei, nè a nessun’altro. Per cui, cara Leucemia, fatti sotto: NON MI FAI PAURA!

Fine

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